domenica 25 agosto 2013

Postfascisti e cultura: un libro parla delle battaglie sui libri di testo e sul Crocifisso. Ma i risultati sono stati deludenti...




Annalisa Terranova

Sul Corriere della sera dello scorso 14 agosto la pagina culturale era dedicata al libro di Gabriele Turi La cultura delle destre. Alla ricerca dell’egemonia culturale in Italia (Bollati Boringhieri) che si propone di dimostrare in che modo le destre, appunto, avrebbero rovesciato l’egemonia culturale della sinistra. A parte il fatto che la ricerca si inserisce in uno schema vecchio e ormai superato perché non esiste più egemonia culturale della sinistra e non è mai esistita una capacità della destra di scalfirla, l’autore dell’articolo, Pierluigi Panza, mette in luce i nuclei tematici che, secondo Turi, avrebbero contraddistinto le battaglie culturali del mondo della destra. Essi sono tre: il primo è l’intrattenimento televisivo (insomma i sottoprodotti dell’infotainment delle tv berlusconiane) sul quale non vale neanche la pena pronunciarsi anche se è innegabile che costituisca il terreno fertile sul quale il centrodestra ha seminato i suoi luoghi comuni per raccogliere consensi. Più interessanti gli altri due punti: il revisionismo dei testi di storia e la “battaglia giuridico-identitaria delle destre sul mantenimento del crocifisso in classe”.



Il primo argomento è molto stimolante: è vero che la destra (quella non berlusconiana in questo caso) è riuscita a porre al centro dell’attenzione mediatica e politica il tema dell’indottrinamento tra i banchi di scuola ma a questa sacrosanta denuncia è seguita davvero un’operazione culturale capace di lasciare traccia? Decisamente no. Va ricordato chi furono i protagonisti di questa crociata contro i manuali faziosi: Giorgia Meloni che si recò in una libreria romana con altri militanti per un’azione dimostrativa contro i libri di storia “manichei” e Francesco Storace che da presidente del Lazio fece approvare e difese una mozione (promotore Fabio Rampelli) per la riscrittura dei libri di testo che ignoravano alcuni aspetti della storia del Novecento sgraditi alla sinistra (a cominciare dal capitolo foibe). Il dibattito che ne scaturì fu salutare: si cominciò a dire, da parte di studiosi autorevoli, che la storiografia è in effetti un revisionismo continuo e che non possono esistere periodi storici sui quali il giudizio dato sia definitivo e in qualche modo “canonizzato”. L’editore del Cerchio, Adolfo Morganti, promosse una collana di testi integrativi destinati agli studenti che offrivano chiavi di lettura alternative su argomenti spinosi: dal Medioevo al Risorgimento alla letteratura del Novecento. Eppure, a distanza di anni, possiamo concludere che le aspettative suscitate da quella battaglia sono state deluse: vera opera di revisionismo a livello di opinione pubblica è stata compiuta ad esempio da Giampaolo Pansa con il suo Il sangue dei vinti, ma Pansa non è di destra. E poi ancora la stessa opera è stata portata avanti dal successo del romanzo di Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, ma Pennacchi non è di destra, anzi si dichiara marxista non pentito. Libri di testo alternativi riconducibili a teorie storiografiche accettabili per la destra non ce ne sono e non ce ne possono essere perché la ricerca storica, se sollecitata dalla politica, perde ogni valore. Inoltre non si può dimenticare che proprio un ministro di centrodestra, Mariastella Gelmini, ha fatto scempio dei programmi di storia stravolgendone l’impianto cronologico alle medie e alle superiori.  Che se ne deve concludere? Che come spesso avviene in questi casi le battaglie culturali sono state piegate ad interessi elettorali e non hanno avuto una solida rete di supporto culturale capace di agire in profondità in una prospettiva di lunga durata.



Non meno interessante il tema del crocifisso in classe. Qui si è sovrapposta alla battaglia giuridico-identitaria sul simbolo del cristianesimo una vera e propria azione mistificante. Si è fatta circolare cioè l’ipotesi – falsa – che a non volere il crocifisso in classe fossero i musulmani (grazie ai depistaggi mediatici di un personaggio screditato come Adel Smith) mentre si trattava di un’istanza portata avanti nel nome di un indifferenziato ateismo (non a caso molti imam hanno dichiarato non solo di non sentirsi offesi dal crocifisso ma anche di non sentirsi affatto turbati dall’allestimento del presepe nelle scuole). Ma la polemica antimusulmana serviva a sua volta ad appoggiare il neoimperialismo dell’amministrazione Bush e le sue azioni di guerra in Afghanistan e in Iraq. Così si è dato fiato alle trombe della propaganda sullo “scontro di civiltà” (quasi nessuno a destra si è sottratto al fascino perverso del verbo di Oriana Fallaci, anche lei non certo di destra) mentre un autentico intellettuale di destra come Franco Cardini, che da allora scrive e parla contro l’ipotesi dello scontro di civiltà, è rimasto inascoltato. La logica sciatta del nemico facile e individuabile ha prevalso sulla complessità dei temi posti in gioco dalle scorribande antireligiose che hanno una radice illuminista e tutta occidentale e che con l’Islam non c’entrano niente.

Questi appunti possono bastare, crediamo, a far comprendere quanto la destra sia ancora poco attrezzata sul piano di battaglie culturali che dovrebbero aspirare ad essere metapolitiche e non semplici espedienti per foraggiare l’ingranaggio del facile consenso.  

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