Luciano Lanna
Cosa segnaliamo dalle pagine
culturali di questa domenica? Innanzitutto, l’articolo “Péguy vero umanista”
del filosofo francese Alain Finkielkraut che compare oggi su Avvenire. Il testo contiene le linee
guida della relazione “Ogni cosa è ‘avvenimento’. Ripartiamo da Péguy” che
Finkielkraut terrà domani, lunedì, a Milano. “Péguy – scrive il pensatore riferendosi
al grande intellettuale di cui quest’anno ricorre il centenario della morte – è
un autore ‘maledetto’: ma la sua è una maledizione estremamente paradossale. È uno
degli autori più celebri della letteratura francese: nessuno ignora il suo
nome, eppure nessuno lo legge. È un nome vuoto, una specie di illusione…”. E Filkielkraut definisce Péguy un “umanista sperduto nel mondo moderno”. Non
certo un tradizionalista e un antimoderno, come spesso è stato presentato. Annora
e precisa Finkielkraut: Péguy non è moderno, ma non è nemmeno un pensatore
della tradizione… Noi, invece, vogliamo che il moderno sia il valore
fondamentale: non vogliamo più condannare qualcosa del passato perché è
passato. Ma noi siamo ‘turisti’ dello spazio e del tempo: e questo è il mondo
postmoderno”. Il cosiddetto ‘turista’ è, insomma, per Finkielkraut, la figura
ultima della modernità. Il turista, nella sua visione, è precisamente l’uomo contemporaneo, chi vede il mondo come pura e semplice disponibilità: "Il pericolo nel quale ci
troviamo oggi è quello di essere rinchiusi in un’alternativa nella quale da una
parte c’è il turista, che cammina nel giardino della storia, che colleziona
modelli, che passa con superficialità da una cosa all’altra; e di fronte a lui
sta una sorta di avversario costruito su misura, che sarebbe poi l’uomo
radicato nel suo territorio”. Vale davvero la pensa leggersi le conclusione di
Finkielkraut: “L’ideologia turistica consiste oggi nel far passare per fascista
tutto ciò che contesta: è il destino di Péguy, è il destino di molti altri
pensatori. Se non facciamo attenzione, rischia di instaurarsi così una specie
di movimento politically correct.
Rischiamo oggi di essere condannati a quest’alternativa e di essere
immediatamente tacciati di fascismo se ci rifiutiamo di ritrovarci nel turista
e di vedere in esso la figura ultima dell’umano. Però questo è il nostro
compito: penso che Péguy più di chiunque altro ci possa aiutare in questo…”.
Molto interessante anche l’intervista
di Rita Sala allo scrittore spagnolo Arturo Pérez Reverte che compare sulle
pagine culturale del quotidiano Il Messaggero. “Con i tempi che corrono, mentre
– dice il narratore – l’Europa crolla poco a poco e sull’Acropoli, ad Atene, il
Partenone serve solo da sfondo a stupidi turisti per farsi uno stupido selfie,
abbiamo un’unica via d’uscita: consolarci con la cultura. La cultura è l’unico
analgesico che lenisce il dolore di veder tramontare il mondo al quale
apparteniamo”. Ma non è un pessimista lo scrittore nato a Cartagena. Tanto da
dedicare il suo ultimo romanzo – in italiano Il cecchino paziente – ai grafiteros, i ragazzi che come forma di
ribellione creativa scrivono e disegnano sui muri delle metropoli di tutto il
mondo. Il fascino dei ragazzi con la bomboletta? “C’è dentro l’amore per l’indipendenza,
la libertà di demolire, almeno intenzionalmente, ciò che non ti sta bene, la
possibilità di scegliere il colore della tua protesta e il momento in cui farla”.
Ma i responsabili della crisi globale e del disorientamento di civiltà di
questi ultimi anni? Pérez Reverte mostra di avere le idee chiare: “Non mi va di
dare la colpa, come si fa tutti i giorni da anni, ai politici e ai banchieri.
Ci siamo dimenticati che siamo noi stessi i responsabili, almeno quanto loro
del disastro. Anzi, siamo stati noi a crearne le cause. Nessuno ci obbligava a
incollarci mutui proibitivi, a compraci due automobili, a fare debiti per
andare in vacanza, per disporre di una seconda casa o comprare la moto ai
figli. Il gioco sporco ce lo hanno proposto politici e banchieri ma noi lo
abbiamo accettato. Per questo mi ha intrigato l’universo clandestino dei grafiteros: sono gente a cui basta
dipingere e scrivere. ‘Scrivo, dunque sono’ è il loro motto…”.
Ultima segnalazione, sempre
dal Messaggero, per la consueta
rubrica domenicale “Che ci faccio io qui?” dello sceneggiatore e scrittore
Enrico Vanzina, dove alla fine si legge: “In questi giorni sono stato colpito
da una serie a raffica di sciagure. Roba da dover scegliere tra Lourdes e l’Esorcista.
Ma non voglio assillarvi con i miei guai personali. Vi dico solo che, alla
fine, ho pensato a cosette serie, cose che possono riguardare anche voi. Ho
pensato che avere una moglie che ti ama è la cosa più bella del mondo. Ho
pensato che volersi bene tra fratelli è una cosa altrettanto bella. Ho pensato
che non bisogna mai dimenticare i parenti anziani. Ho pensato che quando
subisci un torto bisogna saper perdonare la cattiveria degli altri. Loro
continueranno a dormire male, noi no…”. Buona domenica a tutti.
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