mercoledì 6 agosto 2014

Brassens, il gorilla contro giudici, poliziotti e clericali



articolo pubblicato sul quotidiano il Garantista mercoledì 6 agosto

Luciano Lanna

Il paradosso italiano, e il rovesciamento di segno operato da noi, della cultura politica libertaria e garantista è stato descritto al meglio da Guido Vitiello, quando annotava che se “Georges Brassens, seguito da Fabrizio De André, affidava i magistrati alle robuste attenzioni erotiche di un gorilla scappato dallo zoo, ora poco manca che, ascoltando Bocca di Rosa, i nostri libertari parteggino per i gendarmi…”.  Una cosa è infatti certa, e cioè che ci sarebbe tanto bisogno di andarsi a rileggere, e in questo caso anche di riascoltare, le parole di autori, poeti, scrittori, intellettuali garantisti dei cui hanno finito per appropriarsene indebitamente ambienti di tutt’altro segno e orientati al tentativo di imporre, attraverso un uso smodato ed eccessivo del termine legalità, una egemonia modellata sulla triade antigarantista: “clericalismo, ragion di stato, questura”…
Cominciamo allora da Georges Brassens, il cantautore i cui due bersagli polemici sono sempre stati due: l’appellarsi conformista alla ragion di Stato e l’universo dei giudici. Una delle sue canzoni più conosciute, se non la più nota, è quella che racconta, in modo scopertamente goliardico, la storia di un gorilla che va all’attacco di un giudice. E lì la figura del giudice viene presa come metafora delle miserie, dei conformismi e della viltà umana. Chi non la ricorda cantata nella versione italiana di De André? «Piangeva il giudice come un vitello / negli intervalli gridava mamma / gridava mamma come quel tale / cui il giorno prima come ad un pollo / con una sentenza un po’ originale / aveva fatto tagliare il collo / Attenti al gorilla…».
Se nell’ottobre del ’53 c’era stato il suo trionfo dal palco dell’Olympia, nell’ottobre 1963, il nome di Brassens entrava del resto già nei piani alti della cultura con un suo libro pubblicato nella collana poetica dell’editore Seghers, quella che era  inaugurata dal surrealista Paul Eluard e in cui Brassens si troverà in compagnia di Victor Hugo, Verlaine e Aragon. Lo spiegava Alphonse Bonnafé, che era stato suo professore al liceo: “Il pubblico di Brassens è molto vasto e il suo successo ha assunto il carattere di un fatto sociale. Bisogna dunque credere che ognuno di noi porta in sé un ribelle sonnacchioso. Ognuno ha la voglia di recuperare i propri pensieri, i propri gusti che la società gli sottrae sin dai banchi di scuola…”.
Era nato a il 22 ottobre 1921 a Séte, in Linguadoca, morirà il 29 ottobre del 1981 nel paesino di Gély-du-Fesc, vicino a Montpellier. E per tutta la sua vita Brassens fu un libertario senza se e senza ma, refrattario all’incasellamento in qualsiasi ideologia, da lui considerata in quanto tale la causa principale della tragedia delle vittime nella storia. Se nella sua canzone Le deux oncles prendeva le distanze sia dai vincitori che dai vinti della seconda guerra mondiale, in La tondue arrivava coraggiosamente a criticare la ferocia nelle epurazioni. La ballata era infatti la storia di una ragazza accusata di collaborazionismo con i tedeschi e punita con il taglio dei suoi capelli.
Tra la fine degli anni ’50 e i primi dei ’60 qualcuno anche in Italia, soprattutto a Genova, scopre la musica e i testi di Brassens. «La sintonia politica e culturale non guastava, gli stessi interessi estetici ancor meno: senza di lui forse non avrei mai scritto certe canzoni» ha ammesso Bruno Lauzi, riferendosi a brani come La banda o Il poeta. Quindi sarà De André a tradurre e incidere in italiano molte delle ballate dello stesso Brassens, da Il gorilla a Morire per delle idee.
Si può sostenere che quest’uomo massiccio e baffuto ha come pochi intrigato con le sue storie di marginali, puttane, ladruncoli, ex galeotti, disoccupati, immigrati, spesso avanzi di galera, che fanno fatica a mettere insieme il pranzo con la cena. E di contro i suoi obiettivi polemici furono sempre i benpensanti e la triade giudici-poliziotti-clericali. Si vantava di non essere mai entrato dentro una banca e diceva di essere così libertario da attraversare scrupolosamente sulle strisce pedonali, pur di non dover avere a che fare con i gendarmi.
Consigliamo ai nostri lettori un volumetto di Brassens che la casa editrice Coniglio ha mandato in libreria nel 2009, Le strade che non portano a Roma. Riflessioni e massime di un libertario (pp. 91, euro 5,00), una selezione di suoi aforismi raccolti da Jean-Paul Liégeois, un libretto che a nostro avviso non può mancare nello scaffale di ogni vero garantista.
Dalla lettura del libro emerge inoltre il retroterra culturale degli autori che hanno inciso sulla sua formazione e che – anche loro – stanno nel background di una cultura autenticamente garantista: Villon, Baudelaire, La Rochefocauld, Mallarmé, Céline e Rabelais. Un mix culturale che nella Francia conservatrice e benpensante degli anni ’50 e ’60 appariva un po’ urticante. Va infatti anche ricordato che, come accadrà più avanti in Italia per De André e Guccini, più della metà delle sue canzoni erano censurate alla radio e tv e che solo qualcuna poteva andare in onda, ma solo dopo la mezzanotte.
Sin dal liceo Georges amò l’opera di Villon e poi Victor HugoRimbaud, Verlaine e la sua stessa biografia glieli feci “capire”… In seguito a una condanna a 15 giorni di carcere con la condizionale perché coinvolto di striscio in una serie di furtarelli, e migra nel ’40 a Parigi. Lavora alla Renault, collabora alla rivista Le monde libertaire. Nel ’44, in licenza da militare, si nasconde al numero civico 9 di Impasse Florimont, nel 14esimo arrondissement. Ci resterà fino al ’66.
La svolta musicale è datata 1952. È Patachou, cantante e proprietaria di un famoso cabaret parigino, a imporlo nel mondo della canzone. I suoi testi colpiscono: abilità nella metrica, sapiente alternanza di cultura classica e parolaccia da strada. Come nel caso de Il gorilla

“Nel maggio del ’68 – ha ricordato lo scrittore Jean-Pierre Chabrol – io rimproveravo a Georges ciò che chiamavo la sua passività, il suo distacco. Cantautori e intellettuali facevano comizi e barricate, si buttavano nella mischia. Lui restava a casa. Lui, che solo facendosi vedere, avrebbe potuto diventare il profeta o il guru dei sessantottini. Ma ciò che si proclamava alla Sorbona o nelle piazze in fondo era già da molto tempo nelle sue strofe”. Lo stesso Brassens protesterà: “In realtà sono uno dei cantautori più impegnati. Solo che normalmente si intende per impegno l’adesione a un partito e si dà il caso che io non riconosco a nessun partito il diritto di avermi”.

Nessun commento:

Posta un commento