giovedì 28 novembre 2013

Storia del Secolo. Il Sessantotto e gli "stracci rossi" all'Università



Annalisa Terranova
Che la destra non abbia capito il Sessantotto, che lo abbia avversato in nome di un ordine astratto e di un sentimento tramontato delle gerarchie, che lo abbia eletto a bestia nera per un mero calcolo elettorale, è cosa nota e alquanto dibattuta nel cosiddetto “ambiente”. La vulgata è purtroppo radicata anche nell’attuale centrodestra, complici le analisi di Marcello Veneziani, ed è stata più volte riportata in auge dall’ex ministro Mariastella Gelmini, secondo la quale sarebbe sufficiente più severità sul voto in condotta per controbilanciare i “guasti del Sessantotto”. Quando ha raschiato il fondo del luogo comune certa destra si ricorda anche di citare Pasolini che a Valle Giulia parteggiava per i poliziotti e non per gli studenti. Ovviamente il Secolo dell’era Michelini si distinse in questo tipo di atteggiamenti, nonostante l’iniziale titubanza dell’allora capo del Fuan Cesare Mantovani che non ignorava che molti giovani missini erano parte attiva nelle contestazioni e nelle occupazioni degli atenei. Tuttavia sulle colonne del Secolo si denuncia la strumentalizzazione delle agitazioni studentesche da parte di una minoranza di orientamento marxista, si sottolinea che gli studenti si ritraggono dalle occupazioni per non mischiarsi con i più facinorosi. Si sceglie la linea minimalista della disciplina deludendo la base giovanile e si gettano anche le basi dello stereotipo del compagno “zecca” e dell’antifemminismo nei confronti delle ragazze impegnate politicamente: “I maschi hanno tutte le caratteristiche psicosomatiche dei protestatari di professione: barba incolta e maleodorante, abbigliamento degagé ed occhio con espressione adirata. Le studentesse invece, se non per la femminilità degli atteggiamenti, si distinguevano per la generosità delle minigonne” (da un articolo del Secolo intitolato“Anarchia all’Università”). Ben presto questo tipo di linguaggio degenera nella pura propaganda. Gli studenti barbuti diventano la “teppaglia di sinistra” e le contestazioni una “manovra demagogica delle sinistre tendente a portare il caos nelle università”: “Alle finestre dei locali occupati o dietro i cancelli le espressioni ebeti di straccioni ed invertiti colmi di capelli, lerciume e pidocchi…” (da un articolo del Secolo intitolato “Una carnevalata che è durata anche troppo”).
Si arriva così agli scontri di Valle Giulia del 1° marzo 1968 con giovani fascisti e comunisti uniti contro le forze dell’ordine: quelli di destra racconteranno sulla rivista L’Orologio: “Loro gridavano Polizia fascista! Noi cantavamo All’armi!”. Il Secolo segue la linea conservatrice di Michelini (anche se a Perugia e Napoli a capo delle occupazioni c’è il Fuan) titolando “Il Pci scatena la piazza”, nell’articolo di fondo (“I docenti nel tumulto”) si legge che “una speculazione a freddo viene messa in funzione dalle Botteghe Oscure per cercare quel clima di anarchia e di terrore nel quale il ritorno all’ordine dovrebbe essere solo possibile offrendo ai comunisti l’inserimento nel governo”. E si arriva così alla mesta giornata del 16 marzo 1968, che Adalberto Baldoni definì “il suicidio della giovane destra”, con i volontari di Alberto Rossi e la “palestra” di Angelino Rossi, i dirigenti Massimo Anderson, Pietro Cerullo, Cesare Mantovani, Sandro Tribuzi (che scriveva sul Secolo i resoconti sulle contestazioni), Michele Marchio e Romolo Baldoni, i deputati Giorgio Almirante, Raffaele Delfino, Luigi Turchi e Giulio Caradonna, tutti insieme in unica schiera per cacciare dall’università gli “stracci rossi”. Davanti alla facoltà di Lettere si svolse una vera e propria battaglia, i neofascisti che occupano Giurisprudenza invece rifiutarono di partecipare agli scontri con gli altri camerati e difesero l’unità generazionale del movimento studentesco restando inermi spettatori. La trovata di Michelini di far virare il Msi e le sue organizzazioni giovanili verso una linea d’ordine e questurina provocò una diaspora nelle file del Fuan e degli altri movimenti fiancheggiatori e non pagò elettoralmente (il Msi alle elezioni del maggio ’68 passa dal 5,1 al 4,4%).  