Marina Maugeri
Lo scorso sabato il nuovo sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha
inaugurato in Via dei Fori Imperiali l'attesa pedonalizzazione del tratto tra largo
Corrado Ricci e il Colosseo, affermando con le parole del presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano l’intenzione di procedere “verso l’attuazione del
grande Parco Archeologico tra il centro della città e l'Appia Antica, secondo
la visione anticipatrice di numerosi archeologi, uomini di cultura e amministratori
locali, e tra questi in particolare Antonio Cederna, Giulio Carlo Argan e Luigi
Petroselli". Un percorso che non va demonizzato ma su cui occorre comunque fare
delle precisazioni di merito. La valorizzazione dei beni archeologici della Città
procederà, infatti, secondo le prospettive annunciate con la prassi di
rimozione del tratto di Via, piuttosto che “conservativa” dei beni, rimuovendo
le preesistenze moderne a partire da un giudizio di natura ideologica senza
tenere conto dell’istanza storica. Il tratto di strada bollato come esempio di
“richiamo a retoriche belliciste si ispirò in effetti a richiami altrettanto
ideologici, ma in termini storici più complessi di quelli ascrivibili alle pretese
di potenza innestate nel passato sul culto della romanità.Il tratto urbano era stato, infatti, concepito fra il 1927 e il
1932 allo scopo di ricongiungere idealmente il ricordo della civiltà di Roma
antica con il patriottismonovecentesco e la memoria del sacrificio dei
fanti-contadini della Prima guerra mondiale, collegandosi idealmente, almeno in
parte, alle istanze storiche che avevano ispirato il monumento pre-fascista
dell’Altare della Patria, il cui innalzamento voluto con un concorso nel 1880
aveva deturpato intenzionalmente il profilo dell’Ara Coeli e del complesso capitolino
per imporre una certa visione ideologica tipica delle classi dirigenti del nuovo Stato nato dal Risorgimento ed era stato
inaugurato da Ernesto Nathan, sindaco repubblicano, massone e laico.La “Via dell’Impero”, aperta al pubblico da Mussolini che
montava a cavallo sotto lo sguardo dei mutilati della grande Guerra, aveva
celebrato un tipo di Patria di stampo romantico e ottocentesco, promuovendo una
modernità di gusto “futurista” nell’idea di realizzare una grande arteria che
sfrecciava arditamente fra i fori vetusti, per la cui costruzione era stato sacrificato
il quartiere “alessandrino” e le preesistenze medioevali e rinascimentali,
abitazioni, conventi e chiese. La denominazione di "Via dell'Impero" non riguardò,
perciò, solo l’area che va da Piazza Venezia alla piazza del Colosseo, divenuta
raggiungibile con l'eliminazione dell'antica collina della Velia,ma anche le
attuali vie "di San Gregorio" e "delle Terme di Caracalla",
perché il nastro d’asfalto che solcava una parte della Città eterna aveva la
pretesa di travasare il fiume dell’antichità nella “via del Mare”, sfociando
nell’Eur, il trentaduesimo quartiere di Roma costruito in occasione della fiera
internazionale del 1935 su proposta di Giuseppe Bottai.Il “miglio d’oro” contestato dall'attuale giunta ha quindi un notevole significato simbolico, storico e culturale. Via dei Fori imperiali, non è semplicemente una Via dove imperversano le auto blu del potere, ma uno
snodo cruciale di storia, un pezzo di cultura moderna che pone un problema dal
punto di vista del senso storico da attribuire alle tracce del passato più
recente che disegnano il profilo di un paesaggio e, a maggior ragione, quello
della città. Se un “bene culturale” si definisce, infatti, anche in quanto
"bene comune" perché riveste il complesso spirituale e materiale che
un popolo eredita dal passato ed è espressione di un’esperienza all’interno di
una storia che contribuisce ad edificare il profilo di quella storia, questo
tratto urbano dovrebbe essere considerato con un riguardo particolare.Fuori dalla tifoseria ideologica, infatti, il progetto del sindaco
assume i contorni di una questione importante, niente affatto scontata e con notevoli
implicazioni pratiche. Se su Via dei Fori Imperiali dovesse insistere, poi,
anche il vincolo di una tutela, derivante dal significato eminentemente storico
di una testimonianza risalente ormai a più di 50 anni fa, la sua cancellazione
contravverrebbe proprio quella cultura della tutela che il Nuovo Codice dei
beni culturali ha assorbito tout court dalla legge Bottai del 1939,
che è stata un caposaldo storico nella normativa sui beni. Anche se in assenza di una
ricognizione e di un’istruttoria da parte dell'autorità preposta alla tutela il
vincolo non può ritenersi automaticamente esercitato, rimane sul campo un
problema di percezione culturale della preesistenza moderna. Inoltre, vincoli a
parte, se l’obiettivo della “chirurgia estetica” dell’attuale sindaco di Roma è
quello di creare un parco archeologico che dovrebbe estendersi da Via dei Fori
Imperiali all’Appia Antica va segnalato che proprio in questa area ricadono
tutte preesistenze archeologiche di proprietà dello Stato, perciò di competenza
esclusiva degli organismi periferici del Ministero dei Beni Culturali e non del
Comune di Roma.L’amministrazione capitolina in queste aree non dovrebbe avere
nessuna competenza e la sua azione dovrebbe limitarsi perciò alla
pedonalizzazione, alla giusta promozione quindi di quella sensibilità civica
per la tutela dei beni culturali necessaria al rispetto della dignità dei
monumenti storici. Il sindaco avrebbe, inoltre, il dovere e l’obbligo di
preservare degnamente il patrimonio storico e archeologico di proprietà del
Comune dal degrado, a cominciare dal sistema delle mura antiche, dalle cui
millenarie pietre sgorgano numerose ferite.La “Via dell’Impero” di Marino è, almeno al momento, lastricata di molte
contraddizioni, che rispecchiano il generale clima di arretramento della
cultura della tutela in tutti questi anni, il quale si esprime sotto il profilo di
un’insensibilità generalizzata e trasversale di fronte alle reali necessità del
patrimonio storico artistico. Come dimostra anche l’appalto del tanto declamato
restauro del Colosseo, bandito dal Commissario straordinario per le aree
archeologiche di Roma con una gara in cui la categoria di lavori richiesta alle
imprese partecipanti si “confonde” con quella afferente ai lavori
dell’edilizia, non coincidendo con le operazioni di restauro descritte nella
perizia dei lavori, per le quali la legge prevede un’apposita categoria
specialistica. Ma questa è tutta un’altra storia...
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