mercoledì 6 agosto 2014

Se Céline e Spengler battono Proust due a zero…



Luciano Lanna

Il giudizio di Louis-Ferdinand Céline è risaputo: “Proust spiega troppo per il mio gusto: trecento pagine per farti sapere che tizio sodomizza tizio, è troppo…”.  Eppure Marcel Proust è a tutt’oggi uno degli autori intoccabili, di cui si deve far sapere non solo di averlo letto, ma anzi è quasi d’obbligo dire di apprezzarlo e di ricorrere a lui come fonte privilegiata d’ispirazione… 
Ma qualcuno, sulla scorta di Céline, comincia ad avere il coraggio di ammettere l’inammissibile. Come  Marco Missiroli che, su La lettura del Corriere della Sera, ha parlato del suo compagno d’università Roberto Martinelli, che il primo anno di corsi girava con uno dei Proust della Recherche nello zaino come antidoto all’ignoranza: “Dopo nove mesi il segnalibro era ancora a pag. 26 e la copertina un cencio. Passata l’estate lo sostituì con il secondo volume, lo tirava fuori prima delle lezioni e lo sfogliava tutto concentrato, se c’era qualche ragazza si metteva a sottolinearlo con righello e matita. ‘Di cosa parla stavolta?’ chiedevo. Martinelli alzava un sopracciglio: ‘Della memoria e cose così...’.  Poi successe il fattaccio, si fidanzò con quella delle ultime file, una morettina di San Giovanni in Persiceto che piaceva a tutti noi e che tutti ritenevano troppo per chiunque….”. Così anche Martinelli va alla Feltrinelli e chiede il libro che credeva avrebbe risolto i suoi crucci di incontinente amoroso... “Arrivai a casa – però ammette adesso Missiroli – e cominciai a leggere ‘Dalla parte di Swann’, ma mi fermai a pagina 20 per incomprensione e terrore…”. E infine il giudizio definitivo: “Fu la noia, e soltanto tempo perduto”.

Lo stesso giorno di questo articolo su la Repubblica, nel corso di un bella e lunga intervista concessa ad Antonio Gnoli, una confessione simile arriva anche da Piero Ottone, giornalista novantenne che è stato anche direttore storico del Corriere della Sera. “Non ho mai letto Proust – ha dichiarato – e quando una volta lo confessai, a un amico, lui mi guardò come fossi un animale strano. Ma cosa avrei dovuto fare? Iscrivermi al partito di coloro che dicono, e temo siano la gran parte, di aver letto questo o quel romanzo quando in cuor loro sanno che non è così?”. E, a riprova, Ottone cita semmai come sua lettura giovanile Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler, il classico che fu caro (anche se pochi lo sanno) anche a Henry Miller e Jack Kerouac. “Su sollecitazione di una ragazza di Berlino – confessa Ottone – lo lessi in tedesco in due mesi. La decadenza è un tema che ci interpella a tutti i livelli…”.   

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