Luciano Lanna
Cento anni fa, il 31 gennaio
1915, nasceva Thomas Merton, un poeta, uno scrittore, un monaco trappista che
con la sua opera letteraria definisce in pieno non solo l’altro Novecento, la
parte non vincente e incompiuta del secolo scorso, ma anche una grande
prefigurazione della Chiesa di Papa Bergoglio. E con lui si completano i
tasselli di quel cattolicesimo, per lo più espresso da convertiti, manifestatosi nel Novecento
nella cultura anglosassone: G.K. Chesterton, C.S. Lewis, R.H. Benson, T.S. Eliot…
“L’ultimo giorno di gennaio
dell’anno 1915, sotto il segno dell’Acquario, in un anno di una grande guerra,
al confine con la Spagna, all’ombra di monti francesi, io venni al mondo…”.
Così Merton esordiva all’inizio del suo libro più famoso, La montagna dalle sette balze, pubblicato nel 1948, e tradotto in
Italia da Garzanti già nel 1950. Il titolo di quell’opera, che era l’autobiografia
dello stesso Merton, non era altro che la riproposizione dell’immagine dantesca
del Purgatorio. E un viaggio, un percorso biografico e interiore, di
purificazione era in effetti quello descritto dall’autore. Thomas Merton, era
allora un trappista americano dal pedigree
decisamente novecentesco: nato in Francia da una coppia di artisti anglosassoni
(il padre, Owen, era neozelandese, la mamma americana), aveva vagato a lungo
tra l’Europa e gli Usa, inseguendo lo spirito dell’epoca, tra ricerca
intellettuale e, anche, militanza politica. Coltissimo e poliglotta, perennemente
inquieto, aderì, negli States, alle battaglie dei comunisti locali. Ma mai
convinto del tutto da quelle parole d’ordine e da quelle logiche, nauseato dal
rumore profondo e dalla violenta tipici delle manifestazioni della politica
rivoluzionaria, scoprì a un certo punto l’orizzonte del cattolicesimo. I
rivoluzionari? Così arrivò a definirli nella sua autobiografia: “Gente
rumorosa, leggera e violenta, uomini divisi da meschine gelosie e odi faziosi,
da invidie e da lotte. Urlano e si fanno avanti e in generale danno l’impressione
di detestarsi cordialmente anche quando si suppone appartengano alla stessa
setta…”. La fede cristiana gli arriva improvvisamente, una grazia dirà, attraverso
la lettura di un libro, Lo spirito della
filosofia medievale di Etienne Gilson. Poi approfondirà attraverso l’opera
di William Blake e gli Esercizi spirituali
di Ignazio di Loyola. La conversione piena al cattolicesimo avviene però nel
1938, quando Thomas aveva 25 anni e presagiva in qualche mondo la violenza che si
sarebbe manifestata da lì a poco nella seconda guerra mondiale. Nel 1941 il
passo decisivo: intraprende il noviziato al Gethsemani, un’abbazia trappista
(ovvero di benedettini di alta osservanza) del Kentucky dove avrebbe trascorso per il
resto della sua vita con il nome di padre Louis. Era la scelta del silenzio e
della pax monastica medievale, compiuta oltretutto in una comunità dalla
collocazione periferica anche rispetto alla carta geografica degli Stati Uniti.
Un’alternativa vera e profonda rispetto a quelle sirene dell’Estremo Occidente
che stavano egemonizzando tutto il globo…
Pubblicato, come abbiamo
detto, nel 1948, il suo libro-autobiografia, arrivò a vendere 10mila copie in
un solo giorno, anche se il New York
Times non volle mai censirlo in quanto testo religioso… Ma, non solo negli
Usa, la popolarità di Merton andò crescendo, anche per la sua vastissima
produzione: testimonianze biografiche, saggi, trattati di vita spirituale,
studi sulla spiritualità zen e orientale in genere… Una popolarità sotterranea
che non accenna a diminuire neanche nei nostri anni: alcune sue frasi, ad
esempio, figurano in epigrafe agli episodi della serie televisiva Criminal Minds… Merton intrattenne
rapporti strettissimi con gli intellettuali del suo tempo, dal filosofo
cristiano Jacques Maritain allo scrittore maledetto Henry Miller… In
particolare, il trappista del Kentucky sviluppò un fortissimo interesse per le
tradizioni orientali non cristiane, vedendo e sottolineandone tutti i punti di
contatto con la fede cattolica. Merton va infatti ricordato come profeta dell’ecumenismo
e del dialogo interreligioso, anticipando con i suoi scritti e la sua testimonianza
quanto si esprimerà con il Concilio con l’incontro di Assisi voluto da Giovanni
Paolo II e, soprattutto con le posizioni di Papa Francesco. Nel dialogo
interreligioso, Merton fu infatti pronto ad aprirsi a induisti, buddhisti,
ebrei e musulmani, a cercare le fonti vitali di tutte le religioni (“Se affermo
di essere cattolico solamente con il negare tutto ciò che è musulmano, ebreo,
protestante, indù, buddhista, alla fine troverò che non mi è rimasto molto da
affermare per dimostrare che sono cattolico, e certamente non avrò il soffio
dello Spirito con cui affermarlo…”), oltretutto con una spiccata
predisposizione per le espressioni religiose orientali, dallo zen, al taoismo, passando
per il sufismo.
L’altro aspetto che connette
Merton a Bergoglio – oltre alla interlocuzione e alla corrispondenza che il
trappista ebbe con Papa Giovanni XXIII – è senz’altro l’apertura fiduciosa
verso i non credenti in buona fede, un dialogo declinato nella capacità di
vedere segni di “fede inconscia” in molti atei dichiarati o di “ateismo
inconscio” in molti credenti (“Il grande problema – scrisse – è la salvezza di
coloro i quali, essendo buoni, pensano di non aver più bisogno di essere
salvati e immaginano che loro compito sia rendere gli altri buoni come loro”).
Infine, fu una vita contemplativa, quella di Merton, mai isolata dalla realtà.
Tra le sue opere tradotte in italiano, ricordiamo: Nessun uomo è un'isola, Diario
asiatico, Mistici e maestri zen, Diario di un testimone colpevole, Semi di distruzione, Scrivere è pensare vivere pregare… Sulla
biografia e l’opera mertoniana, da poco, in Italia è uscito un lavoro di
Antonio Montanari, Maurizio Renzini e Mario Zaninelli: Il sapore della libertà (Paoline).
Merton scomparve, a soli 53
anni, tragicamente fulminato da un ventilatore nella stanza di un bungalow di
Bangkok, dove si era recato per un convegno di benedettini e cistercensi
asiatici. Era il 10 dicembre, l’anniversario esatto del suo ingresso al
Gethsemani. Su di lui, ha scritto il priore della Comunità monastica di Bose, Enzo
Bianchi: “Ormai dedito alla vita eremitica, Merton accosterà la figura del
monaco ad altre figure ‘marginali’ della società del suo tempo: i poeti, gli
hippies, tutte le persone ‘inutili’ di cui il mondo potrebbe benissimo fare a
meno, a scapito però del gusto della vita, della ricchezza della gratuità,
della leggerezza propria della libertà interiore”.
Un personaggio interessante per capire la prblematicità dell'esistenza. Sotto il profilo personale resta che per capire qualcosa in più bisogna entrare in altra dimensione, se sarà possibile, abbandonando la propria individualità a priori. Saggio l'induismo - e non solo - che non ostenta alcun nome sugli scritti che indica come TRADIZIONE.
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