Luciano Lanna
Descritto e passato nell’immaginario letterario come nichilista e provocatore, ubriacone
impenitente, donnaiolo senza scrupoli, accanito frequentatore di ippodromi e
bar di second’ordine, poeta maledetto e misantropo, postino svogliato e
factotum dei bassifondi, chi era davvero Charles Bukowski? A vent’anni dalla
morte del poeta e narratore tedesco-californiano, arriva in libreria Tutti dicono che sono un bastardo. Vita di
Charles Bukowski (Bietti, pp. 332, euro 1900) di Roberto Alfatti Appetiti, un saggio che si legge tutto
d’un fiato come fosse un romanzo. L’autore (classe 1967) è un bukoswiano della prima ora, ne
scrive dagli anni Novanta e ha il merito di aver fatto conoscere e rendere
popolare Bukowski, come anche il suo maestro John Fante, al di là e fuori del mainstream degli americanisti e dei
circoli letterari. Il libro di Alfatti Appetiti ne ricostruisce l’infanzia
dolente, gli incontri e gli scontri, i fallimenti e i successi che ne hanno
caratterizzato la biografia. Svelando compiutamente per la prima volta la
personalità autentica e i veri riferimenti intellettuali e letterari dello
scrittore americano.
Dalla poesia alle birre, dalla religione al cinema, dalla politica alla
guerra, dal teatro alla musica, dalle corse dei cavalli ai reading ubriachi,
quello tratteggiato da Alfatti Appetiti è un ritratto a tutto tondo dell’uomo a
cui si devono capolavori come Panino al
prosciutto, Post Office, Storie di ordinaria follia, Taccuino di un vecchio sporcaccione, Pulp…
Bukowski, lo abbiamo già scritto in altra occasione, moriva a 74 anni nel marzo del 1994,
colpito da una leucemia aggravata da una polmonite, circondato dai fiori
coltivati dalla sua seconda moglie, la dolcissima Linda Lee Beighale, e dai
suoi tre gatti raccolti qua e là perché non morissero randagi… Come scrisse a
caldo la sua amica e corrispondente italiana Fernanda Pivano, Bukowski non era
però solo l'eccentrico e il personaggio irregolare spacciato da una certa vulgata mediatica: era soprattutto un grandissimo
scrittore, un narratore nato, uno dei più grandi romanzieri americani del
Novecento…
Grande
e vorace lettore prima ancora di cominciare a scrivere, il vecchio Hank (così
preferiva essere chiamato, considerando troppo tromboneschi e paludati i nomi
di Charles ed Henry con i quali era stato battezzato), già da adolescente amava
passare le sue giornate in biblioteca divorando narratori.. Ma, come racconta
Alfatti Appetiti, quasi tutto lo annoiava, a cominciare da Shakespeare, da da
Tolstoj, da Cechov… Peggio ancora con Mark Twain, Hawthorne, Faulkner, Thomas
Wolfe… Fino a che arrivano le sue scoperte: Céline, Dostoevskji, Pirandello e…
soprattutto Knut Hamsun, lo scrittore danese Premio Nobel nel 1920 che finì poi
perseguitato e censurato per il suo atteggiamento di simpatia verso i tedeschi
nella seconda guerra mondiale. “Hamsun –
confessò Bukowki – non ha mai esaurito le cose da dire perché Hamsun
(evidentemente) non ha mai smesso di vivere. Hemingway ha smesso. Hamsun invece
ha dovuto vivere la maggior parte delle cose che ha scritto, ha dovuto sentirne
l’odore e prendere in mano il rasoio. Sapeva scrivere con un amore per matti.
Troppi scrittori hanno invece messo da parte i matti…”.
Ma
lo scrittore che lo influenzerà più tutti, e che lui considererà il suo vero
maestro, sarà l’italo-americano John Fante. Quasi per caso lo scopre,
imbattendosi in biblioteca nel suo romanzo Chiedi
alla polvere: “Aprii una pagina aspettandomi il solito, e invece le parole,
sì, le parole mi saltarono addosso, proprio così. Balzarono dalla pagina e mi
trapanarono. Le parole erano semplici, concise, e si riferivano a qualcosa che
stava succedendo in quel preciso momento! Ogni pagina aveva forza. Non riuscivo
a crederci. Mi pareva come se le parole potessero saltare fuori dal libro e
iniziare a camminare in giro, o spiccare il volo. Avevano una forza
straordinaria…”.
Divorato
quel libro - lo racconta molto bene Alfatti Appetiti - Bukowski passa agli altri di Fante, a cominciare da Dago Red, e Aspetta primavera Bandini. E scopre che, come lui, anche John Fante
era stato un devoto e a suo modo un discepolo di Knut Hamsun, di Nietzsche, di
Dostoevskji, di Spengler… Bukowski vorrà anche contattare Fante, che nel
frattempo era ammalato ed era stato dimenticato da decenni. E sarà Hank a far
ripubblicare i romanzi dell’italo-americano e ad avviare quella “Fante
renaissance” che sarà forte – soprattutto in Europa e in Italia – negli anni
Ottanta e Novanta.
Di
questo e molto altro apprendiamo dalla bella biografia di Alfatti Appetiti. E
nel momento stesso in cui la riponiamo soddisfatti sul nostro scaffale di testi
di e su Bukowski, auspichiamo di affiancarle tra non molto un analogo lavoro su
John Fante. Perché è soprattutto questo, a nostro avviso, il notevole merito critico
dell’autore: aver riproposto tutta una sensibilità letteraria e poetica
attraverso la scoperta e la proposizione di autori – come Bukowski e Fante, ma
non solo – che a loro volta hanno saputo ritradurre e attualizzare, oltre la traumatica e
divisiva grande cesura della guerra civile del Novecento, la grande lezione di
scrittura e poesia dei grandi del secolo scorso: Cèline, Hamsun, Cioran,
Ezra Pound…
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