Luciano Lanna
Leggo della prematura scomparsa dell’attore Aldo Reggiani. Aveva
sessant’anni, aveva fatto cose importanti in teatro, è stato da doppiatore la
voce di Jeremy Irons e Patrick Swayze. Ma a me che sono un figlio del baby boom degli anni Sessanta e che nel
dicembre del 1968 frequentavo la terza elementare, il suo nome m’è subito tornato
alla mente accoppiato a quella della giovanissima Loretta Goggi. Erano stati,
insieme, i due giovanissimi interpreti di quello che è uno sceneggiato (allora
si chiamavano così non erano né telefilm né le fiction del futuro) scolpito
nell’immaginario di tutta la mia generazione: La freccia nera. Chi tra quelli che lo avevano visto e seguito
allora ha dimenticato la canzone della sigla? “Sibila il vento la notte si appresta / e
la cupa foresta minacciosa si fa / passa ma trema se senti un fruscio / forse è
un segno d’addio / che la vita ti dà / lascia la spada se il cuor non ti regge
/ perché questa è la strada / che da noi fuorilegge ti porterà…”.
Talmente importante fu quello sceneggiato che uno studioso dell’immaginario
come Mario La Ferla vi ha dedicato un intero capitolo del suo saggio L’altro Che (Stampa alternativa,
pp. 214, euro 14,00), uno studio sulle icone trasversali a cavallo tra la fine
dei Sessanta e la metà dei Settanta. Vediamo cosa racconta: “Per Natale, quello
del 1968, la Rai aveva deciso di premiare i telespettatori con un programma
considerato di alto livello educativo e di forte impatto popolare. Era La freccia nera, sceneggiato in sette
puntate diretto da Anton Giulio Majano e ispirato al romanzo di Robert Louis
Stevenson, il celebre autore di avventure come L’isola del tesoro. L’appuntamento con la prima puntata era stato
fissato per la sera del 22 dicembre, alle 20,30, sull’allora Programma
nazionale (poi Primo Canale e Rai Uno). Nel 1968 gli abbonati alla televisione
erano poco più di nove milioni ma davanti al teleschermo in bianco e nero ogni
sera si sistemavano almeno quindici milioni di persone…”.
La Rai, stando alla ricostruzione di La Ferla, voleva fare un regalo agli
spettatori nella speranza di distoglierli dal putiferio che dall’inizio
dell’anno aveva attraversato il Paese con la contestazioni e le notizie che
arrivavano dall’estero: Vietnam, Messico, Parigi, lotta per i diritti civili
negli Stati Uniti…
La freccia nera televisiva era fedele
alla vicenda del romanzo scritto da Stevenson nel 1889. Ambientata
nell’Inghilterra del XV secolo, al tempo della guerra delle Due Rose, che
vedeva lo scontro tra le due famiglie dei Lancaster e degli York per la
successione al trono, la storia segue le avventure del giovane Dick Shelton al
servizio dei Lancaster, quella con lo stemma della Rosa rossa. Ma quando Dick
scopre che i suoi genitori erano stati uccisi da sir Daniel Branckley, signore
di Lancaster, giura vendetta e cambia fronte. Si schiera con la famiglia
rivale, gli York, quelli con la Rosa bianca, e si unisce alla Freccia nera, la banda di fuorilegge che
si oppongono all’oppressione e alla tirannia dei Lancaster. Li guida Ellis
Duckworth, un uomo deciso a farsi giustizia, uccidendo uno a uno i
rappresentanti dei Lancaster e dei loro luogotenenti trafiggendoli con
terribili frecce nere. Dick Shelton, ormai unito ai masnadieri della Freccia
nera, conosce un ragazzo, John Matcham, in fuga dalle persecuzioni di sir
Daniel. In realtà, si scoprirà che il giovanotto non è altri che la nobile
fanciulla Joan Sedley, travestita da ragazzo che tenta di fuggire…
Ma sin dal primo sabato sera in cui andò in onda, La freccia nera sfondò alla grande. La Ferla ne fornisce una chiave
di lettura: “Era diventato, fin dalla prima puntata, lo sceneggiato preferito
dai ragazzi che avevano partecipato alle contestazioni studentesche e che
volevano cambiare le cose. Gli alti papaveri della Rai non si erano accorti che
il personaggio di Dick, interpretato dal giovane Aldo Reggiani, non
assomigliava solo a Robin Hood, ma piuttosto, preciso a preciso, a Ernesto
Guevara detto il Che, che in quei giorni era l’icona di quasi tutti i giovani…
Come non pensare che quel giovane ribelle, deciso a sconfiggere i nemici del
popolo e della libertà, e alleato ai fratelli della foresta, non poteva
identificarsi col guerrigliero argentino, ucciso a tradimento poco più di un
anno primo sui monti della Bolivia?”. A un certo punto Aldo Reggiani-Dick Shelton,
nel film televisivo, diceva: «Io odio la violenza ma odio ancor di più
l’ingiustizia che me la fa commettere».
