Annalisa Terranova
Consigliabile lettura la storia del Fdg scritta da Alessandro Amorese (Fronte della Gioventù, la destra che sognava la rivoluzione: la storia mai raccontata, Eclettica) perché mette a fuoco, lungo il decennio degli anni Ottanta, un metodo fondato sull'inclusione e non sulle affermazioni sovrane e sulle negazioni assolute nell'approccio con il mondo giovanile e studentesco. Qualche volta la forma è anche sostanza, qualche volta dalla sostanza viene fuori uno stile differente. Quanto il mondo giovanile abbia perso in creatività e capacità di mobilitazione ripudiando quel metodo (e quella sostanza) per rifugiarsi nel recinto della destra identitaria o peggio per abbracciare gli slogan del berlusconismo è riflessione tutta ancora da abbozzare. Intanto riproponiamo un brano dal libro di Amorese sul Fdg milanese le cui esperienze vengono ricordate da Marco Valle e Paola Frassinetti:
"Una delle nostre vittorie fu riuscire a portare alle nostre manifestazioni studenti normali, non impegnati ma che erano in qualche modo attratti dal nostro modo di fare politica", sostiene Paola Frassinetti. Nella metà degli anni '80 chi frequenta la zona giovanile di via Mancini trova di tutto, c'è spazio per ogni tipo di look, nel periodo delle variegate sottoculture non era raro trovare dark, metallari o paninari, che trovavano in quella sede uno spazio per la propria creatività ma senza alcuna speranza di trovare droghe, chi veniva scoperto a consumare qualsiasi tipo di stupefacenti veniva allontanato. Via Mancini diventa tendenza, impossibile non accorgersene. Il settimanale Panorama dedica un articolo al Fdg milanese certificandone il successo: "... Paola, Marco. Dietro di loro tutta una realtà di giovanissimi che negli ultimi tempi si riconoscono idealmente nel Fronte della Gioventù. Con 700 iscritti a Milano, 200 a Monza, decine di simpatizzanti, un giornale, Fare Fronte, che diffonde 3 mila copie, due rubriche fisse a Radio University. I giovani fascisti si sono conquistati il secondo posto, dopo Comunione e Liberazione, come presenza organizzata nella terra desolata dei licei e degli istituti tecnici cittadini dove le tradizionali organizzazioni della sinistra sono praticamente scomparse. Un consenso che pone Milano all'avanguardia nella nuova strategia della destra giovanile".
La strategia è seguita anche a Roma, diviene appunto "modello", diventa addirittura trainante per tutto un partito che ha perso i suoi leader più carismatici e galleggia tra la fine delle ideologie e l'imminente caduta del Muro. Il libro di Amorese documenta molto bene questo processo. Il decennio successivo vedrà la scomparsa del Fronte (1996) e la sua progressiva "normalizzazione". Erroneamente ho attribuito in passato questo processo alle guerre correntizie di Alleanza nazionale (e l'ho scritto nel libro Planando sopra boschi di braccia tese) e ho più volte detto che si sarebbe potuta arginare questa deriva impedendo ai leader del movimento giovanile l'ingresso alla Camera. Era un'analisi cui manca un pezzo importante: la cultura dell'aut aut che si impone negli anni Novanta, l'emersione di una destra di governo che non si preoccupa di supportare alcun riferimento culturale che non sia lo sciatto anticomunismo di maniera di moda ad Arcore, la convenienza elettorale e propagandistica di una strategia conflittuale tra bande giovanili rende possibile l'uccisione del movimento giovanile del fu Msi e l'emergere al suo posto di formazioni estremiste. Dall'altra parte si rivitalizzano le parole d'ordine di un'Autonomia che era collassata negli anni Ottanta e che ritrova concime nell'antagonismo dei centri sociali. Il risultato - a mio avviso desolante - è che la destra radicale funge oggi da polo d'attrazione e di formazione per i diciottenni che non si rassegnano a diventare renziani o grillini o che antropologicamente sono a disagio nel ruolo di berlusconi-boys. E lo spettacolo non è bello.
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