lunedì 6 ottobre 2014

Perché il contrario dell’amore non è l’odio, ma il potere





Lucilio Santoni

Prendo spunto da una lezione che recentemente Emilio Gentile ha tenuto al Festival del Diritto di Piacenza. Gentile ha trattato con intelligenza e precisione, da par suo, la modalità con la quale il capo gestisce le masse, facendo particolare riferimento alla celebre opera di Gustave Le Bon Psicologia delle folle. Volendo sintetizzare, potremmo dire che la massa segue le opinioni e non certo il pensiero, il quale è troppo difficile e faticoso da coltivare. Allo stesso tempo ha bisogno di un capo, proprio perché le è confacente comportarsi come un gregge. Pertanto, ad esempio nel linguaggio, il capo deve adottare uno stile semplice, chiaro, aforistico e al contempo perentorio, assertivo e ripetitivo. In definitiva, il capo deve guidare la folla dei suoi sottomessi che lo osannano proprio seguendo le loro opinioni, le quali ondeggiano continuamente in modo irrazionale. E proprio in quest'ultimo dato risiede la difficoltà dell'impresa di conquistare e mantenere il potere, impresa non alla portata di tutti, bensì solo di chi ha quella particolare qualità di cogliere tale continuo ondeggiare e legarlo al proprio prestigio personale. A quel libro, datato 1895, novello Principe di machiavelliana memoria, si sono direttamente ispirati Mussolini, Hitler, Lenin, Roosevelt, Da Gaulle, Ataturk e molti altri, evidentemente fino ai giorni nostri, che non nominiamo ma che nessuno farà fatica a riconoscere.
Io vorrei qui, invece, ragionare su coloro che si sottraggono alla logica del potere, sul perché lo fanno e, soprattutto, scoprire se ne traggano “vantaggi” concreti. Per cominciare, mi avvarrò di un semplice schema costituito da una figura geometrica: il triangolo. La base sarà costituita dagli ondeggiamenti, sopra nominati, della massa. Tali ondeggiamenti sono causati da un’infinita serie di paure, angosce, sensazioni, fugaci pensieri, suggestioni, ma anche cose materiali, quali sono i fenomeni della natura o le più recenti invenzioni della tecnica che permettono, apparentemente, di dominare il mondo. Voglio dire che, come infiniti sono i punti che costituiscono la base del triangolo, infinite sono la cause e le ragioni del continuo ondeggiare della massa. Ma, come nel triangolo, salendo verso l'alto, i lati si congiungono in un solo punto, il vertice, così nel nostro caso riguardante il capo e le folle, i molteplici dati di partenza convergono in un unico punto: la vendita del prodotto, cioè la presa del potere. Se questa non si verifica, tutta la costruzione si rivelerà priva di senso. La pubblicità più bella e costosa, se non porta a far decollare le vendite, sarà un disastro su tutti i fronti. Se un aspirante tiranno, seguendo fedelmente l’analisi di Le Bon, non arriverà a conquistare il potere, avrà per sempre le stigmate del fallito.
Si potrà dire che così è la vita. Che è sempre stato così: un gioco di potere. A tutti i livelli, dall’ambito della famiglia, al gruppo, alla nazione, al mondo intero. Che non ci si può sottrarre, a meno che non si voglia scioccamente essere rinunciatari e perdenti. Che vale la pena provarci, salire sul ring e combattere.
Invece, io vorrei ragionare su un altro aspetto della vicenda umana. Vorrei, per esempio, iniziare dicendo che se quella molteplicità, la base del triangolo, viene fatta convergere verso un punto, unico e imprescindibile, allora quella molteplicità verrà necessariamente sacrificata a quell'obiettivo. Ogni sentimento, ogni relazione, ogni poesia, ogni amore, ogni sensibilità, ogni intelligenza verrà sacrificata all'altare del potere e della vendita (i quali termini sono qui intercambiabili). Tali prerogative della natura umana saranno cancellate e non avranno alcuna possibilità di fiorire se costantemente soffocate dalla venerazione di quell’unico dio. Già lo diceva con parole infuocate di poeta Charles Baudelaire quando parlava dei commercianti come di coloro dei quali non ci si può fidare perché ogni momento della propria vita, anche il più intimo, tentano di trasformarlo in denaro e hanno la testa solo lì e da nessun’altra parte.
