sabato 3 gennaio 2015

Quando i prigionieri italiani costruivano chiese sulle Isole Orcadi

Di seguito un estratto dell'articolo di David Randall, La chiesetta delle Isole Orcadi,  tratto da Internazionale che racconta la costruzione sulle isole Orcadi della Capella Italiana ad opera dei prigionieri italiani del Campo 60 a Lambholm. Un luogo molto suggestivo e una storia poco conosciuta che vale la pena di ricordare...



"Dato che in questo periodo di notti lunghe e giorni freddi abbiamo bisogno di qualcosa che ci riscaldi il cuore, vorrei raccontarvi quello che fecero alcuni italiani nel Regno Unito durante la Seconda guerra mondiale. Come tutte le più belle storie a lieto fine, anche questa comincia piuttosto male: nel 1942, in Libia, dopo che l'esercito canadese aveva catturato migliaia di italiani. Li mandarono in un campo di prigionia nel nord dell'Inghilterra... Il governo britannico aveva deciso di costruire delle strade sulle isole Orcadi, un piccolo arcipelago al largo della costa nordorientale della Scozia, e aveva pensato di far partecipare ai lavori alcuni dei prigionieri italiani più qualificati. Così, all'inizio del 1943, qualche centinaio di loro arrivò sulla minuscola isola abitata di Lambholm  e si sistemò nelle baracche di latta che avrebbero preso il nome di Campo 60. 
Gli italiani lavoravano e nel tempo libero cercavano di rendere quel posto un po' più accogliente. Ben presto cominciarono a raccogliere il materiale necessario per costruire un rudimentale teatro e una sala comune, e disegnarono alcune aiuole per tentare di far crescere qualche piantina nell'ingrato clima di Lambholm. Questo fu solo l'inizio. Il coordinatore dei lavori, Domenico Ciocchetti, un pittore di Moena, vicino Bolzano, costruì una statua di San Giorgio usando filo spinato e cemento. Poi lancò un'idea apparentemente assurda: perché non costruire una chiesetta italiana su quella desolata isola britannica? Il cappellano, padre Giacobazzi, appoggiò il progetto, le autorità diedero il permesso, ma misero a disposizione solo due grandi baracche di lamiera ondulata unite tra loro a formare una sorta di mezza botte. I prigionieri rivestirono l'interno di intonaco, ricoprirono l'esterno di cemento e usarono tutto quello che riuscirono a trovare per trasformare quel guscio di metallo in una cappella simile a quelle che si vedono nei paesini italiani. Costruirono l'altare con il legno recuperato da un naufragio, ricavarono l'acquasantiera da un vecchio tubo di scappamento e i candelieri da qualche scatoletta di carne. Giuseppe Palumbi usò dei rottami per creare l'inferriata che avrebbe diviso la navata dall'abside. Gli ci vollero quattro mesi. Domenico Buttapasta decorò la facciata costruendo un architrave sostenuto da pilastri di cemento e un campanile ornato da pinnacoli. Giovanni Pennisi modellò una testa di Cristo in argilla rossa. I prigionieri usarono i pchi soldi della loro paga per comprare delle tendine di stoffa dorata per il tabernacolo. Intanto Domenico continuava a dipingere. Il suo capolavoro fu un incredibile quadro della madonna con il bambino da collocare sull'altare, ispirato a un santino che aveva portato con sé quando era partito per la guerra. Quando furono liberati i prigionieri rimasero sull'isola ancora diverse settimane per completare l'acquasantiera". 



La Cappella Italiana fu apprezzata dagli abitanti dell'isola che fecero di tutto per tenerla in piedi. Quando alcune parti cominciarono a cedere si creò un comitato per la sua conservazione. Domenico Ciocchetti tornò alle Orcadi per restaurare la cappella e i dipinti nel 1960. Quattro anni dopo eccolo ancora a Lambholm per abbellire la cappella con un crocifisso e una Via crucis donata dai cittadini di Moena. Agli abitanti delle Orcadi lasciò questo messaggio: "La cappella è vostra, amatela e conservatela". Ogni anno accoglie più di centomila visitatori tra cui diverse coppie di sposi che scelgono quella chiesetta per unirsi in matrimonio. 

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