domenica 26 ottobre 2014

Cancogni e Leone cattolici, Zizek fascista di sinistra



Luciano Lanna

Come altre volte, segnale alcune interviste apparse oggi sui giornali, anche perché le ritengo la cosa più interessante da leggere, soprattutto di domenica. Cominciando dalla bella conversazione di Antonio Gnoli con lo scrittore novantottenne Manlio Cancogni  su la Repubblica. Dove si scopre che, dopo una giovinezza laica e atea, Cancogni oggi si riconosce come credente: “La fede non si rivendica, si testimonia semmai. Sono cresciuto in una famiglia cattolica. Non ho avuto un rapporto facile con la religione. Mia madre se ne serviva per terrorizzarmi. Ogni volta che andavo a confessarmi era una sofferenza enorme. A vent’anni ero un ateo convinto. Poi a poco a poco mi sono riavvicina al cattolicesimo….”. La svolta è datata 1993: “Il rapporto con la fede si è rafforzato con la scomparsa di mia figlia. Ho reagito cercando un senso al dolore”. E quindi la conclusione: “Ma cosa vuol dire laico? È solo un’etichetta. Sono convinto che senza un apporto dell’aldilà non andiamo da nessuna parte”. Non manca, in altra parte dell’intervista, un’analisi del fascismo. I fascisti vengono descritti da Cancogni come “arroganti, violenti, illiberali, retorici”. E il regime con la dittatura produsse, aggiunge lo scrittore, “un diritto che faceva schifo e delle leggi omicide”. L’unica nota positiva, in controtendenza rispetto alla interpretazione canonica e crociana, è sul versante culturale: “La cultura è la cosa migliore che il fascismo abbia prodotto. Sono state realizzate cose che sono sopravvissute: architettura, arte, cinema, editoria, musica. Molto di quello che conosco – conclude Cancogni – e delle mie ambizioni letterarie è nato in quel periodo”.
Sempre su la Repubblica segnalo anche l’intervista postuma di Christopher Fryling a Sergio Leone (anticipazione dal libro C’era una volta in Italia. Il cinema di Sergio Leone, dal 29 ottobre in libreria per le Edizioni Cineteca Bologna). “Alle mie spalle – ammetteva Leone – c’è ovviamente tutta una cultura di cui non posso sbarazzarmi. E non posso neppure negarla. Per esempio, respiriamo quotidianamente il cattolicesimo, anche chi non crede. E ciò traspare in certi aspetti dei miei film. È nell’aria. Inoltre, quando faccio un western, ho delle cose da dire. Mentre preparavo Per un pugno di dollari, il mio primo western, mi sentivo come William Shakespeare che, ho scoperto, avrebbe potuto scrivere ottimi western... Così come sono convinto che il più grande scrittore di western sia stato Omero. Ha scritto storie favolose sulle vicende di singoli eroi come Achille, Aiace, Agamennone, tutti prototipi per i personaggi interpretati da Gary Cooper, Burt Lancaster, Jimmy Stewart e John Wayne…”.
Terza e ultima intervista da segnalare quella di Luca Mastrantonio al filosofo sloveno – hegeliano e lacaniano – Slavoj Zizek e che compare sull’ultimo numero de La lettura, il supplemento domenicale di cultura del Corriere della Sera. Nel suo studio, descrive il giornalista. campeggiano mini-busti di Marx e Lanin, eppure Zizek viene criticato per alcune sue uscite provocatorie e per il suo modo di vestire, gira ad esempio con una maglietta nera di Melville press: “Dicono che è da fascista! Io rispondo con un motto di Mussolini: ‘Cari amici soldati, i tempi della pace sono passati!’…”. Lui è un avversario dichiarato del neoliberismo trionfante e sogna “un super-Stato contro le derive di finanza e biogenetica”. Eppure, qualcosa non gli torna: “Sono uno di sinistra e bla bla… Ma ho avuto problemi con i sindacati che sono nelle mani dei lavoratori, come gli statali, che difendono i propri privilegi e non i diritti dei poveri: giovani, precari, disoccupati. E se li tocchi dicono che sei un neoliberale”. I suoi prossimi lavori? “Mi piacerebbe fare un libro su personaggi da rivalutare, come Cesare Borgia o Galeazzo Ciano: l’Albania fascista con lui visse un’età d’oro…”. Non è un caso che a molti Zizek risulta un po’ urticante. Lui ammette: “Mi odiano, mi danno del fascista di sinistra, dello stalinista, mi accusano di plagi: accetto però il rischio di essere frainteso…”.


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