Il poeta, in effetti, è il contrario del commerciante. È colui che rovescia il triangolo: parte da un punto, parte da quell'unica cosa che dicono (che tentano di dire) tutti i poeti di ogni luogo e di ogni tempo, per arrivare alla massima apertura di senso, per arrivare all'infinito. Pensiamo solo alla differenza abissale che esiste tra la povertà del linguaggio asfittico usato dal capo e dalle folle, descritto da Le Bon, e la ricchezza della poesia. La prima un inferno di stupidità e deprimenti luoghi comuni; la seconda una macedonia di frutti freschi, talvolta aspri e talvolta dolci, ma sempre portatori di eros.
Ma lasciamo un attimo la poesia e torniamo al sistema della vendita e del potere. Se tale sistema è così indiscusso e, molti dicono, connaturato all’uomo, io mi sono sempre chiesto da dove derivi la volontà, che alcuni uomini evidenziano, di sottrarvisi.
Io, personalmente, prendo il mio nome da Lucilio Vanini, un frate carmelitano che aveva grandi doti di intelligenza e di seduzione delle masse. Avrebbe potuto facilmente scalare la gerarchie ecclesiastiche e acquistare un potere enorme. Non lo fece. Si mise contro la Chiesa, scegliendo di coltivare la scienza e la filosofia. Andò in esilio in Inghilterra e Francia. A trentaquattro anni l’inquisizione lo inchiodò con l'accusa di ateismo e lo condannò al rogo. Allora, mi chiedo, se il sistema di potere è connaturato agli uomini, perché Lucilio Vanini fece la scelta opposta? Perché preferì morire pur di seguire la ricerca, sdegnando il potere? Domande che mi hanno accompagnato tutta la vita e alle quali cerco continuamente di dare una risposta. E mi appassiono, e fatico, e dedico amore, e spreco il mio tempo, che non vale denaro alcuno naturalmente, nel dare una risposta possibile.
Utilizzo ora un’immagine fornitami dall'amico e filosofo Alessandro Pertosa. Egli si chiede: se io rifiuto il potere, in tutte le sue forme, mi sfoglio come un carciofo, o come una cipolla se si preferisce, togliendomi via via le strutture, le protesi e gli strumenti che mi consentono di esercitare il potere, anche quello minimo e impercettibile nei confronti di chi mi sta vicino o semplicemente nei confronti di coloro con i quali vengo in contatto, se insisto in tale opera di spoliazione di me stesso, alla fine, cosa rimane? E, soprattutto, rimane qualcosa?
Mi sembrano queste domande fondamentali. La domande che gli anarchici e i libertari di sempre, per esempio, hanno incarnato nella maniera più evidente. Non volendo esercitare potere alcuno, hanno sempre avuto il problema di persuadere gli altri ad abbracciare il proprio ideale di libertà. Ma anche la regola delle suore carmelitane dice: “Le sorelle non devono parlare troppo e, in ogni caso, non tanto da generare ammirazione nelle altre”. Anarchia e cristianesimo si incrociano in questo punto.
La questione è tutta lì, nel carciofo. Forse, davvero, a sfogliare e sfogliare, non rimane nulla. Forse nell’uomo non esiste un nucleo che si possa sottrarre completamente al potere. E allora, questa ammissione vuol dire abbracciare definitivamente la logica del potere? Vuol dire ignorare i tanti Lucilio Vanini che vi si sono opposti nel corso della Storia? Io credo di no. E mi associo a Jean-Jacques Rousseau quando dice: “È molto difficile far obbedire chi non ama comandare”. Voglio dire che qui entra in gioco un elemento basilare nella vita dell'uomo: l’utopia.
La vita dell’uomo, quella vissuta con dignità e passione, non può prescindere da un oltre, un altrove, un mondo da riscattare, un paradiso, terrestre o celeste poco importa, fatto di libertà, di amore e di verità, nel quale vivere bene insieme agli altri. La sua realizzazione non è prossima, certo, forse non è neppure possibile, ma l’anelito verso di essa è scintilla primaria nell'animo umano. Il capo e la massa che lo osanna possono anche vivere senza tale utopia che, per usare un termine soprattutto cristiano, possiamo definire della speranza, ma lo faranno sacrificando ogni poesia, ogni amore, ogni contatto sacro con le cose e ogni dolce ozio creativo. Coloro che, invece, vivono nella propria carne quell’utopia saranno perenni ricercatori, avranno la gioia e il dolore di camminare insieme ad altri, non saranno vincitori ma neppure vinti, saranno se stessi, potranno addirittura arrivare ad assaporare quell'ineffabile sentimento che è l’amore. “Il contrario dell’amore non è l’odio ma il potere”, dice Jacques Lacan.

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