Alberto Pezzini
In Italia purtroppo i libri originali passano inosservati. È il caso di Tolkien e Bach (Galaad Edizioni, pp.
175, euro 13,00), scritto da chi J.R.R. Tolkien lo studia da una vita, Giovanni
Agnoloni, che – per vivere – traduce, scrive e ha elaborato una specie di ponte
spirituale tra il creatore de Il Signore
degli Anelli e l’inventore della floriterapia, una medicina alternativa
capace di curare il malato mediante i fiori e le loro virtù terapeutiche: Edward Bach, che iniziò la pratica ospedaliera subito dopo la laurea. Siamo nel
periodo della Prima Guerra Mondiale. Bach si trova in Inghilterra, a una breve
distanza da Oxford. Non andrà mai in trincea a causa delle proprie condizioni
di salute. Ebbe però la responsabilità di un gran numero di pazienti
all’ospedale dello University College of London. Nel 1917 gli diagnosticarono
un cancro alla milza e tre mesi di vita. Bach, che sembrava un valetudinario ma
possedeva un’anima di ferro, non si dette per vinto e mise a frutto i suoi
preziosi studi di immunologia sui vaccini. Guarì. Fu un miracolo ma anche una
dimostrazione di quanto possa fare la volontà unita alla convinzione che il
malato vada curato olisticamente, ossia coinvolgendo tutta la persona. Scriverà
nel 1931 Heal Thyself (Guarisci te
stesso) dove sosterrà che l’origine di tutte le malattie “non è, in definitiva,
materiale, e consiste nella negazione o nel rifiuto della mente di accettare
ciò che l’anima suggerisce”.
“In altre parole, ci ammaliamo perché non facciamo quello che
desideriamo intimamente e ascoltiamo le regole del mondo, anziché il nostro
cuore”. Praticamente si tratta della lezione di Steve Jobs, quella per cui
dobbiamo vivere sempre affamati e sempre folli. Una condizione per prenotarsi
la vittoria, in ogni campo, compreso quello di battaglia se pensiamo al film Il Gladiatore dove il Generale Massimo
esorta i legionari romani ad essere magri e famelici. Il concetto che Agnoloni
sviluppa è ben più profondo di una battaglia e di come fare per vincerla. Ne Il
Signore degli Anelli uno dei
capisaldi del libro resta la luce che batte l’ombra. Anche una pallida
scintilla è in grado di incubare il riscatto che verrà poi. Aragorn,
interpretato nel film da Virgo Mortenssen, possiede una forza interiore
strabiliante che si identifica con l’amore per Arwen, la bellissima principessa
elfica dagli occhi blu.
L’amore salva Aragorn e lo preserva dal Male
permettendogli di sconfiggere il buio che è la condizione quasi normale di
tutta la storia. Bach riprende in pieno il concetto della luce che cancella le
tenebre. I suoi rimedi, infatti, “aiutano a sviluppare la qualità opposta al
difetto che intendono curare. Il processo di consapevolezza della disarmonia in
cui tale emozione negativa consiste (ombra) passa attraverso la crescita
nell’opposta vibrazione armoniosa (luce), che è quella veicolata dal rimedio
floreale appropriato”. In realtà anche per Tolkien non esistono davvero forze
negative o contraltari positivi in modo ontologico. Esistono occhi diversi con
cui guardare. In una lettera del 1954 a Naomi Mitchinson, il Professor Tolkien
“dice che, nel Signore degli Anelli,
non c’è niente che sia di per sé buono o cattivo, ma può rivelarsi nell’uno o
nell’altro modo a seconda dell’intenzione sottostante (e quella peggiore a cui
si possa pensare consiste nel sottomettere la libera volontà degli altri)”. I
due hanno sviluppato delle sincronicità molto affini tra loro.
Sembra che il concetto di vibrazione
– intimamente elaborato da Bach per cui i fiori sono tanto più efficaci quanto
meglio riescono a fare far “passare” le loro segrete essenze – sia un
campanello risuonante anche dentro le storie di Tolkien. Il Signore degli Anelli è un mare in continua tempesta ma ognuno
dei suoi eroi riesce sempre a trovare la sua vera natura non nella quiete della
Contea, ma nel roveto ardente delle battaglie più sanguinose perché partono
sempre impari, quasi impossibili. Edward Bach in qualche modo si avvicinò di molto agli archetipi di Carl Gustav Jung, poi fatti propri anche da James Hillmann. Uno dei principali è infatti l’Ombra, “ovvero
la parte istintuale/impulsiva che tendiamo a reprimere perché ci spaventa, in
quanto la sentiamo stridente con il nostro Io”. È il ritorno dell’Ombra che fa
scattare la scintilla salvatrice. Un esempio per tutti. La Fiala di Galadriel –
anche se si tratta di un rimedio “straordinario” – che Frodo e Sam usano per
affrontare il gigantesco e famelico ragno femmina Shelob, è in realtà pura
essenza luminosa capace di perforare le tenebre e tenere a bada l’aracnide. Non
si può fare a meno di paragonare quella fiala luminosa ad una tintura madre di
Bach particolarmente efficace, chiamata Rescue
Remedy, una specie di rimedio di emergenza:”un mix di diversi Fiori creato
per lenire i picchi di angoscia dei momenti di maggiore shock, turbamento o
comunque difficoltà in cui ci si può venire a trovare”.
Agnoloni non si illude. Sa che molti lo criticheranno come un esponente
della new age più disarmata. Di certo resta una cosa. Sia Bach che Tolkien
hanno tentato di stabilire un contatto tra due dimensioni: il mondo superficiale
e la dimensione profonda, quella costituita dalle energie sottili. Saranno mica
quelle che hanno spinto Jobs dentro un garage?
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