Luciano Lanna
Con questo Gualtiero Jacopetti. Graffi sul mondo (Edizioni Il
Foglio, pp. 340, euro 16,00) Stefano Loparco ha realizzato una cosa che si
attendeva da anni: raccontare, spiegare e restituire alla storia del cinema (e
non solo) il contributo fondamentale di un intellettuale italiano del Novecento
tra i più creativi e irregolari. Graffi
sul mondo è infatti la prima biografia dedicata al giornalista e cineasta
scomparso nell’agosto del 2011 a novantadue anni d’età, quasi uno Junger
all’italiana, che in maniera disincantata e appassionata a un tempo ha
attraversato come pochi il secolo scorso. Autore di film come Africa addio o Mondo cane, pellicole che hanno trasformato la modalità di
raccontare le cose attraverso le immagini, Jacopetti è stato un figlio inquieto
della provincia italiana, attratto sin dall’infanzia dall’avventura e dalla
bellezza, insofferente alle regole e al conformismo oltre che refrattario alle
mode. La sua tecnica di fare cronaca giornalistica, prima, e cinema poi, ha
aperto la strada a un nuovo modo di raccontare le cose, con proseliti, seguaci
e schiere di fan in tutto il mondo. Basti pensare che una voce specifica,
“Mondo cane”, è presente nel raffinato e autorevolissimo Dizionario Snob del Cinema dei due critici cinematografici
statunitensi David Kamp e Lawrence Levi (ed edito in Italia da Sellerio): “Nel
1962 anticipò di decenni gli shock documentari del network Fox… In era pre-videoregistratore
l’etichetta Mondo divenne sinonimo di trasgressione cinematografica,
determinando un profluvio di imitazioni…”.
Dello jacopettiano "Mondo
movie", Loparco ci racconta proprio tutto, dalle matrici nel lavoro
cinegiornalistico del giovane Gualtiero, all’impatto sul pubblico. Gli anni
Cinquanta e Sessanta, quelli in cui l’ex volontario di guerra Jacopetti dà
espressione – dopo aver conosciuto Leo Longanesi, Indro Montanelli e Luigi
Barzini – al suo giornalismo, sono quelli dei cinegiornali, i settimanali
d’informazione che, come allora stabiliva la legge, anticipavano la proiezione
dei film al cinema nel momento tra la fine e l’inizio del film in programma che
si chiamava – come da lucetta rossa all’ingresso - “attualità”. Chiusa infatti
la grande stagione del Giornale Luce
(1927-1945) con la fine del fascismo, sono tenute a battesimo nuove testate
cinegiornalistiche: Settimana InCom,
dove Jacopetti lavora tra il 1950 e il 1955, Europeo Ciac, dove si distingue tra il 1956 e il 1958, sino a Ieri, Oggi e Domani, dal 1959 in avanti…
Jacopetti, nella sua veste di regista e di autore del commento parlato,
trasforma via via il cinegiornalismo conferendogli un tono sempre più
dissacratorio, irriverente e strafottente, cosa impensabile per i paludati
telegiornali che dal 1954 andavano in onda sull’allora unico canale televisivo
della Rai. L’esigenza è di fermare l’emorragia di spettatori dalle sale
cinematografiche favorita dalla diffusione del mezzo televisivo. “C’è di più e
di più profondo: a forza – scrive Loparco – di montare e rimontare immagini,
tra una seduta del parlamento e una sfilata di moda, l’inaugurazione di una
bretella stradale e un evento sportivo, Jacopetti capisce che se i fatti godono
di un loro status ontologico, esiste un modo per poterli reinterpretare senza
incorrere nelle forche caudine del censore. Una zoomata su un particolare
apparentemente insignificante, una pausa prolungata o un improvviso cambio nel
tono della voce del commentatore e anche il più austero dei resoconti politici,
svuotato del suo significato di facciata, diventa irrituale quando non
propriamente buffo. Il gusto per lo sberleffo, la battuta al vetriolo,
l’irriverenza verso il potere e le mode, tratti peculiari di Jacopetti, daranno
vita a quel cinegiornalismo sfottente che riuscirà a scalfire l’egemonia dell’informazione
istituzionale”.
Da giornalista della carta
stampata Jacopetti nel 1954 aveva anche fondato e diretto un settimanale, Cronache, per la quale esperienza Sergio
Saviane lo definirà “il padre spirituale dell’Espresso”. Lo stesso Eugenio
Scalfari, nel suo La sera andavamo in via
Veneto, ha raccontato l’episodio spiegando come nacque L’Espresso: “La redazione era proprio quella ereditata da Cronache, un settimanale abbastanza ben
fatto e politicamente impegnato, che era stato fondato e diretto fino a pochi
mesi prima da Gualtiero Jacopetti…”. Ecco quello che vi si leggeva, il 7
dicembre 1954, a firma proprio del direttore, in polemica con l’Italia
democristiana: «L’autoritarismo non vuole
uomini, ma solamente automi, non personalità sfuggenti e fluide, ma elementi
semplici e docili, alla modellazione e alla collocazione... negli schemi e
nelle strutture prefabbricate della società”. Perché Jacopetti non era di
sinistra, tutt’altro, ma la sua avversione verso il moderatismo a tutela
democristiana era totale. “L’Italia era ridotta a un immenso dormitorio –
spiegherà – con la censura democristiana e una borghesia ipocrita pronta a
scandalizzarsi per nonnulla. Così io mi divertivo mettendo in risalto il
conformismo diffuso, la corruzione e la mancanza di cultura…”.
