intervista pubblicata sul quotidiano ItaliaOggi venerdì 9 gennaio 2015
Goffredo Pistelli
Insegna alla prestigiosa
Cesare Alfieri, la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Firenze,
Marco Tarchi, classe 1952, politologo apprezzato soprattutto per i suoi studi
sul populismo. E i partiti di matrice populista di tutta Europa potrebbero
capitalizzare lo sdegno e la paura suscitati dalla strage parigina dell’altro
ieri.
Domanda.
Professore, l’Europa fa di nuovo i conti con una minaccia terroristica, di
matrice islamica. A differenza delle bombe nel 2004 e del 2005, a Madrid e a
Londra però, è cambiato il contesto: siamo nel mezzo di una crisi economica
durissima e crescono fenomeni populisti, alcuni dei quali con caratteri xenofobi
marcati. Chi ha progettato l’attentato di Parigi puntava ad alimentare quei
fenomeni e ad alzare il livello di scontro?
Risposta. Non lo credo
affatto. Il contesto che ha determinato questa azione è un altro: quello di
Isis, del bellicismo esasperato dei nuovi crociati dell’Occidente alla
Bernard-Henri Lévy che hanno indotto la Francia a impegnarsi in tutti i
conflitti mediorientali dopo il tanto vilipeso rifi uto di Jacques Chirac di
unirsi alla coalizione anti-irachena, dell’anti-islamismo crescente e
multiforme, che viene sistematicamente condannato dai media quando è associato
all’ostilità verso i fenomeni migratori di massa, come nel caso dei partiti
populisti, ed è invece esaltato quando lo si considera un esempio di «sano»
anticlericalismo liberale, come nel caso delle vignette su Maometto.
D.
Un doppio registro, lei dice…
R. Sì e mi sembra opportuno
notare che né il quotidiano danese che le pubblicò per primo (il
Jyllands-Posten, ndr), né Charlie Hebdo sono giornali di destra; il secondo è
semmai schierato all’estrema sinistra.
D.
E dunque?
R. Dunque ad alzare il
livello dello scontro non è un ipotetico odierno complotto qaedista in stile
«strategia della tensione»; è stato piuttosto il clima che è dilagato in
Occidente dopo l’11 settembre e ha nutrito lo scontro tra due fondamentalismi
simili e contrari. È in questi giorni sugli schermi il bel film di Clint
Eastwood American Sniper…
D.
Basato su una storia vera, mi pare…
R. Certo e da cui si impara
che negli Usa del 2001 si poteva essere convinti che, se non si fosse fatta la
guerra all’Iraq, gli arabi («quei bastardi») sarebbero dilagati a San Diego o a
Houston, uccidendo donne e bambini. E magari c’è un bel po’ di gente che lo
pensa ancora…
D.
Senta professore l’unione politica degli stati europei mostra in questo
frangente tutti i suoi limiti: è praticamente priva di politica estera,
l’esecutivo è debole, il potere legislativo lento. In questi frangenti, siamo
solo un’intesa monetaria e poco più. L’euroscetticismo crescerà?
R. Malgrado il cordone sanitario
eretto dalle élites culturali, politiche e fi nanziarie, e forse proprio a causa
di esso (in virtù del discredito di cui oggi sono oggetto partiti, governi,
intellettuali e istituzioni), credo di sì. L’Unione europea non sta soltanto
mostrando i propri limiti politici.
D.
Vale a dire?
R. Fa di più e di peggio:
rischia l’autoannientamento come soggetto autonomo, condannandosi alla totale
subordinazione ai disegni geopolitici ed economici statunitensi, cosa che si
verifi cherà se fi rmerà il Trattato transatlantico per il commercio e gli
investimenti Ttip tanto desiderato da Washington. E, quel che è peggio, ciò
rischia di accadere nella totale disinformazione dell’opinione pubblica, a
causa del silenzio in materia dei media che contano.
D.
Sul Ttip, ItaliaOggi è stata assai puntuale denunciando per prima le derive con
gli articoli di Tino Oldani. Ma torniamo sulla questione islamica. Nel Vecchio
Continente ci confrontiamo spesso con posizioni islamiche che usano le forme
democratiche per teorizzare posizioni politiche antidemocratiche se non
teocratiche, oppure per difendere Stati o posizioni autoritarie (vedi Isis e
Hamas). Che strumenti hanno le democrazie europee per difendersi senza
rinnegare se stesse?
R. Se si riferisce a
posizioni come quelle di Tariq Ramadan, non sono d’accordo. La via di un «islam
europeo» è certamente ardua, ma sospettarla di essere un cavallo di troia del
fondamentalismo, come fanno gli ambienti conservatori, mi pare fuori luogo.
D.
Qual è il punto, allora?
