Luciano Lanna
A seguire il testo del mio articolo che compare sull'ultimo numero di "Rivista di Politica" (Rubbettino edizioni)
A un anno dall’elezione di Papa Francesco
pochissimi osservatori si sono sinora soffermati con cognizione di causa sul
fatto che l’impatto nell’immaginario dei suoi gesti e delle sue parole ha operato
una rivoluzione, silenziosa ma profonda, nella percezione pubblica di tutta una
serie di dinamiche relative alla sfera politica. Dalla tradizionale
collocazione di ciò che viene pensato come di sinistra o di destra al ruolo
pubblico della Chiesa cattolica, dagli automatismi di orientamento geopolitico
al giudizio sulla globalizzazione e i processi economici internazionali sino
alla visione di una Chiesa e di un Occidente in difensiva contro una presunta
deriva relativista del mondo.
Fin dai primi mesi di pontificato, infatti, papa
Bergoglio ha imboccato con energia nuove vie, seguendo una road map e un percorso ancora tutti da scoprire nelle loro
implicazioni. Ma che certo si affrancano dalla fraseologia e dagli armamentari
concettuali partoriti almeno per trent’anni intorno alla categoria della
«rilevanza pubblica» della Chiesa cattolica, quelli su cui ancora si attarda il
pensiero dominante in diversi episcopati nazionali oltre che in molti circoli
intellettuali e in molti think tank delle élite occidentali.
Intanto, emerge
nelle parole e nei gesti di Francesco l’autoemancipazione da ogni pretesa di
guidare i processi storici e politici: «La Chiesa non si occuperà di politica… Non mi sono rivolto
soltanto ai cattolici ma a tutti gli uomini di buona volontà… Le istituzioni
politiche sono laiche per definizione e operano in sfere indipendenti…». Una
consapevolezza, questa di Bergoglio, che sprigiona una libertà e una
flessibilità inediti nel discernimento dei fatti e delle dinamiche geopolitiche
ed economiche, agile quindi nel dribblare le tradizionali logiche di
schieramento e le trappole degli scontri di civiltà. Nelle parole pronunciate
all’Angelus dell’8 settembre 2013 sul traffico d’armi che alimenta le guerre
(con verosimile allusione al conflitto siriano) o in quelle rivolte ai
lavoratori e ai disoccupati di Cagliari sul «sistema economico idolatrico» che
insegue l’idolo del denaro autogenerato e non ha remore nel trasformare in
disoccupati milioni di lavoratori, riecheggiano nient’altro che le luminose intuizioni
dei padri cristiani dei primi secoli. Un cristianesimo senza alcuna mediazione
mondana e senza sovrastrutture ideologiche. Riecheggia, semmai, la lezione di Sant’Agostino,
che nella Città di Dio ammirava le
virtù pagane che hanno reso grande Roma, ed esaltava la pace come bene prezioso
anche per la Città celeste.
Nel suo cammino nel mondo, insomma,
con Papa Francesco la Chiesa procede senza zavorre e
senza armature, liberandosi definitivamente dalla strategia dell’attenzione che
l’aveva circuita e affiancata nell’ultimo quindicennio a opera degli ambienti
che potremmo riassumere dietro le etichette di teo-con e atei-devoti e che si
giustificava, in parte, con l’assunzione da parte di alcuni ambienti
ecclesiastici di una visione della Chiesa battagliera sul palcoscenico della
politica. Quanto d’un tratto siamo lontani, in poco tempo, da dieci e più anni
di dibattito sui “valori non negoziabili”, sull’offensiva contro il
relativismo, sulla “difesa” della cittadella cristiana. Anche quando dice che «un buon
cattolico si immischia in politica» il Papa aggiunge infatti che il servizio
più grande che un cristiano ha da offrire «ai governanti» è la preghiera. Quello che scompare è infatti
l’orizzonte del cristianesimo pensato e vissuto come una “cultura” come le
altre, da difendere e affermare…
Sui un altro versante, non molti analisti si sono soffermati come
meritava su un’affermazione di Papa Bergoglio espressa nel corso della sua
lunga intervista concessa a padre Antonio Spadaro su Civiltà Cattolica. «Non sono mai stato di destra», ha riconosciuto Francesco,
contravvenendo a una vecchia e tacita convenzione secondo cui i pontefici della
Chiesa cattolica dovrebbero sottrarsi a questioni che riguardano le umane,
troppo umane, collocazioni politico-ideologiche. E a nostro avviso si tratta in
realtà di un’ammissione che, se interpretata e tematizzata correttamente,
consentirebbe di aiutarci a percepire in tutte le sue valenze l’impatto del
nuovo pontificato sull’immaginario complessivo della politica. Lo consentirebbe
proprio perché proviene da una figura che, stando alle letture convenzionali e
alla più immediata vulgata mediatica, tradizionalmente avrebbe quantomeno
dovuto sfuggire e non prendere posizione di fronte alla morsa della
categorizzazione destra/sinistra. Inoltre è una osservazione che spiazza e
porta “oltre”, non funziona con la banale logica alternativa – non di destra,
quindi di sinistra – ma spinge a sparigliare la percezione della realtà come
universo a due campi, o di qua o di là.
D’altronde, è anche per la sua storia pastorale e personale, che
oltretutto è legata a temi indiscutibili come la difesa della famiglia e della
vita sin dal concepimento e a definite matrici politico-culturali proveniente
dal suo milieu, che Jorge Mario
Bergoglio è arrivato a determinare una
vera e propria rivoluzione nei riflessi condizionati e negli schematismi politico-culturali
otto-novecenteschi. Ha annotato, non a caso, a caldo Vittorio Messori, subito
dopo la sua elezione al soglio di Pietro e le sue prime esternazioni: «Molti nella
Chiesa erano perplessi per uno stile in cui sembrava di avvertire qualcosa di
populista, di sudamericano che in gioventù non fu insensibile al carisma di
Peròn…». Contesto e milieu
“peronista” che tornava nelle stesse parole del Papa riportate nell’intervista
a Civiltà cattolica, laddove
Bergoglio dovendo citare i “suoi autori” di riferimento parlava “ovviamente” di
Dante, di Borges, ma anche del “peronista” Leopoldo Marechal, l’autore di Adán Buenosayres… D’altronde l’argentino
Carlos Gabetta, politologo e studioso del peronismo, interpellato sul tema ha
dovuto ammetterlo: «L’immagine di semplicità popolare del Papa è autentica, così come
autentica è la cultura peronista che rivelano i suoi gesti». Aggiunge Francisco
Mele, successore di Bergoglio al Collegio universitario del Salvador di Buenos
Aires: «Questo Papa
rappresenta la voce dell’America Latina, non è solo un patriota argentino,
forse un peronista. Come ama dire lui stesso, egli parla per tutti i popoli…».
D’altronde, il giovane gesuita Bergoglio fu molto vicino all’esperienza
dei cura villeros, i religiosi che
scelsero le favelas argentine per testimoniare che Cristo stava coi poveri. E
che si coinvolsero con piglio generoso nelle lotte popolari degli anni Sessanta
e Settanta. Da vescovo, il futuro Papa Francesco, istituì tante nuove
parrocchie nei quartieri operai di Buenos Aires e manifestò concretamente
l’opzione preferenziale per i poveri. Come ha raccontato il giornalista e
vaticanista Gianni Valente (in Francesco.
Un Papa dalla fine del mondo, EMI, Bologna 2013), negli anni Settanta «i cura villeros si misero a costruire
cappelle dai nomi inequivocabili (Santa Maria Madre del Pueblo a Bajo Flores,
Cristo Obrero a Villa de Retiro, Cristo Libertador a Villa 30) dove celebrare
battesimi, matrimoni e funerali, recitare rosari, organizzare processioni,
nello stesso momento in cui ogni giorno
lavoravano per sostenere le istanze materiali e politico-sociali dei vollero:
commissioni per l’acqua, per le fogne e l’elettricità, per far arrivare anche
alle villas un minimo di assistenza
sanitaria, resistenza organizzata ai piani di demolizione periodicamente messi
in campo dai diversi regimi militari, cooperative edili, mense popolari…». Alcuni di questi preti, molto amici di
Bergoglio, non nascondevano il proprio esplicito schieramento politico con la
sinistra peronista: nel 1972, sull’aereo che riportava Peròn in Argentina per
il suo ultimo, effimero ritorno al potere, c’era anche padre Jorge Vernazza, uno
dei pionieri dei cura villeros e
amico di Bergoglio, insieme a Carlos Mugica, il sacerdote martire di Villa de
Retiro, freddato dai proiettili dei paramilitari l’11 maggio 1974, mentre
tornava a casa dopo aver celebrato messa. Ma, come annota Valente, l’immanenza
di questo clero alla vita reale dei poveri e, in particolare delle villas, li esponeva sin d’allora a
incomprensioni di segno opposto: «C’era chi li considerava sovversivi in tonaca, preti contaminati
dalla propaganda marxista; sull’altro fronte, anche gli intellettuali della
sinistra progressista esterofila, compresi quelli di matrice ecclesiale, non
trattenevano il loro illuminato disprezzo verso villeros così presi dai bisogni primari da non trovare il tempo per
l’insurrezione politica, e verso i loro curati ancora trattenuti da rosari e
Madonne, messe e confessioni…».
Come interpretare d’altronde il passo della già citata intervista
a padre Spadaro su Civiltà Cattolica
in cui Bergoglio riconosce la sua costante difficoltà di fronte ai tentativi di
catalogazione del suo apostolato nel senso delle vecchie categorie ideologiche?
«Il mio modo
rapido di prendere decisioni mi aveva portato – riconosce – ad avere seri
problemi e ad essere accusato di essere ultraconservatore. Ho vissuto un tempo
di grande crisi interiore quando ero a Cordova… perché non sono mai stato di
destra. Alla fine la gente si stanca dell’autoritarismo…». Un passo in cui è
evidente la connessione imprescindibile dell’etichetta di destra a dimensioni come
l’autoritarismo e il conservatorismo che, piaccia o meno, venono
automaticamente connesse a quella specifica categorizzazione spaziale.
Connessione che, tanto per dire, è automatica anche per una certa ossessione
unilaterale per le cosiddette “questioni etiche” o sensibili. Dalla quale
ossessione, ancora, Papa Bergoglio aveva e ha sempre preso le distanze
spiegando la necessità di anteporre la “buona novella” evangelica a qualsiasi
professione di fede moralista tutta giocata sui valori: «Non possiamo insistere
solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale
e uso dei metodi contraccettivi. Ma questo mio non insistere mi è stato
rimproverato…». D’altronde, anche da primate
della Chiesa argentina Bergoglio si era sempre tenuto lontano dai toni da
crociata di chi fa la difesa dei valori non negoziabili e dei temi di morale
sessuale l’orizzonte esclusivo del magistero ecclesiale.
Tutto questo si è reso
esplicito martedì 26 novembre 2013, quando Papa Francesco ha reso pubblica la
sua prima esortazione apostolica, intitolata Evangelii Gaudium (“La Gioia del Vangelo”). In particolare Papa Francesco affronta alcune questioni di carattere
dottrinale e indica alcune «vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni»: tra le altre
cose, allude a «una conversione del papato» sulla via di una «salutare
decentralizzazione» e dice che la chiesa deve dialogare con le altre religioni
(«condizione necessaria
per la pace nel mondo») e – anche – con i non credenti. Il testo affronta poi anche
questioni che hanno direttamente a che fare con la sfera politica e l’economia.
Esplicitando una serie di posizioni che sono state etichettate come “anticapitaliste”
in realtà solo perché definiscono il superamento da parte della Chiesa cattolica
dalle posizioni storicamente anticomuniste assunte nel Novecento.
Infine, ci sono diversi passaggi
che, a sorpresa, affrontano questioni legate alle donne, ai loro diritti e anche
all’aborto. «La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna
nella società», scrive Papa Francesco, ma «c’è ancora bisogno di allargare gli
spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa». Deve essere
garantita la presenza delle donne «nei diversi luoghi dove vengono prese le
decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali».
