Francesco Pullia
Primo flash. Lei sta sulla sedia a rotelle, gli occhi sgranati
su un viso poeticamente percorso dalle rughe, persi in visioni trascolorate in
cui i ricordi di affetti ormai andati si confondono con rapide incursioni di
presente. L’altra, la badante, corpulenta, lineamenti marcati, inequivocabile
accento da paese dell’est europeo, le prende, con scatto nervoso, il
portafoglio nero, lo apre, lo gira e rigira arraffando spiccioli, umiliandola
davanti alla fila di persone che, indifferenti al nauseabondo lezzo di fritto e
cipolla, fanno ressa per accaparrarsi una porzione di pizza all’ingresso di un
centro commerciale. Lei continua a sgranare gli occhi dall’azzurro impallidito,
velati da un’orma di cecità. È interdetta, apre stupita labbra incapaci di
proferire parola. Resta così, a bocca aperta. La badante continua a trattarla
con durezza, riversandole addosso sgraziati fonemi gutturali. La gente passa,
qualcuno si volta, scotendo la testa, abbandonandosi tra sé e sé ad
impercettibili ma intuibili commenti, fa spallucce, tira avanti, come se quella
situazione non lo riguardasse, come se non fosse la prefigurazione di
un’imminenza, di un’abissale prossimità con cui anche lui dovrà misurarsi, la
barra di un passaggio pronta impietosamente a calarsi.Secondo flash. Le sette di sera circa. Gazebo allestito da un
bar in una via che conduce al corso principale. Due badanti, anche loro
sicuramente dell’est europeo, sedute a un tavolino di rattan, fumano
sorseggiando un aperitivo. Il ghiaccio che tintinna nel bicchiere interseca i
loro accenti stranieri. Accanto, una signora molto avanti negli anni, anche lei
su una sedia a rotelle, accucciata in un limbo di esclusione, si passa tra le
dita il foglietto pubblicitario di un ipermercato. Storce la bocca e, come
fanno i bambini nei primi anni di vita, si china con il capo su quel pezzo di
carta. È come se ci giocasse, leggendolo all’incontrario. Lo capovolge, lo
stropiccia mentre le due bandanti continuano a fumare e a bere gettando ai
passanti occhiate dalla cui traiettoria lei è volutamente tenuta fuori. Una
scena rude, triste, che pare uscire da un film di Clint Eastwood. Mondi
paralleli, che solo per necessità finiscono per incrociarsi, stazionano nel
nostro presente. Solitudini marcate dal vuoto ci attraversano ogni istante. Le
vediamo, impotenti, sfrecciare con il loro bagaglio di desolazione. A nulla
vale rimuoverle. Tornano accentuando crepe, voragini, ferite.Terzo flash. Nello spiazzo davanti a un liceo bighellonano gruppetti
di giovani. Siedono su gradini di marmo, trangugiando birra e rollando
sigarette. Avranno un’età media di sedici anni, qualcuno forse un po’ di più.
Strafottenti, si danno arie di emancipazione. Con i pennarelli sporcano le
panchine. Fanno rotolare lattine e bottigliette. Alcuni bestemmiano a voce
alta, altri chiacchierano a forze di inutili parolacce ostentate come slang,
altri gareggiano in rutti, altri ancora accennano motivi con le cuffiette
attaccate alle orecchie. E fumano, fumano, fumano, infischiandosene delle
avvertenze messe nelle confezioni di tabacco. Passa un signore avanti negli
anni, magro, curvo, aspetto dimesso. Dalle sportine della spesa fanno capolino
due filoncini di pane e un ciuffo di sedano. Dal fondo traspare la pesantezza delle
patate. Suda. Si vede a tre miglia che è stanco e fatica a proseguire. Non ha
dove fermarsi. Non c’è posto per la vecchiaia. I giovani continuano a
imbrattare. Ondeggiano in jeans sdruciti dalla vita bassa stinti e logori per
moda. Sono tutti uguali, perduti in rasature dalle tinte accese, con i percing
nei volti e fantasmagorici tatuaggi a segnare uno sfregio all’evidenza del
corpo. Ormai non c’è più neanche mimesi, tutto è così palese nell’ostentazione
di una fuga. L’importante è riuscire a non arrestarsi, a fare scempio della
scansione del tempo. L’anziano, intanto, arrancando ha girato l’angolo.
Sparisce nello scarico di un bus fagocitato dal tramonto.Quarto flash. Due albanesi entrano in copisteria. La commessa è
intenta a incartare un lavoro commissionato. Parla con il committente. Sta
spiegando qualcosa. I due, intanto, si muovono nel negozio come se fossero a
casa loro. Attratti da una fotocopiatrice, pigiano un tasto, trovando
divertente l’uscita di fogli bianchi dalla macchina. La commessa non sa che
dire. Nessuno sa cosa dire. Si resta esterrefatti. Prosegue così per poco, ma
quel poco è micidiale, assesta fendenti al nostro interno. Giusto il tempo di
fare sfoggio di prevaricazione e i due se ne vanno come se nulla fosse
accaduto. Lampi di vita vissuta. La notte finalmente arriva senza potere,
purtroppo, cancellare il giorno. Semplicemente lo offusca, lasciando nel nostro
sguardo lande di mestizia. Il sonno, se e quando arriverà, restituirà ciò che
l’impotenza ci ha tolto.
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