venerdì 22 agosto 2014

Guccini, per brevità chiamato artista



articolo uscito sul quotidiano il “Garantista” venerdì 22 agosto

Luciano Lanna

“C’è un ideale libertario che è sempre esistito nell’uomo e non ha colori o etichette, non può essere fatto proprio da un’ideologia e va ben oltre gli schieramenti di destra e sinistra”. Lo affermava qualche anno fa Francesco Guccini, un cantautore e scrittore che non poteva mancare in questa sorta di Pantheon del Garantista. Pensiamo solo a come si raccontava – e a come destrutturava ogni senso d’appartenenza esclusivo – nella celeberrima L’avvelenata: “Io tutto, io niente, io stronzo, io ubriacone / io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista / io ricco, io senza soldi, io radicale / io diverso ed io uguale, negro, ebreo, comunista! / Io frocio, io perché canto so imbarcare / io falso, io vero, io genio, io cretino”. Quello libertario è del resto un atteggiamento istintivo, esistenziale, refrattario a qualsiasi visione del mondo totalizzante. E tipica del libertario è l’avversione a tutte le visioni del mondo dogmatiche,  siano esse religiose o ideologiche. Per non dire dell’allergia a qualsiasi sistema d’organizzazione sociale autoritaria e tendente all’inquadramento coatto e al conformismo.
Ricordate come Guccini ha indicato i suoi nemici in Cyrano? “Facciamola finita, venite tutti avanti / nuovi protagonisti, politici rampanti / venite portaborse, ruffiani e mezze calze / feroci conduttori di trasmissioni false / che avete spesso fatto del qualunquismo un’arte / coraggio liberisti, buttate giù le carte / tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese / in questo benedetto assurdo bel Paese…”
Sì, Francesco Guccini ha cantato anche che, proprio per tutto questo, “il libertario è sempre controllato dal clero e dallo Stato”. Ma il suo libertarismo, come lui stesso ha ammesso, si è fondato non tanto Marx e Marcuse, quanto su Jorge Luis Borges e Omar Kayyam, che infatti citava in una canzone dell’epoca. E poi su molti autori americani: Dos Passos, Steinbeck, Caldwell, Hemingway, Kerouac, Salinger. Nonché ovviamente su Bob Dylan, “il poeta in musica difficilmente inscrivibile in una fazione, influenzato com’era sia da Dante e dalla Bibbia, sia da Rimbaud e Blake, sia da Ginsberg e dai grandi beatnik…”.
Nella sua autobiografia, intitolata Non so che viso avesse. La storia della mia vita (Mondadori, 2010, pp. 225, € 18,00), a un certo punto c’è un episodio che dà la chiave di lettura del suo particolare “essere libertario”. Un suo amico modenese raccontando l’epopea beat di loro, ragazzi emiliani, ricorda infatti di due giovani capelloni degli anni ’60 che si chiedono, l’un l’altro nel loro dialetto: “Et un bit tè?”, “No, mè a sun un hippy”. E commenta Guccini: “C’era in questo breve dialogo, in questo lampo di genio, tutta la saggezza contadina di base di noi giovani d’allora che ci sognavano rivoluzionari ma che in fondo erano brava gente, provenienti da famiglie piccolo-borghesi, sognanti di fare qualcosa di nuovo ma radicati bene, profondamente, dentro quelle radici”.
Sì, perché il Francesco Guccini che emerge da queste pagine è quello più vero, quello che lui così tratteggiava in una sua bella canzone: “Io, figlio di una casalinga e di un impiegato / cresciuto fra i saggi ignoranti di montagna / che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia / io, tirato su a castagne e a erba spagna / io, sempre un momento fa campagnolo inurbato / due soldi d’elementari e uno di università...”. Oggi 74enne, nato a Modena, ma cresciuto a Pàvana nei suoi primi anni di vita, poi di nuovo modenese, quindi bolognese, e adesso di nuovo pavanese, Guccini è ed è stato soprattutto un raccontatore di storie. Sua mamma, Elsa Prandi, quando qualcuno le chiedeva se era felice d’avere un figlio cantautore, rispondeva sempre: “Be’, cosa vuole mai, noi avremmo preferito che fosse diventato professore di storia...”. Professore o meno, però, tutta la sua vita è stata quella di raccontare storie, prima con le canzoni poi con i romanzi e i racconti. «Raccontare se stesso – ha spiegato l’italianista Alberto Bertoni – e raccontare le persone, o raccontare se stesso attraverso le persone: la verità, per Guccini, deve essere cercata nei particolari delle singole vite e delle singole vicende, mai negli universali e negli slogan delle parole d’ordine collettive, perché le nostre, come la sua, sono in tutto e per tutto storie misteriose scolpite nei sassi…”.
Pochi sanno che nel 1956, colpito dalla repressione sovietica della rivolta ungherese, un Guccini sedicenne insieme ai suoi più stretti amici fonda a Bologna un “movimento laico indipendente”, presieduto dal futuro giurista Gladio Gemma, ispirato a posizioni laiche e non comuniste e ospitato nella sede del moderato Psdi? Come siamo sicuri che pochi sanno che Guccini è stato l’unico, nel 1969, a dedicare una canzone alla Primavera di Praga. “Io non sono mai stato – disse a suo tempo a Edmondo Berselli – un estremista, non è nella mia cultura…”. E prendeva le distanze anche dai comunisti dell’epoca,  “perché il Pci allora era il partito dell’Urss, figurarsi...”. D’altronde il primo vero concerto di Francesco fu, nel dicembre del ’68, alla Cittadella d'Assisi, organizzato dai cattolici: «Quelli – ha ricordato – che avevano fatto trasmettere a Radio Vaticana la mia canzone Dio è morto, allora censurata dalla Rai. Tirava aria di ’68, erano i tempi della Messa beat o qualcosa di simile, ero abbastanza giovane e curioso...”.  E quella sua canzone, scritta nel 1965 e incisa dai Nomadi, è un simbolo del clima libertario degli anni ’60. La Rai democristiana, di fronte a un brano che citava Nietzsche nel titolo e si ispirava all’Urlo di Allen Ginsberg, fece come con le canzoni di Fabrizio De André: ostracismo e censura.
Una cosa però è certa: per tutti Guccini è soprattutto l’autore e la voce di una ballata come La locomotiva. “I primi ad ascoltarla – racconta – sono stati gli amici di Bologna dell’osteria. Quando avevo un brano nuovo lo facevo sempre ascoltare a loro, chitarre, vino e cose così. E non poteva mancare mio cugino, Alberto Prandi, che era iscritto alla federazione anarchica di Carpi…”. E chi potrà mai dimenticare quella canzone? “A noi piace pensarlo / ancora dietro al motore / mentre fa correr via / la macchina a vapore / e che ci giunga un giorno / ancora la notizia / di una locomotiva / come una cosa viva / lanciata a bomba contro l’ingiustizia / lanciata a bomba contro l’ingiustizia”.

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