Francesco Pullia
Mentre
la magistratura spagnola ha finalmente formalizzato un ordine internazionale di
cattura e detenzione per il genocidio in Tibet nei confronti dell'ex presidente
cinese, Jiang Zemin, dell’ex premier Li Peng e altri tre ex dirigenti del
Partito comunista cinese, in Tibet non s’arresta la repressione da parte degli
invasori cinesi.
Quattro
giovani monaci tibetani, Tsuiltrim Palsang (20 anni), Lobsang Yeshi (15),
Kalsang campa (22) e Kalsang Dorjee (23), sono stati arrestati dalla polizia
cinese per avere affisso e distribuito volantini indipendentisti nell’antico
monastero di Dowa Shartsang a Trido, nella contea di Sog, nella regione del
Kham. A Dokarmo, nella contea di Tsekok, nella regione dell’Amdo, si è dato
fuoco Phakmo Samdup, ventinove anni, padre di due bambini. È il primo tibetano
ad essersi autoimmolato all’interno del Tibet nel 2014, il 126° dal 2009. Le
comunicazioni con l’intera area sono state interrotte dalla polizia che ha
imposto alla popolazione di non diffondere la notizia della nuova immolazione
per lasciare invece credere che il tibetano si sia suicidato per questioni
familiari.La polizia cinese, spente le fiamme, si è impossessata del corpo. Il
tragico evento acquista particolare rilevanza per l’approssimarsi delle date
del 2 marzo (capodanno tibetano) e del 10 marzo (55° anniversario
dell’insurrezione di Lhasa). A Driru è morto, invece, per le torture subite in
carcere, Kunchok Dhakpa che era stato arrestato l’anno scorso per avere
protestato contro la creazione di una miniera nella montagna sacra di Naglha
Dzamba. Nello stesso posto, nel maggio
2013, circa cinquemila tibetani avevano inscenato una manifestazione contro una
compagnia mineraria cinese che stava allestendo un cantiere nella montagna
sacra con il "pretesto di costruire progetti idroelettrici".
Per
portare avanti l’attività estrattiva, i cinesi hanno deportato due milioni di
tibetani. Secondo la versione ufficiale i pastori sarebbero stati invitati a
trasferirsi verso altre zone "per conservare i pascoli altrimenti degradati
da pratiche di allevamento insostenibili". Grandi dighe sono state
costruite per ottenere l'energia elettrica necessaria all'estrazione e secondo
dati ufficiosi se ne gioverebbero circa 240 gli impianti minerari, molti dei
quali proprio in prossimità delle sorgenti di grandi fiumi che rischiano di
essere inquinati dai riversamenti di materiali di scarto. La Cina continua,
poi, a detenere il triste primato nelle esecuzioni capitali. Anche
se, presentando lo scorso anno il suo rapporto, il presidente della Corte
suprema del popolo, Wang Shengjun, si è rigorosamente attenuto alla linea
governativa di tradizionale segretezza, non fornendo, quindi, statistiche sul
numero delle condanne a morte e delle esecuzioni, si sa che l’anno scorso le
esecuzioni capitali sono state circa tremila, il 76% del totale nel mondo. È noto il legame tra esecuzioni capitali e commercio
di organi. Secondo le organizzazioni umanitarie
internazionali, il 95% degli organi proviene, infatti, dai corpi dei condannati
a morte.
Gli organi
vengono espiantati subito dopo l’esecuzione e trasportati in apposite ambulanze. Sono almeno seicento in tutta la Cina
gli ospedali specializzati in questo traffico. I profitti sono altissimi, se si
considera che il prezzo di vendita degli organi spesso arriva a decine di
migliaia di dollari.
Recentemente il
governo cinese ha approvato alcune leggi per regolarizzare il “mercato nero”
degli organi umani. La precedenza nella distribuzione degli organi andrebbe ai
cittadini cinesi, i chirurghi cinesi non potrebbero viaggiare all’estero per
effettuare espianti e, soprattutto, dovrebbe essere obbligatorio il consenso
del prigioniero per la donazione dei propri organi dopo la morte. Un’ennesima
ipocrisia se, come denuncia Human Rights Watch in un reportage della CNN
dell’11 febbraio 2007, è vero che i condannati a morte risultano, in realtà,
soggetti a pressioni e, quindi, impossibilitati ad esprimere liberamente la
propria volontà.
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