Annalisa Terranova
Il tradimento non è una cosa bella, questo ci sta. Anche se,
va detto, i primi “traditori” furono Adamo ed Eva e, dal loro tradire la parola
data al Signore, venne fuori il genere umano, cioè anche noi. Ma lasciamo stare…
Nel mondo della destra, in cui sono cresciuta, il tradimento è un’ossessione, è
la grande metafora cui si ricorre per ricompattare le file in momenti di crisi,
è la fedeltà lessicale al fascismo, per cui si ritiene di dover bandire
badogliani e venticinqueluglisti. Nessuno è immune da questa tendenza, che si
sposa assai spesso con la difesa della destra identitaria (ovviamente anche sul
tipo di identità prescelta le definizioni divergono e gli stessi identitari,
divisi in microgruppi, si accusano volentieri tra loro di tradimento, ma lasciamo
stare anche questo…).
Il primo traditore per me poco più che adolescente fu Marco
Tarchi. Nulla ne sapevo di lui e però mi dissero di quella frase, “bisogna
uscire dal tunnel del fascismo”, che me lo rese antipatico e ovviamente
badogliano tutto d’un botto. Faccio ammenda del tempo sprecato a polemizzare,
in nome dell’identità, dei sacri valori e dell’evolismo, con una delle persone
più intelligenti che abbiano attraversato il mondo della destra (e neanche me
lo potevo permettere, ma la presunzione è un’altra caratteristica, diciamo, d’ambiente…).
Salvo poi eleggerlo a martire da difendere sempre e comunque quando lo
cacciarono via dal partito, prefigurando la sorte riservata spesso, in quel
mondo, alle persone che pensano in proprio. E lì fu il compianto Pino Rauti ad
apparire ai miei occhi un po’ traditore per non avere difeso il suo pupillo
fiorentino.
E poi persino io devo essere sembrata agli occhi di mio
padre una traditrice quando osai criticare durante una cena serale con la
famiglia Giorgio Almirante e lui mi ordinò di andare in camera mia, lasciandomi
senza minestra perché, femmina insolente, avevo detto una parola di troppo sul “capo”.
Ma più tardi anche mio padre, divenendo
romualdiano, avrebbe lambito pericolosamente l’etichetta infamante del “traditore”…
Non sto a farla lunga. Le ultime vicende le conosciamo e le
conoscete. C’è oggi un “Giuda Superiore” che, come una sorta di primo mobile
aristotelico, avrebbe dato la spinta dissolutrice al mondo della destra
rovinando tutto. Non esiste davvero nella realtà, ovviamente, ma esiste nel
racconto rassicurante che un mondo continua a farsi per sentirsi nonostante
tutto puro e incontaminato. Una faccia, una storia, è stata incollata all’archetipo
e la narrazione funziona a meraviglia. E in fondo quella faccia, quella storia neanche
meriterebbero l’onore di trovarsi in cima alla classifica della cattiveria. La
caccia al traditore, tuttavia, distoglie da altri compiti più impegnativi. Ai
funerali di Pino Rauti, dentro la basilica di San Marco, ho visto “camerati”
che si affaccendavano schiumanti a cercare di raggiungere il “traditore sommo”.
Li ho sentiti dire: “Datecelo, questo traditore di merda, ‘sto infame…”. Uno mi
venne pure a dire: “Digli ai tuoi amici finiani che sono in Chiesa che è più
salutare se se ne vanno”. Risposta: “Ma come, loro erano tutti con Rauti, hanno
più diritto di te a stare qua…”. E quello si fece una risata. Perché la logica
della caccia al traditore, quando parte, non sta a fare distinzioni razionali
giungendo fino a ribaltare la realtà, sicché tutti quelli che, in accordo con
il traditore sommo, avevano in passato osteggiato Rauti arrivando a togliere
voti al Msi pur di far cadere la sua segreteria, ora davano la caccia, in
chiesa, al loro ex capo imputandogli di essere stato antirautiano. Una scena
penosa. Ma una scena che spiega perché la destra è finita come è finita,
crogiolandosi nell’incapacità di liberarsi di alcuni tabù d’origine che ne
hanno sempre minato la credibilità e che l’hanno fatta identificare con un
settarismo indigeribile e incomprensibile alla gente normale. In ogni caso una
scena rivelatrice.
Bisogna studiare la filosofia medievale per capire dove va a
parare l’ossessione del tradimento. Invece purtroppo non si studia mai, né al
liceo né all’università (tranne poche eccezioni, tra cui la sottoscritta).
Bisogna risalire alla disputa sugli universali: Abelardo diceva che gli
universali, in fondo, non sono “res” (cose, sostanza) ma immagini delle “res”,
nomi insomma. E i nomi cambiano mentre le “res” stanno sempre lì, fisse e
immobili. I nomi sono frutto della mente dell’uomo e dunque si possono mettere
in discussione senza tradire la legge divina. Per i nominalisti esiste il
tavolo ma non la “tavolitudine”, per gli universalisti esiste la “tavolitudine”
di cui il singolo tavolo è solo un riflesso. San Bernardo fece condannare
Abelardo nel Concilio di Sens del 1141. Quando studiai queste cose pensai
automaticamente che Abelardo fosse di “sinistra” e San Bernardo di “destra”.
Oggi non penserei più queste sciocchezze. Ha fascino, il tormento di Abelardo.
E ha ragione pure Bernardo di Chiaravalle quando privilegia l’ascesi rispetto
alla vana ricerca razionale.
Questa disputa attraversa per intero la storia del pensiero
occidentale e si riflette anche in politica. I conservatori sono gli
universalisti dei tempi moderni e i rivoluzionari sono gli eredi dei
nominalisti. Ovviamente, sto semplificando. Per arrivare a dire che questo
schema fisso non può più reggere dinanzi a un mondo complesso così come non
regge la pura appartenenza alla destra o alla sinistra. Da lì si parte ma non
si può restare immobili nel recinto dell’identità chiamando “traditori” tutti
quelli che si mettono in cammino. In fondo, chi fa così è colui che tradisce
davvero l’urgenza che ha la politica di andare anche su sentieri sconosciuti
(cito un po’ a memoria Drieu La Rochelle, fascistissimo, dunque non potete
accusarmi di tradire il “pantheon di riferimento). Non mi piacerebbe
identificare la destra con la difesa di ciò che è immobile, con la paura di un
mondo che si muove. Certo, scoprire che il “tradimento”, nella forma che ho
cercato di spiegare, è necessario in qualche modo alla vita dell’uomo e anche
alla vita dei movimenti politici per introdurre salutari elementi di novità
nella fissità delle ricette ideologiche, per uno di destra può costituire uno
choc. Ma non è detto che non gli faccia bene. In caso contrario fatti suoi.
Può
sempre consolarsi pensando che in fondo anche Benito Mussolini fu un “traditore” niente male: socialista e poi fascista, ateo
e poi ispiratore del Concordato, pacifista e poi guerrafondaio, antitedesco e
poi alleato del Reich, per non parlare delle storie di letto. E allora, se non
altro in nome di Nonno Benito, che si provi a farla finita con la sindrome del
maresciallo Badoglio…
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