Sull’aborto, poi, Papa Francesco spiega che oggi si pretende di «negare dignità
umana promuovendo legislazioni» ai «bambini nascituri» e che la chiesa, su
questo, non cambierà la propria posizione («Voglio essere del tutto onesto al
riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a
“modernizzazioni”»). Però, sottolinea, «è anche vero che abbiamo fatto poco per
accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure,
dove l’aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde
angustie». Se a questo si aggiungono le parole del Papa sui separati e i
divorziati, versoi quali – ha più volte sottolineato Francesco – l’atteggiamento
misericordioso della Chiesa, non può che essere di apertura, il quadro è
abbastanza chiaro.
L’ultima rivoluzione di Bergoglio
riguarda, infine, l’orizzonte geopolitico. Le convulsioni e le tragedie della storia – dai migranti e i profughi
affogati nel Mediterraneo alla strage di lavoratori morti nel crollo del Rana
Plaza, in Bangladesh – non sono mai state ignorate dal magistero giorno per
giorno del Papa che si è definito «quasi alla fine del mondo». Ma nei giorni
che hanno preceduto e seguito la grande veglia di preghiera e digiuno per la
pace, sabato 7 settembre 2013, la “scossa” trasmessa dal nuovo vescovo di Roma
si è avvertita forte. Se si ripercorre infatti la
sequenza dei gesti, dei temi e delle parole di papa Francesco davanti alla
tragedia siriana e alla prospettiva di un intervento militare a guida
statunitense, appare evidente che in quel frangente Bergoglio ha innescato
processi inattesi e prefigurato scenari inediti. Sabato 7 settembre, in Piazza
San Pietro, è storica la veglia di digiuno e preghiera per la pace, a cui si
uniscono a Roma e in tutto il mondo credenti di tutte le religioni (ma anche di
nessuna religione): dal gran muftì di Damasco Ahmad Badreddin Hassousi a Emma
Bonino, dai musulmani di Nahdlatul Ulama in Indonesia a quelli coinvolti nel
movimento interreligioso Silsilah, nell’isola filippina di Mindanao. Qualche
giorno dopo, quando la Russia di Putin e gli Stati Uniti di Obama si mettono
d’accordo sulla proposta di distruggere le armi chimiche siriane con il
consenso del regime di al-Asad, il patriarca di Gerusalemme dei latini
definisce la svolta diplomatica come un «miracolo» avvenuto dopo le preghiere
volute da Bergoglio.
Intanto, se il punto prospettico
da cui la Chiesa guarda alle vicende del Medio Oriente non può che essere
quello delle comunità cristiane disseminate nei paesi arabi, il papa argentino
non offre appigli ai circoli occidentali che strumentalizzano le disgrazie e le
persecuzioni dei cristiani d’Oriente per fomentare sentimenti islamofobici. Ricordiamolo:
Bergoglio saluta da Lampedusa i «fratelli musulmani» che stanno per iniziare il Ramadan. Firma di
suo pugno il messaggio di auguri per la
fine del mese di digiuno islamico, rivolgendosi ai musulmani anche all’Angelus
dell’11 agosto.
In papa Francesco, insomma, non
trovano sponde utili le teorizzazioni di chi negli anni passati voleva
arruolare anche la Chiesa cattolica nel proprio sentimento di superiorità
rispetto al mondo islamico e nella presunzione “pedagogica” di insegnare all’Islam
i percorsi verso la democrazia e la modernità. Un altro tassello, dalle grandi conseguenze, del cambiamento di percezione che Bergoglio ha impresso nella sensibilità pubblica.
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Bellissimo! Pienamente condivisibile, soprattutto perché c'è una profonda radice che arriva all'origine: quella cristiana missionaria che ha evangelizzato l'Europa dandone testimonianza con le sue cattedrali e le sue numerose missioni sparse per il mondo. Bergoglio è la vera novità del terzo millennio!
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