domenica 23 marzo 2014

E Alfatti Appetiti ci racconta Bukowski come l'erede di Hamsun e Céline


Luciano Lanna


Descritto e passato nell’immaginario letterario come nichilista e provocatore, ubriacone impenitente, donnaiolo senza scrupoli, accanito frequentatore di ippodromi e bar di second’ordine, poeta maledetto e misantropo, postino svogliato e factotum dei bassifondi, chi era davvero Charles Bukowski? A vent’anni dalla morte del poeta e narratore tedesco-californiano, arriva in libreria Tutti dicono che sono un bastardo. Vita di Charles Bukowski (Bietti, pp. 332, euro 1900) di Roberto Alfatti Appetiti, un saggio che si legge tutto d’un fiato come fosse un romanzo. L’autore (classe 1967) è un bukoswiano della prima ora, ne scrive dagli anni Novanta e ha il merito di aver fatto conoscere e rendere popolare Bukowski, come anche il suo maestro John Fante, al di là e fuori del mainstream degli americanisti e dei circoli letterari. Il libro di Alfatti Appetiti ne ricostruisce l’infanzia dolente, gli incontri e gli scontri, i fallimenti e i successi che ne hanno caratterizzato la biografia. Svelando compiutamente per la prima volta la personalità autentica e i veri riferimenti intellettuali e letterari dello scrittore americano.  
Dalla poesia alle birre, dalla religione al cinema, dalla politica alla guerra, dal teatro alla musica, dalle corse dei cavalli ai reading ubriachi, quello tratteggiato da Alfatti Appetiti è un ritratto a tutto tondo dell’uomo a cui si devono capolavori come Panino al prosciutto, Post Office, Storie di ordinaria follia, Taccuino di un vecchio sporcaccione, Pulp
Bukowski, lo abbiamo già scritto in altra occasione, moriva a 74 anni nel marzo del 1994, colpito da una leucemia aggravata da una polmonite, circondato dai fiori coltivati dalla sua seconda moglie, la dolcissima Linda Lee Beighale, e dai suoi tre gatti raccolti qua e là perché non morissero randagi… Come scrisse a caldo la sua amica e corrispondente italiana Fernanda Pivano, Bukowski non era però solo l'eccentrico e il personaggio irregolare spacciato da una certa vulgata mediatica: era soprattutto un grandissimo scrittore, un narratore nato, uno dei più grandi romanzieri americani del Novecento…
Grande e vorace lettore prima ancora di cominciare a scrivere, il vecchio Hank (così preferiva essere chiamato, considerando troppo tromboneschi e paludati i nomi di Charles ed Henry con i quali era stato battezzato), già da adolescente amava passare le sue giornate in biblioteca divorando narratori.. Ma, come racconta Alfatti Appetiti, quasi tutto lo annoiava, a cominciare da Shakespeare, da da Tolstoj, da Cechov… Peggio ancora con Mark Twain, Hawthorne, Faulkner, Thomas Wolfe… Fino a che arrivano le sue scoperte: Céline, Dostoevskji, Pirandello e… soprattutto Knut Hamsun, lo scrittore danese Premio Nobel nel 1920 che finì poi perseguitato e censurato per il suo atteggiamento di simpatia verso i tedeschi nella seconda guerra mondiale.  “Hamsun – confessò Bukowki – non ha mai esaurito le cose da dire perché Hamsun (evidentemente) non ha mai smesso di vivere. Hemingway ha smesso. Hamsun invece ha dovuto vivere la maggior parte delle cose che ha scritto, ha dovuto sentirne l’odore e prendere in mano il rasoio. Sapeva scrivere con un amore per matti. Troppi scrittori hanno invece messo da parte i matti…”.
Ma lo scrittore che lo influenzerà più tutti, e che lui considererà il suo vero maestro, sarà l’italo-americano John Fante. Quasi per caso lo scopre, imbattendosi in biblioteca nel suo romanzo Chiedi alla polvere: “Aprii una pagina aspettandomi il solito, e invece le parole, sì, le parole mi saltarono addosso, proprio così. Balzarono dalla pagina e mi trapanarono. Le parole erano semplici, concise, e si riferivano a qualcosa che stava succedendo in quel preciso momento! Ogni pagina aveva forza. Non riuscivo a crederci. Mi pareva come se le parole potessero saltare fuori dal libro e iniziare a camminare in giro, o spiccare il volo. Avevano una forza straordinaria…”.
Divorato quel libro - lo racconta molto bene Alfatti Appetiti -  Bukowski passa agli altri di Fante, a cominciare da Dago Red, e Aspetta primavera Bandini. E scopre che, come lui, anche John Fante era stato un devoto e a suo modo un discepolo di Knut Hamsun, di Nietzsche, di Dostoevskji, di Spengler… Bukowski vorrà anche contattare Fante, che nel frattempo era ammalato ed era stato dimenticato da decenni. E sarà Hank a far ripubblicare i romanzi dell’italo-americano e ad avviare quella “Fante renaissance” che sarà forte – soprattutto in Europa e in Italia – negli anni Ottanta e Novanta.

Di questo e molto altro apprendiamo dalla bella biografia di Alfatti Appetiti. E nel momento stesso in cui la riponiamo soddisfatti sul nostro scaffale di testi di e su Bukowski, auspichiamo di affiancarle tra non molto un analogo lavoro su John Fante. Perché è soprattutto questo, a nostro avviso, il notevole merito critico dell’autore: aver riproposto tutta una sensibilità letteraria e poetica attraverso la scoperta e la proposizione di autori – come Bukowski e Fante, ma non solo – che a loro volta hanno saputo ritradurre e attualizzare, oltre la traumatica e divisiva grande cesura della guerra civile del Novecento, la grande lezione di scrittura e poesia dei grandi del secolo scorso: Cèline, Hamsun, Cioran, Ezra Pound… 

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