domenica 25 agosto 2013

Quello “strappo” con Almirante nel lontano '48. Lando Dell’Amico e i dubbi sul ruolo del Msi


Riccardo Ponti

È un libro da leggere, questo La leggenda del giornalista spia (Koinè, pp. 375, euro 18,00) di Lando Dell’Amico, utile soprattutto per cercare di afferrare dietro le quinte i fili e gli intrecci di almeno sessant’anni di vita pubblica italiana, dalla fine del fascismo sino all’avvento di Berlusconi in politica. Da leggere, innanzitutto per l’autore e protagonista del libro, un giornalista che ha attraversato in prima linea tutti i punti critici del secondo dopoguerra e degli anni della guerra fredda, ma anche per l’interessante affresco di prima mano su cosa sia stato nel profondo, nel nostro “secolo breve” all’italiana, l’intreccio tra potere politico, potentati industriali e finanziari, azioni delle potenze straniere, apparato tecno-militare e su quali siano state le sue ricadute. Terzo elemento di interesse, infine, lo scoperchiamento del ruolo sotterraneo, ma non troppo, del giornalismo e delle agenzie di stampa nel diffondere notizie e condizionare la partita politica. Dell’Amico rievoca e racconta le vicende che hanno coinvolto la sua azienda editoriale, l’Agenzia Giornalistica Repubblica (con tanto dell’annessa Agenzia parlamentare Montecitorio), ma quelle stesse esperienze riguardavano, nella stessa modalità, tutte le altre aziende editoriali e giornalistiche dello stesso lungo periodo: riferimento diretto o meno a una o più realtà finanziarie o industriali (nel suo caso prima l’Eni, poi la Sarom del petroliere Monti), l’aggancio con spezzoni del mondo politico, il cavalcare campagne – scandalistiche o meno – in grado di condizionare l’evoluzione del quadro politico. Un intreccio complesso e articolato che se è valso per l’Agenzia di Dell’Amico, valeva anche per altre realtà, fossero esse le agenzie di stampa oppure testate come Lo Specchio o Il Borghese di Mario Tedeschi, Abc, Tempo Illustrato, Op e Mondo d’Oggi ma anche L’Espresso di Scalfari e Jannuzzi o, oggi, il sito Dagospia. Che un certo tipo di giornalismo raccolga e diffonda informazioni, anche attraverso dossier, e ne faccia campagne, è una dimensione propria della vicenda italiana del secondo dopoguerra, e non ha senso tratteggiare come “giornalista spia” solo qualcuno dei suoi protagonisti come Dell’Amico, in quale oggi ottantasettenne s’è tolto qualche sassolino dalle scarpe e racconta tutta la sua avventura…


Lando Dell’Amico ha del resto alle sue spalle un percorso politico-culturale davvero interessante e in grado di rappresentare una metafora del nostro Novecento. Nato a Carrara nel 1926, figlio di un fascista, si arruola giovanissimo nella Rsi. Combatte ad Anzio con la Decima Mas e viene ferito. Si rifugia a Roma dopo che la fine della guerra l’avevo colto a Varese in licenza di convalescenza. Si rifugia a Roma e lì frequenta gli ex camerati repubblichini, dalle 13 alle 20 di ogni giorno, accompagnando suo padre e sua madre in un vicolo sotto il Quirinale: “Fu lì che conobbi, con le toppe sui pantaloni, persino Giorgio Almirante, l’ex capo di gabinetto del ministro della Cultura Popolare della Rsi, leader ancora in pectore del Msi, e insistevo in quelle frequentazioni politiche più che per complottare o tramare ma soprattutto per consumare i pasti che Santa Romana Chiesa ivi allestiva per gli affamati e i nullatenenti reduci dall’ultima avventura mussoliniana”.
Alla fine del 1946, fondato il partito neofascista, Almirante nomina proprio Lando Dell’Amico primo segretario del Raggruppamento Giovanile Studenti e Lavoratori, il primo movimento giovanile missino, anticipatore di ciò che in futuro saranno la Giovane Italia e il Fronte della Gioventù. Ma durò pochi mesi, Dell’Amico sbatte la porta e trasloca con i fasciocomunisti della rivista Il Pensiero nazionale, diretta e fondata da Stanis Ruinas. Da leggere, all’inizio del libro, una corrispondenza tra lui e Almirante della fine del 1948. A ottobre Dell’Amico aveva infatti scritto ad Almirante, diventato nel frattempo deputato oltre che segretario nazionale del partito degli ex fascisti: “La politica del Msi passa ormai anni luce dalle mie convinzioni. Il fascismo è morto con Mussolini… Noi giovani stiamo nascendo alla politica e alla dialettica delle idee in un’epoca di libertà, se pure in un quadro di restaurazione capitalistica e d’imperialismo americano, mentre il Msi canta d’essere nato ‘in un cupo tramonto’. Un clima di cui non avvertiamo il pathos pessimistico. Tu sei – scriveva il ventiduenne Dell’Amico all’amico Almirante – una persona seria, credi in quello che fai, non sei intellettualmente imbalsamato. E rifiuti, me lo dicesti proprio nel giorno in cui ci conoscemmo, l’esperienza giovanile di segretario di redazione della rivista La Difesa della Razza. Ma mi dai l’impressione di volere al momento coltivare l’orticello elettorale del reducismo e del nostalgismo, addirittura del neofascismo storico, pre-Salò, senza provocare strappi salutari seppur sentimentalmente dolorosi perché fondati sull’autocritica…”. Davvero lucida e anticipatrice l’analisi sul “ruolo” del partito di Almirante: “Quando il Msi, la cui unica missione mi pare sia ormai quella di conservare moralmente ma politicamente ibernata una base del tutto estranea se non nemica del sistema democratico avanzato, aperto al sociale come si va delineando dopo la guerra perduta, dovrebbe invece sposare la lettera e lo spirito della Costituzione repubblicana contribuendo con lealtà a sensibilizzarne gli articoli più significativi nel segno di un socialismo aggiornato. L’unica cosa da non dimenticare di Benito Mussolini mi sembra infatti dover essere il principio secondo cui la rivoluzione nazionale italiana non deve catalogarsi né di destra né di sinistra. Paradossalmente, tanto meno di centro”. E Dell’Amico concludeva la sua lunga lettera con l’ingenuo tentativo di poter ricondurre Almirante e il suo partito su posizioni non di destra: “Ai quadri dirigenti missini qualcuno, e questo qualcuno potresti essere tu, deve far leggere Sorel e Gentile, passando per le interpretazioni di Ugo Spirito e di Antonio Gramsci. Senza ostinarsi a ritenere inesistente un certo Karl Marx. E quando il Msi avrà compiuto questa revisione culturale, potremmo rincontrarci. Purché non sia ormai tardi, visto che il mondo si muove, non sta seduto a leccarsi le ferite, va avanti. In caso contrario, vi ritroverete tutti a indossare la camicia bianca del conservatorismo e della reazione, al servizio del pensiero unico imperiale americano”.


