venerdì 2 agosto 2013

Una piccola storia della "sindrome di Badoglio"



Annalisa Terranova

Il tradimento non è una cosa bella, questo ci sta. Anche se, va detto, i primi “traditori” furono Adamo ed Eva e, dal loro tradire la parola data al Signore, venne fuori il genere umano, cioè anche noi. Ma lasciamo stare… Nel mondo della destra, in cui sono cresciuta, il tradimento è un’ossessione, è la grande metafora cui si ricorre per ricompattare le file in momenti di crisi, è la fedeltà lessicale al fascismo, per cui si ritiene di dover bandire badogliani e venticinqueluglisti. Nessuno è immune da questa tendenza, che si sposa assai spesso con la difesa della destra identitaria (ovviamente anche sul tipo di identità prescelta le definizioni divergono e gli stessi identitari, divisi in microgruppi, si accusano volentieri tra loro di tradimento, ma lasciamo stare anche questo…).
Il primo traditore per me poco più che adolescente fu Marco Tarchi. Nulla ne sapevo di lui e però mi dissero di quella frase, “bisogna uscire dal tunnel del fascismo”, che me lo rese antipatico e ovviamente badogliano tutto d’un botto. Faccio ammenda del tempo sprecato a polemizzare, in nome dell’identità, dei sacri valori e dell’evolismo, con una delle persone più intelligenti che abbiano attraversato il mondo della destra (e neanche me lo potevo permettere, ma la presunzione è un’altra caratteristica, diciamo, d’ambiente…). Salvo poi eleggerlo a martire da difendere sempre e comunque quando lo cacciarono via dal partito, prefigurando la sorte riservata spesso, in quel mondo, alle persone che pensano in proprio. E lì fu il compianto Pino Rauti ad apparire ai miei occhi un po’ traditore per non avere difeso il suo pupillo fiorentino.  
E poi persino io devo essere sembrata agli occhi di mio padre una traditrice quando osai criticare durante una cena serale con la famiglia Giorgio Almirante e lui mi ordinò di andare in camera mia, lasciandomi senza minestra perché, femmina insolente, avevo detto una parola di troppo sul “capo”.  Ma più tardi anche mio padre, divenendo romualdiano, avrebbe lambito pericolosamente l’etichetta infamante del “traditore”…



Non sto a farla lunga. Le ultime vicende le conosciamo e le conoscete. C’è oggi un “Giuda Superiore” che, come una sorta di primo mobile aristotelico, avrebbe dato la spinta dissolutrice al mondo della destra rovinando tutto. Non esiste davvero nella realtà, ovviamente, ma esiste nel racconto rassicurante che un mondo continua a farsi per sentirsi nonostante tutto puro e incontaminato. Una faccia, una storia, è stata incollata all’archetipo e la narrazione funziona a meraviglia. E in fondo quella faccia, quella storia neanche meriterebbero l’onore di trovarsi in cima alla classifica della cattiveria. La caccia al traditore, tuttavia, distoglie da altri compiti più impegnativi. Ai funerali di Pino Rauti, dentro la basilica di San Marco, ho visto “camerati” che si affaccendavano schiumanti a cercare di raggiungere il “traditore sommo”. Li ho sentiti dire: “Datecelo, questo traditore di merda, ‘sto infame…”. Uno mi venne pure a dire: “Digli ai tuoi amici finiani che sono in Chiesa che è più salutare se se ne vanno”. Risposta: “Ma come, loro erano tutti con Rauti, hanno più diritto di te a stare qua…”. E quello si fece una risata. Perché la logica della caccia al traditore, quando parte, non sta a fare distinzioni razionali giungendo fino a ribaltare la realtà, sicché tutti quelli che, in accordo con il traditore sommo, avevano in passato osteggiato Rauti arrivando a togliere voti al Msi pur di far cadere la sua segreteria, ora davano la caccia, in chiesa, al loro ex capo imputandogli di essere stato antirautiano. Una scena penosa. Ma una scena che spiega perché la destra è finita come è finita, crogiolandosi nell’incapacità di liberarsi di alcuni tabù d’origine che ne hanno sempre minato la credibilità e che l’hanno fatta identificare con un settarismo indigeribile e incomprensibile alla gente normale. In ogni caso una scena rivelatrice.




Bisogna studiare la filosofia medievale per capire dove va a parare l’ossessione del tradimento. Invece purtroppo non si studia mai, né al liceo né all’università (tranne poche eccezioni, tra cui la sottoscritta). Bisogna risalire alla disputa sugli universali: Abelardo diceva che gli universali, in fondo, non sono “res” (cose, sostanza) ma immagini delle “res”, nomi insomma. E i nomi cambiano mentre le “res” stanno sempre lì, fisse e immobili. I nomi sono frutto della mente dell’uomo e dunque si possono mettere in discussione senza tradire la legge divina. Per i nominalisti esiste il tavolo ma non la “tavolitudine”, per gli universalisti esiste la “tavolitudine” di cui il singolo tavolo è solo un riflesso. San Bernardo fece condannare Abelardo nel Concilio di Sens del 1141. Quando studiai queste cose pensai automaticamente che Abelardo fosse di “sinistra” e San Bernardo di “destra”. 



Oggi non penserei più queste sciocchezze. Ha fascino, il tormento di Abelardo. E ha ragione pure Bernardo di Chiaravalle quando privilegia l’ascesi rispetto alla vana ricerca razionale.

Questa disputa attraversa per intero la storia del pensiero occidentale e si riflette anche in politica. I conservatori sono gli universalisti dei tempi moderni e i rivoluzionari sono gli eredi dei nominalisti. Ovviamente, sto semplificando. Per arrivare a dire che questo schema fisso non può più reggere dinanzi a un mondo complesso così come non regge la pura appartenenza alla destra o alla sinistra. Da lì si parte ma non si può restare immobili nel recinto dell’identità chiamando “traditori” tutti quelli che si mettono in cammino. In fondo, chi fa così è colui che tradisce davvero l’urgenza che ha la politica di andare anche su sentieri sconosciuti (cito un po’ a memoria Drieu La Rochelle, fascistissimo, dunque non potete accusarmi di tradire il “pantheon di riferimento). Non mi piacerebbe identificare la destra con la difesa di ciò che è immobile, con la paura di un mondo che si muove. Certo, scoprire che il “tradimento”, nella forma che ho cercato di spiegare, è necessario in qualche modo alla vita dell’uomo e anche alla vita dei movimenti politici per introdurre salutari elementi di novità nella fissità delle ricette ideologiche, per uno di destra può costituire uno choc. Ma non è detto che non gli faccia bene. In caso contrario fatti suoi. 



Può sempre consolarsi pensando che in fondo anche Benito Mussolini fu un “traditore”  niente male: socialista e poi fascista, ateo e poi ispiratore del Concordato, pacifista e poi guerrafondaio, antitedesco e poi alleato del Reich, per non parlare delle storie di letto. E allora, se non altro in nome di Nonno Benito, che si provi a farla finita con la sindrome del maresciallo Badoglio… 

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