venerdì 27 giugno 2014

Per farla finita con il santino di Almirante (e di Berlinguer e di Andreotti)


Pubblichiamo il testo dell'articolo pubblicato venerdì 27 giugno sul quotidiano "Il Garantista"

Luciano Lanna

Ricorre oggi il centenario della nascita di Giorgio Almirante. Un anniversario che, forse per le solite apparentemente casuali coincidenze, cade nello stesso anno del trentennale della morte di un altro protagonista della politica a lui contemporaneo, Enrico Berlinguer. Ma per entrambe le figure il tempo trascorso negli ultimi decenni paradossalmente è come se inducesse una sorta di illusione ottica, alimentandone una lettura e una iconizzazione che finiscono in parte per rovesciarne il ruolo e il bilancio politico. Così Berlinguer, l’uomo dell’apparato del Pci e il regista principe della vocazione alla mediazione e al compromesso realistico, è finito per venire esaltato e celebrato ex post da chi oggi vorrebbe combattere  quel che resta di quell’apparato e da chi è avversario dichiarato dell’inciucio e delle tattiche politicanti. Almirante, a sua volta, è finito per venire adottato come presunto modello di una destra egemonica e vincente anche da chi nel periodo della sua guida del Msi lo contestava energicamente e gli contestava la tattica politicante da “pesca delle occasioni”.
Sia ben chiaro: il peso storico e il ruolo svolto dai due uomini politici rimane storicamente indiscutibile, ma nel senso che la storia non si fa con i “se” e che le decisioni assunte hanno sempre conseguenze da cui non si torna indietro e che pregiudicano gli accadimenti futuri. Resta però il fatto che nei processi dell’immaginario politico il tempo non è mai galantuomo e che – come ha annotato Andrea Colombo – “di solito fa ingiustizia sostituendo la memoria con il mito”.
Molto incide in questo processo di costruzione dei “santini” – vale per il missino Almirante e il comunista Berlinguer come per l’avversario e il vincitore sui due nel periodo di azione delle loro strategie politiche, il democristiano Giulio Andreotti – non solo il tempo trascorso ma soprattutto il soffermarsi da parte dei costruttori della leggenda postuma su episodi individuabili solo nell’ultimissima fase delle lunghe parabole politiche degli stessi personaggi. E così, solo per fare un esempio, di Berlinguer qualcuno ricorda il telegramma di dolore inviato nel 1983 dal leader comunista alla famiglia dell’agonizzante Paolo Di Nella, ragazzo missino che morirà per le sprangate ricevute mentre affiggeva manifesti. Oppure di Almirante la sua visita nel 1984 alla camera ardente del defunto “avversario” Berlinguer e le sue parole in uscita: “Non sono venuto per farmi pubblicità ma per salutare un uomo estremamente onesto”. Così come, quattro anni dopo, si ricorderà la visita di Giancarlo Pajetta alla camera ardente di Almirante. Una cosa è certa: permane nella riproposizione continua di questi episodi un atteggiamento funzionale a una narrazione tendente a censurare tutte le dinamiche di conflitto e di vera dialettica politica.
Sullo stesso piano si pongono le operazioni di sottolineare i discorsi di Berlinguer sulla “questione morale” o il presentare Almirante come l’anticipatore nel dibattito pubblico del “presidenzialismo”. Quando si tratta in realtà di temi tardivi e che – come già accennato – appartengono alle fasi finali delle parabole politiche di Berlinguer e di Almirante, quelle successive al 1979-80. Sarebbe invece compito dello storico spiegare la logica (le contraddizioni e anche gli scacchi) dei periodi propulsivi e strategici, sia del berlinguerismo che dell’almirantismo, quelli tra il 1968 e il ’79, anno in cui le elezioni politiche segnarono la sconfitta definitiva sia del Pci di lotta e di governo che dell’ipotesi della destra nazionale. Si determinò allora lo spartiacque che segnò il fallimento del progetto berlingueriano di tenere assieme spinte anche contrastanti e divergenti in una logica di lotta e di governo. Come era possibile, d’altronde, tenere insieme la richiesta dei ceti piccolo-borghesi che si rivolgevano al Pci in quanto partito legalitario con spinte di sinistra, quando non estremiste, insieme  alla richiesta di una politica di austerità paradossalmente contemporanea al liberatorio vento libertario che soffiava dal ’68?  