La prima pagina del Secolo del 17 marzo è da dimenticare. Titolo: “Basta con gli stracci rossi. Il tricolore all’università!”. Sommario: “Nella città universitaria romana, gli universitari del Fuan hanno impedito ai comunisti, con una entusiasmante manifestazione di forza, di conquistare definitivamente lo Studium Urbis. Il presidente del Fuan Mantovani e il dirigente giovanile Anderson hanno guidato l’operazione per liberare l’università dalle canaglie rosse”. Catenaccio: “Dura lezione ai sovversivi durante tre ore di scontri”. In prima pagina anche l’elogio di Michelini agli attivisti che si erano scontrati con i “teppisti marxisti”. Forse per una vendetta del destino quella pagina assai nota non è più consultabile: nell’archivio del Secolo non c’è la collezione dell’anno 1968, danneggiata da un allagamento che colpì la sede di via Milano.
L’evento seppellì a lungo ogni possibilità per la destra giovanile di presentarsi con le carte in regola ai successivi appuntamenti dei movimenti studenteschi e universitari. Vi pose rimedio il Fronte della Gioventù degli anni Ottanta con una manifestazione a Valle Giulia che intendeva risanare anche le antiche ferite di vent’anni prima. Io ero presente e con me molti altri cresciuti con la convinzione che avesse ragione Adriano Romualdi nel criticare con lucida ferocia l’atteggiamento della destra nei confronti del Sessantotto: “Seppellita sotto un cumulo di qualunquismo borghese e patriottardo la destra non aveva più una parola d’ordine da dare alla gioventù. In un’epoca di crescente eccitazione dei giovani, essa diceva loro ‘Statevi buoni’. Fossilizzate nelle trincee di retroguardia del patriottismo borghese, le organizzazioni giovanili ufficiali vegetavano senza più contatto alcuno col mondo delle idee, della cultura, della storia”.
Nonostante la linea di retroguardia scelta sulle occupazioni da Michelini, il Secolo nel maggio del ’68 ospita nelle pagine culturali un dibattito tra i giovani dirigenti sul “fenomeno beat” (coordinato da Adalberto Baldoni) in cui viene assimilata la ribellione della beat generation alle pagine di Nietzsche, di Cèline e di Drieu La Rochelle. Ancora una volta, sul piano culturale, la destra mostra di avere i paradigmi e la profondità di analisi necessarie per dialogare con il mondo esterno ma a livello politico una dirigenza miope, attestata sulla trincea della destra d’ordine, impedisce di andare al di là della propaganda sugli “stracci rossi” all’università.
Nel quarantennale del Sessantotto sul Secolo Luciano Lanna ha pubblicato una revisione da destra a puntate degli eventi del Sessantotto. Da quegli appunti Gianfranco Fini trasse motivo di riflessione per la rivalutazione pubblica del movimento al convegno di Liberal per il quarantennale del Sessantotto. Disse che forse la destra all'epoca aveva sbagliato. Una provocazione dimenticata e finita anche'essa nella lunga, retorica, filiera di argomenti per dimostrare che il "compagno" Fini si era spostato a sinistra. 

1 commento:

  1. Del '68 non hanno capito niente né la Destra né la Sinistra di allora, ma non creiamo il mito del '68 unitario, perché non lo è stato.

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