venerdì 12 settembre 2014

Il Conte di Montecristo siamo noi. Una storia di ingiustizia e ribellione



articolo pubblicato sul quotidiano "Cronache del Garantista" giovedì 11 settembre


Luciano Lanna

“Pochissimi hanno traversato le rivoluzioni, in mezzo alle quali siamo nati, senza che qualche macchia di fango o di sangue abbia lordato loro l’uniforme da soldato o la toga da giudice…”. È una citazione che proviene non da un testo di diritto o di filosofia politica ma che sta al centro di un testo narrativo nato come feuilleton a puntate sui giornale e diventato col tempo il romanzo popolare per eccellenza: Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas. Fin dal suo primo apparire, in quella Francia degli anni Quaranta dell’800 che era il più effervescente laboratorio delle rivoluzioni europee e dei diritti emergenti, la storia di Edmond Dantès, eponimo dell’ingiustizia e dell’errore giudiziario che si trasforma in titolare di fortuna e di giustizia, fu accolta dalle migliaia e migliaia di avidi lettori di feuilleton come la più coinvolgente e appassionante incarnazione dello spirito dell’epoca. Un successo fulmineo, per il romanzo, che fu subito sancito dall’immediato passaggio all’edizione in volume e da un vorticoso numero di ristampe e traduzioni.
Diciamo subito che, in Italia e nel ’900, Benedetto Croce confessava, dopo averlo letto, di non provare “il rossore di cui altri sentirebbero inondato il volto nel dire che mi piace” e che Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere ne faceva il prototipo di una “letteratura nazional-popolare” di cui la cultura italiana sarebbe stata priva. E che, infine, Bettino Craxi, costretto all’esilio per la furia giustizialista che colpì il nostro paese nei primi anni ’90, sceglierà proprio il nome di Edmond Dantès come pseudonimo col quale vergare i suoi scritti dall’esilio tunisino di Hammamet, e questo dal 1993 sino al giorno della sua morte, il 19 gennaio 2000. Scelta non certo casuale e oggettivamente connessa alla carica garantista e antigiustizialista del romanzo di Dumas.
Pubblicata a puntate per ben due anni, dal 1844 al 1846, come romanzo d’appendice, trama del romanzo, vuoi per sentito dire o per i molti adattamenti cinematografici e tv, è nota, patrimonio dell’immaginario occidentale. La vicenda si snoda durante gli anni tra il 1815 e il 1838, dalla fine del regno di Napoleone Bonaparte al regno di Luigi Filippo. Edmond Dantès è un giovane che sta per vedere i suoi sogni realizzati: a breve diventerà capitano sul bastimento Pharaon a soli 19 anni ed è destinato a sposare la bellissima Mercedes della quale è innamorato da sempre. Ma questa fortuna fa invidia a molti: Danglars, scrivano del Pharaon si vede soffiare la possibilità di una promozione e Fernand Mondego – più avanti conosciuto come conte de Morcerf – che è il suo rivale in amore, non sa rassegnarsi alla perdita di Mercedes. I due ordiscono così un complotto contro Dantès: con una lettera anonima accusano il giovane di essere una spia bonapartista che trama per il ritorno di Napoleone dall’Elba. Edmond viene così ingiustamente imprigionato il giorno stesso del suo matrimonio e lasciato in una segreta per 14 lunghi anni nel Castello d’If, terribile carcere su una roccia in mezzo al mare.
Gli effetti politici del complotto? Danglars, lo scrivano di bordo della nave dove lavorava Edmond, verrà invece promosso capitano della nave Pharaon. Dopo poco tempo abbandona l’incarico e si trasferisce in Spagna dove lavora presso un banchiere. E  in seguito a una serie di speculazioni e investimenti diventa milionario e sarà, oltreché barone, il più ricco banchiere di Parigi. Poi c’è Villefort: il suo nome originario è Noirtier, sostituto Procuratore del re e, in seguito, procuratore del re, figlio di un bonapartista, arriva a rinnegare il padre (e a cambiare cognome in Villefort) per garantire la sua fedeltà alla monarchia ed entrare così nelle grazie del re e di tutto l’entourage monarchico, compresa la famiglia Saint-Méran sarà lui il responsabile materiale dell’incarcerazione di Edmond.