R. Il punto vero invece che
la democrazia è diventata, dopo la caduta del muro di Berlino, lo stendardo
dietro il quale si celano le ambizioni di dominio planetario di un «Occidente»
che è, di fatto, una proiezione della politica statunitense. E dalla
«democratizzazione a mano armata» condotta, in questo quadro, dagli Usa e dalla
Nato non potevano non scaturire le tensioni di cui oggi siamo spettatori e
talvolta vittime.
D.
Spieghiamolo meglio…
R. Se non ci fossero state
le due guerre del Golfo e non si fosse disegnato lo scenario dello «scontro di
civiltà» previsto da Samuel Huntington, non solo i paesi del Medio Oriente si
sarebbero risparmiati milioni di vittime, ma quell’area del mondo non sarebbe
finita fuori controllo.
D.
Professore, veniamo alle conseguenze politiche dei fatti parigini. Se si
votasse domani, la Francia sarebbe certamente governata dal Front National,
Ukip se la giocherebbe in Gran Bretagna e altri paesi europei si potrebbero
spostare a destra. Ciò che non poterono l’euro e l’austerità, lo potranno Al
Qaeda e Isis?
R. Non sono sicuro che le
cose andrebbero così, sa?
D.
Che cosa glielo fa pensare?
R. Ascoltando i commenti
sulle reti televisive francesi nelle ore successive all’attacco parigino,
sembrava che la responsabilità della strage andasse addebitata a Marine Le Pen:
si evocavano, come cause, la sensazione di isolamento dei giovani musulmani
delle periferie cittadine, la xenofobia, l’ostilità verso gli immigrati…
D.
Che cosa significherebbe?
R. Questo clima massmediale,
in caso di campagne elettorali, si intensificherebbe e lo spauracchio populista
verrebbe agitato da mattina a sera. Tutt’al più,a trarre vantaggio dalla
situazione, sarebbe la destra conservatrice, che ormai da tempo fa più o meno
le stesse politiche della sinistra socialdemocratica, differenziandosi solo nei
toni verbali.
D.
Ci sono studiosi, come l’antropologa Ida Magli, che vedono nel
multiculturalismo un tratto decisivo (e deleterio) del moderno europeismo.
Un’ideologia che, da Bruxelles, vorrebbe annientare le identità dei singoli popoli,
imponendone una europea del tutto posticcia. Lei intravede qualcosa di simile?
R. Non ho mai pensato che
l’identità dei popoli sia minacciata dall’organizzazione multiculturale delle
società multietniche; penso anzi che consentire agli immigrati di conservare
quelle tradizioni che non contrastano con le leggi vigenti nei paesi in cui si
sono stabiliti, sia un buon modo per evitare, o quantomeno ridurre, il rischio
di alienazione che può colpire soprattutto le giovani generazioni ed indurle a
comportamenti ribelli e violenti. Del resto, la Francia che ora è stata così
duramente colpita è proprio il paese che da sempre è più rigido nel limitare le
espressioni comunitarie della popolazione immigrata.
D.
Il divieto del velo a scuola, certo…
R. Il tanto vantato «modello
repubblicano» è fondato
sull’assimilazione, non su forme alternative di integrazione. Vero è invece che
a minacciare l’identità dei popoli è, in sé, il fenomeno dell’immigrazione di
massa, quando oltrepassa certi livelli fisiologici, che non è possibile fissare
statisticamente, ma che l’esperienza quotidiana consente agevolmente di
percepire, checché ne pensino gli ambienti accademici. Piuttosto…
D.
Piuttosto?
R. La tematica della
«sostituzione di popolazione» sollevata da qualche tempo in Francia dai
cosiddetti ambienti identitari (che sono abitualmente etichettati come di
estrema destra, ma in realtà raccolgono numerosi esponenti con un passato nella
sinistra anche radicale, come Alain Soral o Reynaud Camus) può apparire
eccessiva, ma tocca un tema centrale, per quanto scomodo. La domanda che pone è
«politicamente scorretta» ma cruciale.
D.
Facciamola…
R. In nome di quale
principio una società multietnica deve essere per forza giudicata preferibile a
una monoetnica? Perché l’elogio del «meticciato» deve essere applaudito e
quello della difesa di una identità etno-culturale denunciato come un crimine?
E, in subordine, perché non deve essere lecito porre dei limiti all’ingresso in
un dato paese di individui stranieri? Conosciamo la risposta delle Chiese
cristiane, che vanno affermando il dogma dell’accoglienza incondizionata; ma
per quale motivo uno Stato laico dovrebbe accettare questo punto di vista?
D.
Quella dell’accoglienza non è affatto l’unica posizione in campo, direi…
R. Infatti. Un politico
liberale francese, Dominique Reynié, ha scritto che, la difesa combinata del
proprio modo di vivere, legata alle tradizioni e all’educazione, e del proprio
livello di vita, è la carta vincente del «populismo patrimoniale» oggi in ascesa in Europa. Chi non se ne rende
conto e chiude gli occhi di fronte a questa realtà è corresponsabile di questo
successo e rischia di farlo diventare incontenibile.
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