venerdì 23 agosto 2013

"Fino alla tua bellezza": il reducismo eroico cantato da Gabriele Marconi nel suo ultimo romanzo




Annalisa Terranova

La guerra civile spagnola, o meglio la guerra contro i rossi, i nemici assoluti, i nemici di sempre. Se poi a scegliere questa trincea sono anche degli ex legionari reduci dall’avventura di Fiume si capisce bene che il mix di ingredienti che Gabriele Marconi ha scelto di imbastire nel suo ultimo romanzo, Fino alla tua bellezza (Castelvecchi), è quello giusto per catturare il lettore. E infatti si legge volentieri. Romanzo d’avventura, più che politico, Fino alla tua bellezza narra dello spirito ardimentoso di Marco, Giulio, il francese Herbillot, l’ex combattente fiumano Dado finito sulla barricata antifranchista e persino dello spirito ribelle di un ragazzino, Hernan, capace di incantare i serpenti, fino al capitano carlista Barrau della Columna Redondo. Una storia ambientata nel 1937 ma che, come tutte le storie di guerra e di amicizia, potrebbe avvenire in ogni tempo e in ogni luogo (anche se i riferimenti storici ci sono e sono precisi). 

In pratica una bella banda di tipini che hanno voglia di menare le mani, detestano la vita borghese, amano cercare la “bella morte”, rimpiangono tardivamente di non avere dato spazio agli affetti. Tipi che combattono le battaglie giuste anche se sono incerti sulla vittoria, soprattutto se sono incerti della vittoria. Fascisti sansepolcristi, se si volesse sfoggiare l'uso di una categoria storiografica. Ciò che li lega, oltre le ideologie, è l’amicizia cementata nelle “tempeste d’acciaio”. Un sentimento elementare ma intenso che fa combattere dalla stessa parte fascisti e antifascisti se si tratta di salvare la pelle a un antico ex camerata (divenuto anarchico) che rischia di finire impigliato nel tritacarne dei sospetti della fazione stalinista che imperversa tra le schiere repubblicane. Dunque si beve insieme, si combatte insieme, e sempre insieme ci si lamenta della rivoluzione tradita o meglio della rivoluzione mai cominciata (e qua è impossibile non rilevare negli accenti usati dall’autore l’ispirazione tratta dalla massima “la rivoluzione segna il passo” che era così frequente, sul finire degli anni Settanta ma anche dopo, nelle file disperate di chi aveva combattuto battaglie infruttuose oltre che luttuose).   

Il susseguirsi di azioni rocambolesche diventa quasi rifugio oppiaceo per chi non ha alcuna intenzione di inserirsi tra i “normali”. Una visione rassicurante e consolatoria anche da parte di chi dà vita sulla carta a questi eroi un po’ fumettistici, troppo innamorati di se stessi per concedersi ad amori veri. E così una delle pagine più belle arriva proprio quando il legionario si ubriaca e cede ai rivolgimenti del destino che a volte procura dolore anche agli indomiti guerrieri. Pagina bella soprattutto per la ninna nanna cantata da Anna al tenente Giulio. “Mi votu e mi rivotu suspirannu/ passo li notti interi senza sonnu/ e li biddizzi toi jeu contimplannu/ mi passu di la notti ‘nsin ‘a gghiornu”. Non c’è solo il sangue, per fortuna, ma anche l’abbandono, la pace, la ricerca di un po’ di serenità. E alla fine si sprigiona da questo romanzo un solo granitico credo: i reduci possono fare e rifare solo quello che facevano quando non erano ancora reduci. Solo così sono e si sentono autentici. Ma vale per tutti i reduci, anche per quelli che provengono da guerre molto meno importanti e molto più strumentalizzate? La domanda resta sospesa… ma non senza un ultimo appunto sulle figure femminili: o sono anch’esse guerriere un po’ esaltate, o sono dive incantevoli o sono crocerossine. Dico allora a Gabriele: e proviamoci a farle un po’ più simpatiche ‘ste donne dei camerati, un po’ meno “assolute”, un po’ meno archetipiche. Tra Afrodite, Demetra e le Amazzoni ci sarà pure una via di mezzo…

Nessun commento:

Posta un commento