Nella vicenda c’è però una variabile impazzita. In carcere Edmond incontra però il sapiente abate Faria che gli regala tre cose: l’idea e la possibilità di una evasione, un tesoro nascosto all’isola di Montecristo col quale ricrearsi un’identità, e l’ispirazione e farsi giustizia. Quel compagno di cella, avanti con l’età e malato terminale, gli rivela infatti l’esistenza di un tesoro nascosto sull’isola italiana. Dopo aver recuperato il tesoro Edmond, assumendo le finte spoglie del Conte di Montecristo, ma anche di altri personaggi, come l’abate Busoni e Lord Wilmore, con intelligenza e sempre all’insegna del motto “aspettare e sperare” riesce a vendicarsi di coloro che un tempo, amici suoi, lo avevano tradito e fatto condannare ingiustamente. Dantès agisce al di sopra e oltre il sistema giudiziario ordinario, convinto come è del sistema ufficiale di giustizia criminale.
I complici del complotto contro di lui sono infatti tutti arrivati ai vertici del potere: Morcerf rappresenta il potere militare, Danglars il potere finanziario. Villefort il potere giudiziario. Non c’è idolatria dei “tre poteri” montesquiani che regga nella visione “politica” del garibaldino Dumas (che come sappiamo seguì e raccontò l’avventura dei Mille non solo per giornalismo). All’origine di ciascun potere, secondo l’autore del Conte di Montecristo, sia questo potere di spada, di denaro o di toga sta un atto di forza illegittimo, un crimine o un’ingiustizia. Il credo o il colore politico contano poco nella società borghese post-rivoluzionaria: legittimisti reazionari o liberali orleanisti i personaggi della storia appaiono tutti colpevoli. Morcerf è legittimista, Danglars, barone per grazia di Carlo X, milita nell’opposizione dinastica. E Villefort, ex Bruto realista e antibonapartista, è un arrivista pronto a tutto che, aristocratico d’origine e di sentimento, ha ormai un solo desiderio, conservare la sua posizione di potere, e un solo modello: l’ordine.
Come ha annotato Enzo Siciliano il quadro socio-storico è la chiave intima del successo del Conte di Montecristo: qui più che la Storia lo scrittore ha descritto la sua contemporaneità e la sua tendenza all’ingiustizia e agli errori giudiziari: “La facilità del guadagno, dello sperpero di denaro, delle corse irrefrenabili su per la scala sociale di affaristi spregiudicati e funzionari di mezza tacca che sanno sfruttare la politica, le amicizie di qualità a unico profitto personale; quindi il precipizio in cui tante improvvise fortune finanziarie piombavano a terra con la velocità del suoni, e travestimenti conseguenti, lacrime per alcuni e per altri gioie: questa la sostanza del romanzo”.
La vicenda, comunque, è ambientata non solo in Francia ma anche nelle isole del Mar Mediterraneo e in Italia. E qui ci sono le pagine indimenticabile sul Carnevale di Roma ma, soprattutto, sui briganti italiani amici del Conte. In particolare emerge la figura di Luigi Vampa, un bandito laziale che aiuterà Dantès nei suoi piani di giustizia. Si parla, nel romanzo, dei briganti laziali di Palestrina e di Valmontone – nella storia furono quelli di Montefortino, centro lepino che poi cambierà il nome in Artena, “paese di delinquenti nati” secondo un’opera del sociologo Scipio Sighele.

Ecco, da questo punto di vista il romanzo di Dumas contribuirà più di altri a definire quella del brigante come icona libertaria. Lo scrittore Raffaele Nigro, che alla figura e alla metafora del bandito ha dedicato uno studio comparato – Giustiziateli sul campo. Letteratura e banditismo da Robin Hood ai giorni nostri (Rizzoli, 2006) – individua proprio in libri come Il Conte di Montecristo la matrice di questa connessione: “Un vento pericoloso invase nell’800 le città d’Europa. I giovani credono in Schiller, nella forza contestatrice assegnata ai banditi e ai briganti, molti si sono votati alla macchia e a un rischioso sovvertimento di valori. La filosofia del masnadiero impregna di ideali libertari della nuova società, è importante uscire dal contesto borghese e intervenire all’esterno per mutarne le regole. Quella del brigante è una figura di contestatore ante litteram contro la quale si scatenano la società civile e la Chiesa…”. 

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