Allo stesso modo, sul versante missino, sarà proprio una sorta di una simile strategia del compromesso tendente a tenere insieme spinte contraddittorie che caratterizzò la segreteria di Almirante. Il quale, arrivato alla guida del partito nell’estate del 1969, inaugura la sua leadership – per citare il politologo Marco Tarchi – miscelando “in dosi equilibrate retorica dell’intransigenza e prassi del compromesso”. Come si potevano tenere insieme la maggioranza silenziosa con le spinte che portarono, nel 1970, alla rivolta di Reggio? Come si poteva contemporaneamente varare la “destra nazionale” e la defascistizzazione moderata del Msi e allo stesso tempo richiamare a collaborare gli esponenti della sinistra neofascista attraverso l’Istituto di studi corporativi voluto dallo stesso Almirante? Come ci si poteva rivolgersi alle giovani generazioni, come si fece con la fondazione del Fronte della Gioventù, da parte dell’uomo politico che nel ’68 s’era spinto con un  servizio d’ordine all’università di Roma per “liberarla” dagli contestatori? L’instabile combinazione di queste spinte contraddittorie proiettò però il Msi di Almirante in un inatteso protagonismo spingendo quel partito a vestire i panni più diversi, dalla difesa degli scontri di piazza all’ambizione di fungere da ago della bilancia per la fiducia a governi “chiusi a sinistra”. Ed elettoralmente, insieme all’affermazione di Almirante come abile comunicatore televisivo, tutto ciò si tradusse in una complessa sequenza di fasi alterne: l’avanzata di consensi dopo molti anni nelle amministrative del ’70 e nelle elezioni siciliane e romane dell’anno successivo, il raddoppio della rappresentanza parlamentare nel ’72, insufficiente però a determinare un ruolo determinante degli equilibri politici ma più che sufficiente a far nascere da parte dc la logica dell’arco costituzionale e della minaccia degli opposti estremismi. Da cui ghettizzazione e i cali elettorali degli anni successivi. Poi, da parte di Almirante, senza alcuna risoluzione delle contraddizioni della sua strategia e in assenza di autocritica, seguì il ripiegamento sul nostalgismo e addirittura la chiusura quasi compiaciuta nel ghetto.

Detto questo, e molto si potrebbe aggiungere di significativo sulle contraddizioni sia di Berlinguer sia di Almirante ai tempi del referendum sul divorzio, avendo entrambi equivocato quanto stava avvenendo nella società italiana, resta il fatto che sarebbe molto utile interrogarsi su quanto le figure di cui stiamo parlando abbiano pesato sui processi di lungo periodo della nostra vicenda politica nazionale. E questo non significa parlar male di nessuno, ma semmai farla finita con la logica edulcorata e fuorviante dei santini. Per arrivare a interpretare l’oggi non solo sotto il punto di vista delle protagonisti, ma anche attraverso quello di altre figure, siano esse Aldo Moro o Bettino Craxi, Emanuele Macaluso o Pino Romualdi, Marco Pannella o Beppe Niccolai. Attraverso le strategie degli uni ma, anche, le ragioni degli altri… 

3 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Una critica così feroce andrebbe, almeno, motivata. Le scelte di Almirante e il suo indubbio ruolo nel selezionare, formare e rafforzare la classe dirigente giovanile del MSI ( i cui esiti sono ben noti ) non può essere nascosto dall'utilizzo dello stesso Almirante come bandiera per opzioni diverse.

      Elimina
  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina