Federico Magi
Dall’ossessione
orrorifica, onirica e metafisica in Antichrist,
passando per il vuoto emotivo e la conseguente distruzione del pianeta in Melancholia, si arriva alla dimensione filosofica ed esistenziale dell'ossessione del sesso di Nymphomaniac.
Si chiude dunque “la trilogia della depressione” ideata da Lars von Trier,
tanto più buia e oscura quanto i motivi profondi di questo suo ultimo cinema,
ma sempre degna d’ogni ribalta scandalistica prestandosi comunque a dibattito e
discussione, risultato finale d’un cinema sempre in cerca di un feedback sensazionalistico che ci
riporta ogni volta alla medesima conclusione: ma quanto è paraculo il buon
vecchio Lars? Nymphomaniac non solo
non attenua ma in qualche modo rafforza la sensazione che il regista danese sia
il solito furbacchione che riesce, ogni qual volta porta in sala una sua nuova
pellicola, a far parlare e tanto di sé. Diviso in due parti (la seconda sarà
nelle sale a breve) ma colpito fortemente da una censura concordata e
autorizzata, suo malgrado, dallo stesso von Trier, Nymphomaniac arriva in Italia in versione evidentemente ridotta
rispetto all’originale berlinese, ma restituisce lo stesso una compiuta idea di
sé allorché il regista danese ci propone un’opera efficacemente strutturata e divisa
in capitoli, come aveva fatto in precedenti opere, partendo da un’idea un po’
ingannevole e forse fuorviante, rispetto alla complessa analisi che deriva
dalla visione, ovvero che il porno, genere commercialmente fortunato ma
artisticamente scadente, nelle mani di un vero autore come lui può assurgere se
non proprio ad opera d’arte quantomeno a materia d’interesse cinematografico e
culturale più elevata del consueto. E se ciò potrebbe essere vero
nell’apparenza della forma, in quanto il sesso è centrale ed esibito a piene
mani nella pellicola, nella sostanza Nymphomoniac
è un’opera dalle ambizioni filosofiche e dal retrogusto – in continuità con la
stragrande maggioranza dei suoi lungometraggi – morale e nemmeno troppo
nascostamente moraleggiante.
Come
in Antichrist e Melancholia, von Trier ci introduce alla vicenda narrata attraverso
un incipit ricercato e finemente
costruito, in cui la macchina da presa insegue, setacciando al dettaglio, i vicoli
solitari di un quartiere periferico in una giornata fredda e nevosa e si
sofferma, mentre infuriano improvvise le note hard dei Rammstein, su Joe, una
donna insanguinata e distesa a terra, successivamente soccorsa da Seligman, un
anziano signore uscito a far la spesa. Seligman la porta in casa sua e le offre
un thè caldo, e qui Joe inizia a raccontare della sua vita, dicendo di essere
una ninfomane. E qui comincia un lungo flashback,
intervallato da improvvisi ritorni al presente intramezzati da riflessioni
esistenziali su eros e thanatos, sul senso di colpa e sulla
morale, sull’inevitabilità delle scelte e sulla sessualità maschile e
femminile, conditi da divagazioni psicanalitiche, riflessioni sulle sequenze
numeriche legate al sesso e alla musica, e da continui rimandi metaforici
all’arte della pesca con la mosca. Come al solito Lars von Trier mette
tantissima carne al fuoco e in conseguenza di ciò non sempre tutto scorre
chiaro e lineare, denotando ancora una volta come la scelta di piegare le
canoniche vie narrative al suo incandescente magma autoriale sia più importante
di servire una pietanza cinematografica ad uso e consumo di tutti. In ciò Nynphomaniac resta nel solco del suo
cinema precedente, ma se in questo caso il regista è ben attento a restare,
rispetto ad Antichrist e Melancholia, su un piano eminentemente
fisico e fenomenologico, l’opera ha possibili cali d’interesse nella
reiterazione di eventi fin troppo simili e ravvicinanti sfiorando più volte il
tedio e l’eccessiva connotazione morale, fotografando l’apparente vuoto di un’anima
che, almeno in questo primo volume – d’obbligo non dare un giudizio definitivo,
vista la struttura proposta – trasmette un infinito senso di solitudine e una
moltitudine di sensi di colpa che non sembrano cercare espiazione attraverso il
sesso ma che il sesso seriale e anaffettivo comunque ingigantisce.
E qui
c’è lo sguardo moralistico di von Trier che osserva palesemente la sua
bellissima e svuotata protagonista,
ossessionata dal sesso e in un certo senso terrorizzata dall’amore, espresso
efficacemente solo a un padre tanto amato quanto poco influente nella vita e
nelle scelte della ragazza. Questo primo volume in effetti ci parla della Joe
prima adolescente e poi ventenne, e solo nella seconda parte vedremo in azione
la Joe adulta le cui scelte, parrebbe dall’andamento del film, dovrebbero
confermare se non rafforzare l’andamento della prima metà del film. Difficile
dunque ricondurre efficacemente a un giudizio univoco la complessità di
un’opera come questa avendone visto solo una parte, pur significativa. Ciò che è evidente è che quello del regista
danese resta un cinema fortemente autoriale, certamente di qualità non comune,
sia dal punto vista visivo con i suoi rimandi ai grandi cineasti europei
(Bergman in
particolare, ma non soltanto), che nella scelta della musica (suggestive le
alternanze dall’hard alla classica) e degli attori, tra i quali spicca Stacy
Martin (la Joe ragazza), la bellissima giovane co-protagonista e Uma Thurman che
in una fugace ma folgorante apparizione vale da sola il prezzo del biglietto.
Sospendendo il giudizio completo in attesa del secondo volume, è comunque
possibile affermare che Nymphomoniac
sia un film non privo d’interesse nonostante alcune incongruenze e la possibile
noia che può sopraggiungere in alcuni frangenti. Certo, se si va oltre la sua
pur palese rappresentazione materiale è un film che sembra ricercare chiavi di
lettura di un fenomeno meno banali del consueto. Per andare, è prevedibile,
ancora oltre, a indagare l’anima umana in uno dei suoi tanti anfratti oscuri.
Che sia tutta un’ossessione autoreferenziale? Che sia solo un altro modo furbo
per far parlar di sé? A conti fatti è poco importante: Lars è così, prendere o
lasciare. Può disturbare o irritare, ma alla fine, se si è amanti della settima
arte, si è sempre curiosi di andare al cinema per vedere un suo film.
Regia: Lars von Trier. Soggetto
e sceneggiatura: Lars von Trier. Fotografia: Manuel Alberto Claro. Montaggio:
Molly Marlene Stensgard. Interpreti principali: Charlotte Gainsbourg,
Stellan Skarsgard, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Uma Thurman, Willem Dafoe,
Christian Slater, Jamie Bell, Mia Goth, Sophie Kennedy Clark, Connie Nielsen,
Michael Pas, Jean-Marc Barr, Udo Kier. Scenografia: Simone Grau Roney.
Costumi: Manon Rasmussen. Produzione: Zentropa Entertainments,
Zentropa International, Slot Machine, Zentropa International France, Caviar,
Zenbelgie, Arte France Cinéma. Musica: Rammstein, D. Shostakovich, C.
Saint-Saëns, Steppenwolf, G.B. da Palestrina, C. Franck, J.S. Bach, Talking
heads, C. Gainsbourg, R. Wagner, L. van Beethoven, F. Haendel, W.A. Mozart.
Origine:
Danimarca/Germania/Francia/Belgio, 2013. Durata: 118 minuti.
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