lunedì 8 aprile 2013

Nino Manfredi: l’attore che parlava a un pezzo di legno





Pier Paolo Segneri
L’8 aprile del 1972 andava in onda la prima puntata del “Pinocchio” televisivo di Luigi Comencini. Sono passati quarantuno anni esatti. A quel tempo, non ero neanche nato, ma pochissimi anni dopo, in una delle repliche televisive, mi si aprì un mondo. E non mi riferisco al mondo delle favole, ma a chi diede anima e copropo a Geppetto, Ciceruacchio, Pasquino, Antonio il portantino, Armanduccio Girasole detto Dudù e tanti altri personaggi di una carriere artistica straordinaria. Non lo chiamerei semplicemente “attore” perché Nino Manfredi fu molto di più: fu un grande artista. E’ rimasta celebre la frase usata dal regista Luigi Comencini per convincere Manfredi a interpretare il ruolo di Geppetto ne Le avventure di Pinocchio: “E’ l'unico attore italiano capace di parlare con un pezzo di legno e farti credere che è vivo”. Per chi ha la mia età o poco più, quel Geppetto lì, a cui l'attore ciociaro ha dato corpo e anima, è qualcosa di più del puro e ordinario personaggio televisivo è l’evocazione dell'infanzia, della vecchiaia quando si fa innocenza, del dolore quando si fa amore. Soltanto un attore completo come Manfredi avrebbe potuto dare, come ha dato, l’espressione più alta e commovente a tutte queste emozioni racchiudendole in un solo personaggio, dentro uno sguardo, dietro un gesto. Senza quel Geppetto lì, molti dei trentenni e quarantenni di oggi sarebbero orfani del “babbo... babbino!” a cui restituire un grande bisogno di sentimento, di vitalità, di speranza. Probabilmente saremmo rimasti dei burattini se non avessimo avuto il Geppetto di Manfredi e Nino non sarebbe entrato nell’immaginario collettivo e personale di noi bambini. Quel Geppetto lì, insomma, è un pezzo del nostro cuore. E’ l’innocenza della vecchiaia e, allo stesso tempo, quella dell'infanzia. E’ un miracolo di umanità. Nessuno lo ha detto? Beh, allora lo scrivo io: Manfredi ci ha fatto crescere. Ha saputo renderci disincantati, ma non privi di sogni. Senza illusioni, ma non privi di speranze. I personaggi di Manfredi sono anzitutto il suo corpo e il suo volto stupito, ma anche brutto, sporco e cattivo; intelligente eppure mai furbo; arlecchinesco, ma pignolo e perfezionista come un attore inglese o americano; burino eppure elegante ed ironico; carismatico, ma impacciato come un paperino; perdente, ma di classe; flemmatico eppure capace di muoversi a scatti; orologiaio preciso nel dettaglio, ma con una visione d'insieme; guappo, ma onesto. Misurato, ma trasbordante di invenzioni.


Insomma, l’8 aprile del 1972, a mio parere, la televisione italiana ci ha forse regalato il più grande attore italiano del secondo '900. Anche se non aveva il talento e il genio di Totò o non possedeva il puro istinto istrionico di Alberto Sordi, anche se non aveva la levatura di un mattatore come Vittorio Gassman e non era un divo come Marcello Mastroianni, anche se non possedeva la mostruosità e la comicità un po' francese che seppe donarci Ugo Tognazzi e non riuscì a eguagliare il genio ola profondità di Eduardo. Manfredi fu innanzitutto il suo corpo, la sua faccia: troppo bello per sembrare un attore comico, troppo legato alle sue origini provinciali e contadine per darsi l’aria dell’interprete impegnato, troppo pieno di ironia e simpatia per nascondere gli occhi e per mettersi in calzamaglia a recitare seriosamente le tragedie di Shakespeare. Manfredi fu principalmente un artista completo, un attore di teatro che il palcoscenico prestò al cinema e che, grazie alla celluloide, proprio nel cinema seppe dare il meglio di sé al pubblico. Eppure non si risparmiò neanche in televisione, nella pubblicità, nel teatro. Potrei scrivere a lungo di quell’uomo che ripeteva sempre di essere un “burino”, ma lo faceva per prendere in giro quei romani con la puzza sotto il naso e che, in genere, hanno un atteggiamento di ingiustificata superiorità nei confronti dei laziali e dei ciociari. Per lui, invece, essere di Castro dei Volsci, essere ciociaro, fu e restò sempre un vanto. Non a caso, i suoi personaggi dialettali rappresentano, ancora oggi, un “castigat ridendo mores” per quei piccoli e grandi difetti che ci portiamo dietro. Anche quando non li vediamo.
Le sue parodie sono e restano un modo riuscito di strappare il sorriso e di castigare gli usi o i costumi degli italiani in generale e dei ciociari in particolare. Personalmente non mi sono mai sentito offeso dai personaggi un po’ burini di Manfredi, pur essendo anch’io frusinate, perché erano un modo per ridicolizzare la superbia un po’ snob dei capitolini e non la genuina intelligenza dei ciociari come lui. E’ stato il più grande di tutti. Per me, più grande di Sordi.Ho anche un ricordo personale a cui sono molto legato incontrai per la prima volta Nino Manfredi a un suo comizio nella sua Ciociaria, a Frosinone presso Largo Turriziani. Era venuto ad accompagnare la moglie Erminia che si era candidata con i Radicali. E fu inseguendo il desiderio di conoscere il vecchio Geppetto, infatti, che conobbi e restai conquistato dall’altro “grosso” vecchio che stava accanto a lui sul palco, Marco Pannella. La mia passione politica si concretizzò qualche anno dopo proprio in quella direzione ma, intanto, sapere che Manfredi si esponeva in prima persona mi mi indusse ad ascoltare meglio quel che su quel palco si proponeva e si diceva. Era la primavera del 1992. Andai da Manfredi e chiesi un autografo, mi rispose che no, non era quella la sede giusta e mi invitò a lasciargli il mio indirizzo. E così, il successivo 2 maggio, un giorno prima del mio compleanno, con mia grande sorpresa, arrivò a casa una sua foto con dedica e, coincidenza, il giorno dopo avrei compiuto gli anni! Una foto a colori con tanto di autografo. La conservo ancora gelosamente. Lo considerai sempre un regalo. Involontario, ma puntuale come gli appuntamenti importanti della vita. Grazie Geppetto. Grazie Dudù. Grazie Nino.




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