Di questo,
Loparco ricostruisce tutte le fasi, sino all’idea nel 1959 di realizzare
documentari per il grande schermo: “Il titolo è entrato nella storia e
nell’immaginario: Mondo cane. I
protagonisti anche: Gualtiero Jacopetti, già noto per i suoi cinegiornali, ma
anche Paolo Cavara e Franco Prosperi, all’epoca poco più che trentenni,
entrambi provenienti dal documentarismo naturalistico. A farli incontrare è un
amico comune, il giornalista Carlo Gregoretti. Con Jacopetti aveva lavorato a
Cronache tra il 1954 e il 1955. Con gli altri due era reduce da una spedizione
subacquea nell’isola di Ceylon nel 1951-52”. Jacopetti era da poco reduce di
un’esperienza cinematografica, aveva sceneggiato e scritto Il mondo di notte di Alessandro Blasetti (oltre che essere apparso
come attore in Un giorno in pretura di Steno con Alberto Sordi). Franco
Prosperi, infine, coinvolge nell’impresa anche un suo vecchio amico, Stanislao
Nievo, pronipote di Ippolito Nievo, che dopo il liceo aveva abbandonato gli
studi universitari per dedicarsi ai viaggi d’esplorazione nel mondo (diverrà un
grande fotografo, sua ad esempio la solo foto a colori di Julius Evola, e negli
anni Settanta sarà anche uno scrittore di libri di successo come Il prato in fondo al mare..).
Con questo
gruppetto di amici si realizza Mondo cane
che uscendo nella sale nel 1962 balzò in testa ai botteghini di mezzo mondo in
breve tempo e la cui colonna sonora di Riz Ortolani, More, diverrà un successo internazionale cantata, tra gli altri,
anche da Frank Sinatra. Seguiranno gli altri cinque film jacopettiani: La donna nel mondo (1962), Mondo cane 2 (1963), Africa addio (1966), Addio zio Tom (1971) e Mondo Candido (1975), di cui gli ultimi
due non sono documentari va cinema nel senso di fiction. Loparco elenca,
inoltre, tutti gli altri film, di altri registi, che si ispirarono allo stesso
filone: da Mal d’Africa (1967) di
Stanislao Nievo a Ultime grida dalla
savana (1975) di Antonio Climati e Mario Morra.
Loparco
racconta poi l’abbandono del cinema, nel 1975, da parte di Jacopetti e tutta la
sua lunga vita straordinaria: gli anni della “dolce vita” (non a caso Fellini
si ispirò a lui per la figura interpretata da Mastroianni nel film del 1960), i
viaggi, le collaborazioni giornalistiche per il Corriere della Sera e per il
Giornale del suo amico Montanelli, l’impegno politico a destra, la
riscoperta della sua opera negli anni Novanta, il suo grande amore per la
bellissima attrice Belinda Lee, morta in un incidente mentre lui guidava in
California nel 1961, i suoi problemi giudiziari, il suo pensiero… Ma nel 1975, come dicevamo, si ritira, quasi avesse capito che precorreva troppo, che stava troppo avanti. E si mise, serenamente, in ascolto del mondo...
“Quello che
più contra è che il suo cinema – si legge in Graffi sul mondo – ha imposto un nuovo modo di pensare l’esperienza
cinematografica, ha assicurato alla cultura internazionale un lemma, appunto
quel ‘mondo’, che è ancora oggi un vocabolo attestante l’italianità di un
filone, ha contaminato generi diversi, dalla letteratura (James Graham
Ballard), l’animazione (Tony Pagot), ai media contemporanei (i reality). E non
mancano i riconoscimenti. È il caso, tra gli altri, degli U2, che nel corso del
loro tour mondiale Zoo Tour del 1992-93 hanno proiettato sui maxischermi alcuni
spezzoni tratti dai suoi film, del cantante americano Mike Patton che, nel
2010, gli ha reso omaggio pubblicando un album intitolato Mondo cane, mentre lo stesso Jacopetti è stato chiamato nel suo
ultimo anno di vita, il 2011, alla Biennale di Venezia. E, due anni dopo la sua
scomparsa, all’uscita nel 2013 di Django
Unchained di Quentin Tarantino (da sempre fan del modo jacopettiano di
tagliare le immagini e fonderle con la musica) si è potuto leggere: “Tarantino
non ha mai fatto segreto di aver attinto a Jacopetti e al suo Addio Zio Tom. E lo stesso attore Samuel
Jackson ha dichiarato d’essersi ispirato proprio a quel film per interpretare
Django, lo schiavo di colore appartenente al villain Leonardo DiCaprio”.
Nessun commento:
Posta un commento