Lorenzo
Randolfi
Sabato sera
mentre su Rai1 Arisa vinceva l'ultima edizione di SanRemo, ho preferito
guardarmi un vecchio film che andava in onda su un’altra rete: C’era una volta
in America di Sergio Leone. Un film conosciutissimo e visto numerose volte, ma
come resistere alla tentazione di rivedere, per l’ennesima volta, uno dei
capolavori di Leone? Anzi il capolavoro: l'opera summa di tutta la sua produzione;
non a caso il suo ultimo film , quello che racchiude il modo di sentire e di
pensare di questo grande cineasta. Un film costatogli decenni di fatiche e
ripensamenti, fino al 1984, anno di uscita. Proprio trenta anni fa. Sono quasi
quattro ore di film, con attori come Robert De Niro, James Wood, Treat
Williams, Joe Pesci e Elizabeth MacGovern, e musiche (inutile dirlo) di Ennio
Morricone per raccontare l'epopea americana dei gangster e del proibizionismo.
Certo se fosse tutto qui, se contasse solo la trama, sarebbe simile a tanti
film sull'argomento; senza dubbio un ottimo film essendo di un grande artista
come Sergio Leone. Cosa ha allora di speciale? Cosa lo eleva a opera cardine
del cinema di questo autore? A mio avviso, il finale. Tante ore di film per
arrivare, a notte fonda, a godersi pochi minuti di epilogo. Un epilogo che è il
disvelamento non solo della trama ma di tutta la filosofia che dà sostanza alla
produzione di Leone. Quasi che con quest'ultima opera avesse voluto lasciare il
suo testamento ideologico, il suo Ecce Homo, per dirla con Friedrich Nietzsche,
pensatore a lui caro. Intellettuale bello pesante, questo regista, lettore di
libri altrettanto consistenti, dalla mitologia ai testi sacri orientali, da
André Malraux a Louis-Ferdinand Céline. Molto più che il padre nobile dello
spaghetti-western. Era un libertario, un anarchico, un individualista
antiideologico, lontano da Bakunin e vicino semmai all'esistenzialismo del Bardamu
di Viaggio al termine della notte,
appunto. E per queste ragioni, discusso e disprezzato tanto dall’establishment
culturale della sinistra marxista quanto dalla destra, conservatrice, liberale
o cattolica. I suoi film sono tutti manifestazione di questa sua filosofia. O
piuttosto dovremmo dire “prospettiva esistenziale”, essendo un intellettuale a-sistematico.
Che si tratti di quelli con Clint Eastwood o di C'era una volta in America, la
poetica era questa. L'ultimo, in particolare, è quello tra i film in cui si palesa
di più tutto ciò. Specie, come dicevamo, nel finale. Noodles (De Niro), il
protagonista, incontra per l'ultima volta dopo trent’anni il suo antico amico
Max (James Wood), divenuto il Senatore Bayle. Il primo ha trascorso una vita
ordinaria, grigia, fatta di alti e bassi. Il secondo, è riuscito a dare
concretezza alle sue ambizioni giovanili: è ricco, potente, ha un'amante
bellissima, Deborah, che poteva essere dell'altro. Il senatore Bayle è nei guai
e per uscirne, chiede al suo amico fraterno di ucciderlo, dandogli la
possibilità di vendicarsi del lungo inganno. Noodles rifiuta, non ha rancori
verso l'altro. In quest'ultimo dialogo si confrontano due individui opposti, ma
anche due tipi differenti di individualismo e di visioni di vita. Bayle è un
vincente, un campione dell'individualismo borghese e materialista, del
capitalismo insomma. È un criminale convertitosi al potere ufficiale, un uomo
aggressivo e violento verso la vita; vuole piegarla al suo volere. Noodles,
vestito con un vecchio cappotto di tweed, una sciarpa rossa di pessima lana e
un cappello di feltro somiglia ad un pensionato qualsiasi, il quale sostiene
che negli ultimi tren’tanni “è andato a letto presto”. È un antieroe, in fondo una
persona comune; uno che si è accontentato di vivere come gli veniva meglio. La
sua vita gli è piaciuta così come è andata... e tale la rivivrebbe. Il mondo
non ha debiti con lui. Un individuo che dice sì alla vita. Niccianamente. Come
disse di sé stesso, guarda caso, Céline “sono del partito della vita io”. E
anche lui morì senza pentimenti. Il momento dell'incontro finale è intenso,
profondo, i dialoghi semplici e sotto la delicata melodia di Yesterday di Paul
McCartney. Azzeccatissima. Tutto sembra mitologico, fuori dal tempo, e Noodles
è l'oracolo che svela la Verità. Un Buddha moderno (solleva il velo di maya).
Alla fine l'antieroe riprende la sua strada attraverso il buio di una via di
Long Island, stringendosi nel suo cappotto. Incredulo osserva un camion della
spazzatura che tritura l'amico, e delle persone passano velocemente in auto,
festeggiando al ritmo di God bless America. Il film si chiude in maniera
circolare, con l'immagine di un giovane Noodles che si addormenta fumando oppio
in una fumeria cinese. Un teatrino di ombre è lì vicino. Ha sognato tutto? È un
ipotesi. Dopotutto la vita è sogno. Jack Kerouac direbbe: “Cos’è il cielo? Cos’è
la terra? È tutto nella mente”.
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