C’era poi, come abbiamo accennato la canzone d’apertura e di chiusura del
teleromanzo. Era stata scritta, nelle parole, dall’attore Sandro Tuminelli che
nello sceneggiato interpretava uno dei banditi. La musica era del grande Riz
Ortolani, lo stesso che aveva scritto More,
la canzone che cantata da Frank Sinatra era la colonna sonora del film Mondo cane di Gualtiero Jacopetti. La
sigla della Freccia nera era invece cantata
da Leonardo con un coro maschile, ispirato a quello dei briganti della storia:
“La freccia nera fischiando si scaglia / è la sporca canaglia che il saluto ti
dà / vieni fratello è questa la gente / che val meno di niente / perché niente
non ha / ma se il destino rovescia il suo gioco / nascerà nel mattino una
freccia di fuoco / la libertà”.
Dell’importanza dello sceneggiato ne parla
anche il sociologo Fausto Colombo nel suo Boom.
Storia di quelli che non hanno fatto il ’68 (Rizzoli, pp. 253, euro 16,50),
in cui si spiega perché i giovanissimi Aldo Reggiani e Loretta Goggi vennero
subito adottati come icone generazionali sia dai bambini che dagli adolescenti.
Siamo certi che chi ha oggi tra i cinquantacinque e i quarantotto anni e sente
quella canzone o rivede quella sigla si sente immediatamente come arruolato tra quei
briganti della foresta…
Addirittura un ex baby
boomer che, pur essendo stato anche lui stesso da bambino un’icona
televisiva di quegli anni (il Giusva del teleromanzo La famiglia Benvenuti), avrebbe compiuto scelte estreme negli anni
di piombo, Valerio Fioravanti, ha confessato una volta il ruolo svolto nel suo
immaginario personale da quello sceneggiato televisivo: «La Freccia Nera, senz’altro, come anche Zorro,
Robin Hood, Ivanhoe, Sandokan, Michele Strogoff. Tutte storie dove il
governatore è corrotto e cattivo, fino a quando non arriva il buono, di solito
un nobile decaduto, che, indossata la mascherina del guerrigliero ante litteram, mette le cose a posto. Le
due cose assommate hanno fatto in modo che, in mancanza di una guerra mondiale
dove anche noi giovani potessimo fare la nostra parte, si arrivasse
all’invenzione di sana pianta di una guerra che sarebbe poi stata devastante:
la guerra civile, la guerra rivoluzionaria, la guerra contro il sistema… ». Scelte estreme o meno, quel teleromanzo è
comunque rimasto impresso nell’immaginario di una parte di italiani: “La
freccia nera fischiando si scaglia / è la sporca canaglia che il saluto ti dà /
vieni fratello è questa la gente che val meno di niente / perché niente non ha
/ ma se il destino rovescia il suo gioco / nascerà nel mattino una freccia di
fuoco / la libertà”.
Aldo Reggiani era nato il 19 dicembre 1946 ed è morto a 66 anni nel 2013,non 60 mi dispiace della prematura scomparsa e del fatto che lo hanno completamente dimenticato,non hanno fatto un libro o un programma su di lui, eppure interpretò molti sceneggiati alla Rai
RispondiEliminaEsordì cob la Freccia nera a 22 anni,poi tanti altri
Speriamo che qualcuno lo ricordi