Luciano Lanna
Come altre volte, segnale
alcune interviste apparse oggi sui giornali, anche perché le ritengo la
cosa più interessante da leggere, soprattutto di domenica. Cominciando dalla
bella conversazione di Antonio Gnoli
con lo scrittore novantottenne Manlio Cancogni
su la Repubblica. Dove
si scopre che, dopo una giovinezza laica e atea, Cancogni oggi si riconosce
come credente: “La fede non si rivendica, si testimonia semmai. Sono cresciuto
in una famiglia cattolica. Non ho avuto un rapporto facile con la religione.
Mia madre se ne serviva per terrorizzarmi. Ogni volta che andavo a confessarmi
era una sofferenza enorme. A vent’anni ero un ateo convinto. Poi a poco a poco
mi sono riavvicina al cattolicesimo….”. La svolta è datata 1993: “Il rapporto
con la fede si è rafforzato con la scomparsa di mia figlia. Ho reagito cercando
un senso al dolore”. E quindi la conclusione: “Ma cosa vuol dire laico? È solo
un’etichetta. Sono convinto che senza un apporto dell’aldilà non andiamo da
nessuna parte”. Non manca, in altra parte dell’intervista, un’analisi del
fascismo. I fascisti vengono descritti da Cancogni come “arroganti, violenti,
illiberali, retorici”. E il regime con la dittatura produsse, aggiunge lo scrittore, “un diritto che
faceva schifo e delle leggi omicide”. L’unica nota positiva, in controtendenza
rispetto alla interpretazione canonica e crociana, è sul versante culturale: “La
cultura è la cosa migliore che il fascismo abbia prodotto. Sono state
realizzate cose che sono sopravvissute: architettura, arte, cinema, editoria,
musica. Molto di quello che conosco – conclude Cancogni – e delle mie ambizioni
letterarie è nato in quel periodo”.
Sempre su la Repubblica segnalo anche l’intervista
postuma di Christopher Fryling a Sergio Leone (anticipazione dal libro C’era una volta in Italia. Il cinema di
Sergio Leone, dal 29 ottobre in libreria per le Edizioni Cineteca Bologna).
“Alle mie spalle – ammetteva Leone – c’è ovviamente tutta una cultura di cui
non posso sbarazzarmi. E non posso neppure negarla. Per esempio, respiriamo
quotidianamente il cattolicesimo, anche chi non crede. E ciò traspare in certi
aspetti dei miei film. È nell’aria. Inoltre, quando faccio un western, ho delle
cose da dire. Mentre preparavo Per un pugno di dollari, il mio primo western,
mi sentivo come William Shakespeare che, ho scoperto, avrebbe potuto scrivere
ottimi western... Così come sono convinto che il più grande scrittore di
western sia stato Omero. Ha scritto storie favolose sulle vicende di singoli
eroi come Achille, Aiace, Agamennone, tutti prototipi per i personaggi
interpretati da Gary Cooper, Burt Lancaster, Jimmy Stewart e John Wayne…”.
Terza e ultima intervista da
segnalare quella di Luca Mastrantonio al filosofo sloveno – hegeliano e lacaniano – Slavoj Zizek e che compare sull’ultimo
numero de La lettura, il supplemento
domenicale di cultura del Corriere della
Sera. Nel suo studio, descrive il giornalista. campeggiano mini-busti di Marx e Lanin, eppure Zizek viene criticato per alcune sue uscite provocatorie e per il suo modo di
vestire, gira ad esempio con una maglietta nera di Melville press: “Dicono che
è da fascista! Io rispondo con un motto di Mussolini: ‘Cari amici soldati, i
tempi della pace sono passati!’…”. Lui è un avversario dichiarato del neoliberismo
trionfante e sogna “un super-Stato contro le derive di finanza e biogenetica”.
Eppure, qualcosa non gli torna: “Sono uno di sinistra e bla bla… Ma ho avuto
problemi con i sindacati che sono nelle mani dei lavoratori, come gli statali,
che difendono i propri privilegi e non i diritti dei poveri: giovani, precari,
disoccupati. E se li tocchi dicono che sei un neoliberale”. I suoi prossimi
lavori? “Mi piacerebbe fare un libro su personaggi da rivalutare, come Cesare
Borgia o Galeazzo Ciano: l’Albania fascista con lui visse un’età d’oro…”. Non è
un caso che a molti Zizek risulta un po’ urticante. Lui ammette: “Mi odiano, mi
danno del fascista di sinistra, dello stalinista, mi accusano di plagi: accetto
però il rischio di essere frainteso…”.
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