domenica 16 novembre 2014

Una domenica di buone letture tra Péguy e Pérez Reverte (passando per Enrico Vanzina)



Luciano Lanna

Cosa segnaliamo dalle pagine culturali di questa domenica? Innanzitutto, l’articolo “Péguy vero umanista” del filosofo francese Alain Finkielkraut che compare oggi su Avvenire. Il testo contiene le linee guida della relazione “Ogni cosa è ‘avvenimento’. Ripartiamo da Péguy” che Finkielkraut terrà domani, lunedì, a Milano. “Péguy – scrive il pensatore riferendosi al grande intellettuale di cui quest’anno ricorre il centenario della morte – è un autore ‘maledetto’: ma la sua è una maledizione estremamente paradossale. È uno degli autori più celebri della letteratura francese: nessuno ignora il suo nome, eppure nessuno lo legge. È un nome vuoto, una specie di illusione…”. E Filkielkraut definisce Péguy un “umanista sperduto nel mondo moderno”. Non certo un tradizionalista e un antimoderno, come spesso è stato presentato. Annora e precisa Finkielkraut: Péguy non è moderno, ma non è nemmeno un pensatore della tradizione… Noi, invece, vogliamo che il moderno sia il valore fondamentale: non vogliamo più condannare qualcosa del passato perché è passato. Ma noi siamo ‘turisti’ dello spazio e del tempo: e questo è il mondo postmoderno”. Il cosiddetto ‘turista’ è, insomma, per Finkielkraut, la figura ultima della modernità. Il turista, nella sua visione, è precisamente l’uomo contemporaneo, chi vede il mondo come pura e semplice disponibilità: "Il pericolo nel quale ci troviamo oggi è quello di essere rinchiusi in un’alternativa nella quale da una parte c’è il turista, che cammina nel giardino della storia, che colleziona modelli, che passa con superficialità da una cosa all’altra; e di fronte a lui sta una sorta di avversario costruito su misura, che sarebbe poi l’uomo radicato nel suo territorio”. Vale davvero la pensa leggersi le conclusione di Finkielkraut: “L’ideologia turistica consiste oggi nel far passare per fascista tutto ciò che contesta: è il destino di Péguy, è il destino di molti altri pensatori. Se non facciamo attenzione, rischia di instaurarsi così una specie di movimento politically correct. Rischiamo oggi di essere condannati a quest’alternativa e di essere immediatamente tacciati di fascismo se ci rifiutiamo di ritrovarci nel turista e di vedere in esso la figura ultima dell’umano. Però questo è il nostro compito: penso che Péguy più di chiunque altro ci possa aiutare in questo…”.
Molto interessante anche l’intervista di Rita Sala allo scrittore spagnolo Arturo Pérez Reverte che compare sulle pagine culturale del quotidiano Il Messaggero. “Con i tempi che corrono, mentre – dice il narratore – l’Europa crolla poco a poco e sull’Acropoli, ad Atene, il Partenone serve solo da sfondo a stupidi turisti per farsi uno stupido selfie, abbiamo un’unica via d’uscita: consolarci con la cultura. La cultura è l’unico analgesico che lenisce il dolore di veder tramontare il mondo al quale apparteniamo”. Ma non è un pessimista lo scrittore nato a Cartagena. Tanto da dedicare il suo ultimo romanzo – in italiano Il cecchino paziente – ai grafiteros, i ragazzi che come forma di ribellione creativa scrivono e disegnano sui muri delle metropoli di tutto il mondo. Il fascino dei ragazzi con la bomboletta? “C’è dentro l’amore per l’indipendenza, la libertà di demolire, almeno intenzionalmente, ciò che non ti sta bene, la possibilità di scegliere il colore della tua protesta e il momento in cui farla”. Ma i responsabili della crisi globale e del disorientamento di civiltà di questi ultimi anni? Pérez Reverte mostra di avere le idee chiare: “Non mi va di dare la colpa, come si fa tutti i giorni da anni, ai politici e ai banchieri. Ci siamo dimenticati che siamo noi stessi i responsabili, almeno quanto loro del disastro. Anzi, siamo stati noi a crearne le cause. Nessuno ci obbligava a incollarci mutui proibitivi, a compraci due automobili, a fare debiti per andare in vacanza, per disporre di una seconda casa o comprare la moto ai figli. Il gioco sporco ce lo hanno proposto politici e banchieri ma noi lo abbiamo accettato. Per questo mi ha intrigato l’universo clandestino dei grafiteros: sono gente a cui basta dipingere e scrivere. ‘Scrivo, dunque sono’ è il loro motto…”.

Ultima segnalazione, sempre dal Messaggero, per la consueta rubrica domenicale “Che ci faccio io qui?” dello sceneggiatore e scrittore Enrico Vanzina, dove alla fine si legge: “In questi giorni sono stato colpito da una serie a raffica di sciagure. Roba da dover scegliere tra Lourdes e l’Esorcista. Ma non voglio assillarvi con i miei guai personali. Vi dico solo che, alla fine, ho pensato a cosette serie, cose che possono riguardare anche voi. Ho pensato che avere una moglie che ti ama è la cosa più bella del mondo. Ho pensato che volersi bene tra fratelli è una cosa altrettanto bella. Ho pensato che non bisogna mai dimenticare i parenti anziani. Ho pensato che quando subisci un torto bisogna saper perdonare la cattiveria degli altri. Loro continueranno a dormire male, noi no…”. Buona domenica a tutti.

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