lunedì 10 novembre 2014

Anarchici e cristiani? L'ossimoro possibile per essere liberi dal potere



Alessandro Pertosa

L’ultimo libro di Lucilio Santoni, Cristiani e anarchici. Viaggio millenario nella Storia tradita verso un futuro possibile (Infinito, Modena 2014), è un topos commovente, ma è anche un topos che non si può abitare del tutto, perché appare e scompare fra le righe del testo, è sempre un passo più in là rispetto al lettore, è sempre oltre la possibilità umana di coglierlo, di farlo proprio: è un topos spirituale, non certo uno spazio fisico tangibile: affollato di esperienze, di sussurri e di parole che «contendono al silenzio il coraggio di dire la miseria di stare al mondo. L’inquietudine dello spirito che ci fa vedere cosa ci rimane quando ormai non ci rimane più nulla».
E non deve rimanerci più nulla, perché il «qualcosa» che ci resta fra le mani è un «qualcosa» per il mondo, è un qualcosa di cui si pretende avere il possesso. La proprietà, appunto, è il vero male radicale, l’idea che di qualcosa si possa dire «è mio», mentre in questo viaggio millenario nella storia tradita si incontrano esperienze di coloro che sono rimasti indietro, gli ultimi, i miti di cuore, i poveri per lo spirito, gli emarginati: coloro che non hanno nulla perché non vogliono avere nulla. Si tratta di cristiani e di anarchici che orientano i sogni quotidiani in un altrove. Perché il Regno per cui si resiste non è di questo mondo. Il Regno di questo mondo è retto da un árchon, da un capo, che il Vangelo di Giovanni identifica con Satana. Il cristianesimo è dunque anarchico – come ricorda giustamente Davide Rondoni nell’introduzione – perché ha patroni in cielo e non padroni in terra.
Le pagine del libro sono illuminate da volti di persone che hanno coltivato testardamente nella propria vita la virtù della disobbedienza alla razionalità dominante. «Ho osservato a lungo lo sguardo di chi ha avuto nel cuore la rivoluzione dell’utopia e della speranza», scrive l’autore. E aggiunge: «Gli uomini che mi stanno a cuore smontano ogni giorno la fretta del vivere; danno ampio spazio al respirare; sentono il dolore degli altri».
Santoni sa scavare nell’intimità, sa toccare le corde profonde dell’animo umano, presentando storie straordinarie. Il suo è un interesse per l’uomo a tutto tondo, per le debolezze, le gioie, le ansie e le trepidazioni dei puri di cuore. E in questo rimanda a Tarkovskij che scrive: «Mi interessano le vite delle persone che vivono con un logica diversa da quella comune, che lo facciano per fede, per follia o per i più diversi ideali possibili non mi importa». La chiave che consente di aprire le segrete del libro è allora qui messa in mostra: sovvertire la logica dominante, oltrepassare il comune sentire, essere folli, ma liberi.
Si tratta di quella follia e libertà che accomuna i cristiani e gli anarchici condannati alla damnatio memoriae, a causa della loro fiducia incondizionata nell’uomo. Chi non si aspetta molto dai propri simili invoca lo Stato, la legge, la norma, la tradizione, le Chiese trionfanti, i magisteri. Chi, al contrario, cerca disperatamente di dare un senso alla tragedia che chiamiamo vita, si consegna all’Altro, gli si dona, e si immerge nel pelago intenso dell’essere che tutto avvolge e vivifica. I cristiani e gli anarchici, è questa l’idea di Santoni, dedicano la loro intera vita al più straordinario capolavoro della natura: l’essere umano. Operano nel medesimo contesto, e sognano lo stesso sogno. Ha quindi ragione Maurizio Pallante quando scrive che «i teorici dell’anarchia si sono proposti di tradurre in prassi politica i principi etici formulati da Gesù».
Mi pare sia proprio questo l’insegnamento principale che si può trarre da questo splendido libro di Lucilio Santoni. Che in verità è una perla poliedrica, smagliante! Una perla da osservare in continuazione e ripetutamente, perché ogni volta riflette una nuova luce, una luce scintillante che arriva da chissà dove.




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