Undici giorni dopo, il 22 ottobre, Almirante gli risponde: “Non ti nego che molte delle tue argomentazioni – gli precisa – mi paiono solide e convincenti. Ma io ho fiducia nell’avvenire del Msi, cioè non tanto e non soltanto nella possibilità che il Msi si affermi politicamente ed elettoralmente, quanto e soprattutto che attraverso il Msi sia realizzata la nostra rivoluzione”. La successiva lettera di Dell’Amico è quindi definitiva: “Non comprendo perché, allora, il Msi rifiuti a tre anni dalla fine della guerra civile e dalla scomparsa di Mussolini di fare autocritica. Perché non dichiarare solennemente e senza reticenze che il fascismo sbagliò nel 1940 a entrare in guerra a fianco di Hitler, anche se ritengo anch’io giusto, come del resto ho dimostrato sulla mia pelle e con il mio sangue combattendo con il Barbarigo della Decima Mas sul fronte di Anzio contro gli americani nel ’44, la scelta di mantenere fede comunque all’alleato a sconfitta militare scontata? Perché non proclamare che le leggi razziali del ’38 rappresentavano un’infamia, peggio un errore. Comunque, un atto di sudditanza alla Germania nazista, una devianza culturale dalla nostra rivoluzione (così come tu ti esprimi), dalla cultura che s’ispira al Risorgimento, al sindacalismo rivoluzionario di Sorel e Corridoni e all’attualismo di Gentile? La dialettica fascismo-antifascismo non ha più senso reale. E io personalmente, insieme ai miei amici del Pensiero nazionale, pensiamo a un’evoluzione in cui gli italiani si ritrovino a-fascisti e a-antifascisti. Morto il fascismo dovrebbe essere in punta di morte anche l’antifascismo… Non dovrebbe, ad esempio, un erresseista sentirsi oggi più vicino ai socialisti e ai comunisti, partiti della classe operaia, piuttosto che alla Dc e ai partitini che le fanno corona? È la tua politica, caro Giorgio, che invece fa involontariamente il gioco dei partiti del Cln tendente a tener fuori dal governo il Msi magari per bilanciare e giustificare l’ostracismo alla sinistra. Non è infatti tanto il reducismo, con i suoi alalà, drappi neri, teschi, saluti romani che mi infastidisce, quanto l’appiattimento del partito da te guidato su programmi obsoleti, su politiche superate, su parole d’ordine ripetitive e caduche…”.


Con queste parole, scritte nel lontanissimo 1948, Dell’Amico rompeva definitivamente col neofascismo. E avviava un suo percorso personale, prima di collaborazione con Pajetta, Pecchioli e Togliatti per cercare di recuperare nel Pci i giovani neofascisti in buona fede, poi – dopo la morte di Stalin – in area socialista e socialdemocratica, divenendo segretario particolare di Ignazio Silone e scrivendo su testate come La Giustizia, Giovedì, Il Mondo. Racconterà queste sue esperienze in un libro del 1955, Il mestiere di comunista, introdotto da Giuseppe Saragat e Ignazio Silone. Quindi, come scriveva già nel ’48 ad Almirante – “personalmente, te lo dico per tranquillizzarti in nome di una ormai annosa amicizia, non penso a impegni politici ma al giornalismo” – avviava le sue iniziative editoriali. Con le quali si legherà a Enrico Mattei, a Attilio Monti, a Amintore Fanfani (“nella sua avventura politica e ideale ritrovavo, in grande, le tracce della mia piccola avventura fasciocomunista…”), a Vittorio Sbardella, a Alberto Giovannini, a Giuseppe Saragat e a tanti altri protagonisti, grandi e piccoli, delle vicende della seconda metà del Novecento. Ma, per quanto ci riguarda, le pagine sulla sua “rottura” con Almirante rivestono storiograficamente un certo valore per chiunque voglia indagare e capire le parti oscure e non ancora chiarite sulle origini del Msi e il ruolo (al di là della buonafede dei suoi militanti, dei suoi elettori e di molti suoi dirigenti) svolto concretamente da questo partito. 

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