articolo pubblicato
sul quotidiano il Garantista mercoledì 6 agosto
Luciano Lanna
Il paradosso italiano, e il rovesciamento di segno operato da noi,
della cultura politica libertaria e garantista è stato descritto al meglio da Guido Vitiello, quando annotava che se “Georges Brassens,
seguito da Fabrizio De André, affidava i magistrati alle robuste attenzioni
erotiche di un gorilla scappato dallo zoo, ora poco manca che, ascoltando Bocca di Rosa, i nostri libertari
parteggino per i gendarmi…”. Una cosa è infatti certa, e cioè che ci
sarebbe tanto bisogno di andarsi a rileggere, e in questo caso anche di
riascoltare, le parole di autori, poeti, scrittori, intellettuali garantisti
dei cui hanno finito per appropriarsene indebitamente ambienti di tutt’altro
segno e orientati al tentativo di imporre, attraverso un uso smodato ed
eccessivo del termine legalità, una egemonia modellata sulla triade antigarantista:
“clericalismo, ragion di stato, questura”…
Cominciamo
allora da Georges Brassens, il cantautore i cui due bersagli polemici sono sempre
stati due: l’appellarsi conformista alla ragion di Stato e l’universo dei
giudici. Una delle sue canzoni più conosciute, se non la più nota, è quella che
racconta, in modo scopertamente goliardico, la storia di un gorilla che va
all’attacco di un giudice. E lì la figura del giudice viene presa come metafora
delle miserie, dei conformismi e della viltà umana. Chi
non la ricorda cantata nella versione italiana di De André?
«Piangeva il giudice come un vitello / negli intervalli gridava mamma / gridava
mamma come quel tale / cui il giorno prima come ad un pollo / con una sentenza
un po’ originale / aveva fatto tagliare il collo / Attenti al gorilla…».
Se
nell’ottobre del ’53 c’era stato il suo trionfo dal palco dell’Olympia,
nell’ottobre 1963, il nome di Brassens entrava del resto già nei piani alti
della cultura con un suo libro pubblicato nella collana poetica dell’editore
Seghers, quella che era inaugurata dal surrealista Paul Eluard e in cui
Brassens si troverà in compagnia di Victor Hugo, Verlaine e Aragon. Lo spiegava Alphonse
Bonnafé, che era stato suo professore al liceo: “Il pubblico di Brassens è
molto vasto e il suo successo ha assunto il carattere di un fatto sociale.
Bisogna dunque credere che ognuno di noi porta in sé un ribelle sonnacchioso.
Ognuno ha la voglia di recuperare i propri pensieri, i propri gusti che la
società gli sottrae sin dai banchi di scuola…”.
Era nato a il 22 ottobre 1921 a Séte, in Linguadoca, morirà il 29 ottobre
del 1981 nel paesino di Gély-du-Fesc, vicino a Montpellier. E per tutta la sua
vita Brassens fu un libertario senza se e senza ma, refrattario
all’incasellamento in qualsiasi ideologia, da lui considerata in quanto tale la
causa principale della tragedia delle vittime nella storia. Se nella sua
canzone Le deux oncles prendeva
le distanze sia dai vincitori che dai vinti della seconda guerra mondiale, in La
tondue arrivava coraggiosamente a
criticare la ferocia nelle epurazioni. La ballata era infatti la storia di una
ragazza accusata di collaborazionismo con i tedeschi e punita con il taglio dei
suoi capelli.
Tra la fine
degli anni ’50 e i primi dei ’60 qualcuno anche in Italia, soprattutto a
Genova, scopre la musica e i testi di Brassens. «La sintonia politica e
culturale non guastava, gli stessi interessi estetici ancor meno: senza di lui
forse non avrei mai scritto certe canzoni» ha ammesso Bruno Lauzi, riferendosi
a brani come La banda o Il poeta. Quindi sarà De
André a tradurre e incidere in italiano molte delle ballate dello stesso
Brassens, da Il gorilla a Morire per delle idee.
Si può sostenere
che quest’uomo massiccio e baffuto ha come pochi intrigato con le sue storie di
marginali, puttane, ladruncoli, ex galeotti, disoccupati, immigrati, spesso
avanzi di galera, che fanno fatica a mettere insieme il pranzo con la cena. E
di contro i suoi obiettivi polemici furono sempre i benpensanti e la triade
giudici-poliziotti-clericali. Si vantava di non essere mai entrato dentro una
banca e diceva di essere così libertario da attraversare scrupolosamente sulle
strisce pedonali, pur di non dover avere a che fare con i gendarmi.
Consigliamo ai
nostri lettori un volumetto di Brassens che la casa editrice Coniglio ha
mandato in libreria nel 2009, Le strade che non portano a Roma. Riflessioni
e massime di un libertario (pp. 91, euro 5,00), una selezione di suoi
aforismi raccolti da Jean-Paul Liégeois, un libretto che a nostro avviso
non può mancare nello scaffale di ogni vero garantista.
Dalla
lettura del libro emerge inoltre il retroterra culturale degli autori che hanno
inciso sulla sua formazione e che – anche loro – stanno nel background di una
cultura autenticamente garantista: Villon, Baudelaire, La Rochefocauld,
Mallarmé, Céline e Rabelais.
Un mix culturale che nella Francia conservatrice e benpensante degli anni
’50 e ’60 appariva un po’ urticante. Va infatti anche ricordato che, come
accadrà più avanti in Italia per De André e Guccini, più della metà delle
sue canzoni erano censurate alla radio e tv e che solo qualcuna poteva andare
in onda, ma solo dopo la mezzanotte.
Sin dal
liceo Georges amò l’opera di Villon e poi Victor Hugo, Rimbaud,
Verlaine e la sua stessa biografia glieli feci “capire”… In seguito a una
condanna a 15 giorni di carcere con la condizionale perché coinvolto di
striscio in una serie di furtarelli, e migra nel ’40 a Parigi. Lavora alla
Renault, collabora alla rivista Le monde libertaire. Nel ’44, in
licenza da militare, si nasconde al numero civico 9 di Impasse Florimont, nel
14esimo arrondissement. Ci resterà fino al ’66.
La svolta
musicale è datata 1952. È Patachou, cantante e proprietaria di un famoso
cabaret parigino, a imporlo nel mondo della canzone. I suoi testi colpiscono:
abilità nella metrica, sapiente alternanza di cultura classica e parolaccia da
strada. Come nel caso de Il gorilla…
“Nel maggio del ’68 – ha ricordato lo scrittore Jean-Pierre Chabrol – io
rimproveravo a Georges ciò che chiamavo la sua passività, il suo distacco. Cantautori
e intellettuali facevano comizi e barricate, si buttavano nella mischia. Lui
restava a casa. Lui, che solo facendosi vedere, avrebbe potuto diventare il
profeta o il guru dei sessantottini. Ma ciò che si proclamava alla Sorbona o
nelle piazze in fondo era già da molto tempo nelle sue strofe”. Lo stesso Brassens protesterà: “In realtà sono uno dei cantautori più
impegnati. Solo che normalmente si intende per impegno l’adesione a un partito
e si dà il caso che io non riconosco a nessun partito il diritto di avermi”.
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