sabato 26 ottobre 2013

Il libro di Fini e la "pace" futura con i colonnelli





Annalisa Terranova

Visto il libro di Gianfranco Fini. Sfogliato, più che altro. Ma qualcosa già si intuisce, più di qualcosa anzi. Innanzitutto sono importanti le conclusioni, là dove Fini fa esplicito riferimento ai tentativi in atto di rifondare la destra e propone un orizzonte problematico a questo schieramento di “reduci” che si rimette in cammino per incollare i cocci. Guardare al futuro, fare i conti con il berlusconismo, superare le rozze contrapposizioni del passato, ragionare sulla partecipazione. Cose non nuove, del resto. Colpisce il tono sbrigativo con il quale si assolve l'ex classe dirigente della destra il cui unico peccato non è stato certo solo quello di lasciarsi sedurre dal Cavaliere. Non si risponde alla domanda di fondo: possono essere ancora quelli gli uomini adatti per rifondare la “cosa” di destra? E che fine ha fatto la messa in discussione dell'etichetta di destra che pure timidamente Fini con Fli aveva intrapreso? Il fatto che abbia scelto di sorvolare su questo fa comprendere che in realtà l'ex leader di An guarda con grande interesse ai movimenti in atto in quella che fu l'area della destra e che il mio sospetto che il libro servisse non a chiudere i conti con i colonnelli ma in realtà a riaprirli era assolutamente fondato. La seconda cosa che colpisce è infatti l'esiguo spazio dato a Fli, che finisce con il coincidere solo con l'avventura dei parlamentari che lo seguirono nella scelta scissionista antiberlusconiana dopo la cacciata dal Pdl. Il fatto di aver fatto coincidere Fli con il destino dei parlamentari finiani è stato il vero grande limite di quel progetto politico. Fini lo sa benissimo ma evita un ragionamento su questo aspetto. Butta a mare, dunque, le ambizioni di quel progetto, comprese quelle venature “eretiche” che lo avevano reso interessante anche agli occhi di chi, già nelle file del Msi, contestava il recinto – soprattutto culturale – della destra e auspicava sintesi nuove all'altezza dei tempi. Penso che questa scelta di Fini sia voluta e consapevole: non a caso nel libro evita accuratamente di citare tutti i nomi di coloro che più si sono spesi per dare al progetto finiano caratteristiche di avanguardia oltre la destra, i nomi, per essere più chiari, compromessi con il percorso rautiano o con quello della nuova destra. E' una scelta funzionale alla “pace” futura che si siglerà tra i reduci di cui parlavo all'inizio, i rifondatori di una casa comune che loro stessi, con diverse responsabilità, hanno contribuito a demolire, una casa che al tempo stesso non corrispondeva più – a mio avviso già dieci anni fa – alle reali necessità di un elettorato maturo e consapevole della caduta delle contrapposizioni novecentesche. Una scelta che ha accantonato la sfida più interessante che Fli poteva incarnare, e cioè di essere una destra oltre la destra. Per questo, le conclusioni del libro di Fini mi sembrano in singolare sintonia con un certo “racconto” che si va facendo dell'avventura finiana, che sarebbe stata rovinata e deturpata da quelli che stavano con Fini da posizioni di sinistra e che intendevano guardare al di là della triade Dio-patria-famiglia. Sarebbero stati loro, con le loro fughe in avanti, con le loro logiche incomprensibili per l'elettorato di destra, a rovinare tutto. Insomma, come dice La Russa, tutta colpa di quelli che sembravano usciti da una sezione di Rifondazione. Fini sa bene che non è così (e anche La Russa lo sa) ma, per convenienza, per pigrizia e perché in fondo ognuno ha la sua storia, sposa con il suo silenzio questa “narrazione”. Così tutto torna a posto: Fini, i colonnelli, l'elettorato di destra, i finiani non trasgressivi, i berlusconiani pentiti. E quelli che rovinano sempre tutto andranno a fare guai altrove perché, diciamolo chiaramente, la rifondazione della destra è un po' noiosetta. Futuro e libertà ha avuto almeno accenti di “eresia” - vedi l'esperimento di Latina - che rendevano l'avventura un po' divertente. Cancellati quelli, dell'avventura finiana resta ben poco da salvare. Almeno per chi scrive. 

1 commento:

  1. La lettura più interessante vista finora su questo libro. Concordo con la notazione che Fini espunge, di fatto, tutte le note di eresia che avevano colorato il percorso di Fli, condotto da Fini con la ben nota incapacità strategica e anche tattica in questo caso.
    Concordo, forse perchè sono cresciuto e ho operato nell'ambiente stimolante della componente Rautiano. E noto che Fini, come il suo mentore Almirante, cambia direzione tattica così come cambia il vento interno od internazionale. Ora che Marine Le Pen sembra ottenere successi travolgenti in Francia, Fini si orienta di nuovo al rassicurante "Dio-Patri-Famiglia", si dirige verso gli streotipi che gli facevano osannare, nel 1986, il becero razzismo di Jean Marie Le Pen proprio mentre Pino Rauti, nella storica intervista al Manifesto proponeva un nuovo modello di sostegno alle martoriate popolazioni del terzo e quarto mondo, nelle loro terre di origine.
    Pino Rauti superava gli schemi stantii, cui Fini sembra tentare di ritornare, proponendo soluzioni nuove ed "eretiche" a quel conflitto Nord-Sud del mondo che per primo aveva individuato sul finire degli anni 60 quando ancora tutti si trastullavano con il confronto Est-Ovest.
    Fini è stato sempre inadeguato a pensare nuove strategie, ora sembra difettare anche in quel Tatticismo della "Pesca delle Occasioni"(cit. Beppe Niccolai) in cui era maestro il suo mentore Almirante.

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