Luciano Lanna
Il giudizio di Louis-Ferdinand Céline è risaputo: “Proust
spiega troppo per il mio gusto: trecento pagine per farti
sapere che tizio sodomizza tizio, è troppo…”. Eppure Marcel Proust è a tutt’oggi uno degli
autori intoccabili, di cui si deve far sapere non solo di averlo letto, ma anzi
è quasi d’obbligo dire di apprezzarlo e di ricorrere a lui come fonte
privilegiata d’ispirazione…
Ma qualcuno, sulla scorta di
Céline, comincia ad avere il coraggio di ammettere l’inammissibile. Come Marco
Missiroli che, su La lettura del Corriere della Sera, ha parlato del suo
compagno d’università Roberto Martinelli, che il primo anno di corsi girava con
uno dei Proust della Recherche nello
zaino come antidoto all’ignoranza: “Dopo nove mesi il segnalibro era ancora a
pag. 26 e la copertina un cencio. Passata l’estate lo sostituì
con il secondo volume, lo tirava fuori prima delle lezioni e lo sfogliava tutto
concentrato, se c’era qualche ragazza si metteva a sottolinearlo con righello e
matita. ‘Di cosa parla stavolta?’ chiedevo. Martinelli alzava un sopracciglio:
‘Della memoria e cose così...’. Poi
successe il fattaccio, si fidanzò con quella delle ultime file, una morettina
di San Giovanni in Persiceto che piaceva a tutti noi e che tutti ritenevano
troppo per chiunque….”. Così anche Martinelli va alla Feltrinelli e chiede il
libro che credeva avrebbe risolto i suoi crucci di incontinente amoroso...
“Arrivai a casa – però ammette adesso Missiroli – e cominciai a leggere ‘Dalla
parte di Swann’, ma mi fermai a pagina 20 per incomprensione e terrore…”. E
infine il giudizio definitivo: “Fu la noia, e soltanto tempo perduto”.
Lo stesso giorno di questo articolo su la Repubblica, nel corso
di un bella e lunga intervista concessa ad Antonio Gnoli, una confessione
simile arriva anche da Piero Ottone, giornalista novantenne che è stato anche
direttore storico del Corriere della Sera.
“Non ho mai letto Proust – ha dichiarato – e quando una volta lo confessai, a
un amico, lui mi guardò come fossi un animale strano. Ma cosa avrei dovuto
fare? Iscrivermi al partito di coloro che dicono, e temo siano la gran parte,
di aver letto questo o quel romanzo quando in cuor loro sanno che non è così?”.
E, a riprova, Ottone cita semmai come sua lettura giovanile Il tramonto dell’Occidente di Oswald
Spengler, il classico che fu caro (anche se pochi lo sanno) anche a Henry Miller
e Jack Kerouac. “Su sollecitazione di una ragazza di Berlino – confessa Ottone
– lo lessi in tedesco in due mesi. La decadenza è un tema che ci interpella a
tutti i livelli…”.
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