Alessandro
Pertosa
L’ultimo libro di Lucilio Santoni, Cristiani e anarchici. Viaggio millenario
nella Storia tradita verso un futuro possibile (Infinito, Modena 2014), è
un topos commovente, ma è anche un topos che non si può abitare del tutto,
perché appare e scompare fra le righe del testo, è sempre un passo più in là
rispetto al lettore, è sempre oltre la possibilità umana di coglierlo, di farlo
proprio: è un topos spirituale, non
certo uno spazio fisico tangibile: affollato di esperienze, di sussurri e di
parole che «contendono al silenzio il coraggio di dire la miseria di stare al
mondo. L’inquietudine dello spirito che ci fa vedere cosa ci rimane quando
ormai non ci rimane più nulla».
E non deve rimanerci più nulla, perché il
«qualcosa» che ci resta fra le mani è un «qualcosa» per il mondo, è un qualcosa
di cui si pretende avere il possesso. La proprietà, appunto, è il vero male
radicale, l’idea che di qualcosa si possa dire «è mio», mentre in questo
viaggio millenario nella storia tradita si incontrano esperienze di coloro che sono
rimasti indietro, gli ultimi, i miti di cuore, i poveri per lo spirito, gli
emarginati: coloro che non hanno nulla perché non vogliono avere nulla. Si
tratta di cristiani e di anarchici che orientano i sogni quotidiani in un
altrove. Perché il Regno per cui si resiste non è di questo mondo. Il Regno di
questo mondo è retto da un árchon, da
un capo, che il Vangelo di Giovanni identifica con Satana. Il cristianesimo è dunque
anarchico – come ricorda giustamente Davide Rondoni nell’introduzione – perché
ha patroni in cielo e non padroni in terra.
Le pagine del libro sono illuminate da volti
di persone che hanno coltivato testardamente nella propria vita la virtù della
disobbedienza alla razionalità dominante. «Ho osservato a lungo lo sguardo di
chi ha avuto nel cuore la rivoluzione dell’utopia e della speranza», scrive l’autore.
E aggiunge: «Gli uomini che mi stanno a cuore smontano ogni giorno la fretta
del vivere; danno ampio spazio al respirare; sentono il dolore degli altri».
Santoni sa scavare nell’intimità, sa toccare
le corde profonde dell’animo umano, presentando storie straordinarie. Il suo è
un interesse per l’uomo a tutto tondo, per le debolezze, le gioie, le ansie e le
trepidazioni dei puri di cuore. E in questo rimanda a Tarkovskij che scrive:
«Mi interessano le vite delle persone che vivono con un logica diversa da
quella comune, che lo facciano per fede, per follia o per i più diversi ideali
possibili non mi importa». La chiave che consente di aprire le segrete del
libro è allora qui messa in mostra: sovvertire la logica dominante,
oltrepassare il comune sentire, essere folli, ma liberi.
Si tratta di quella follia e libertà che
accomuna i cristiani e gli anarchici condannati alla damnatio memoriae, a causa della loro fiducia incondizionata
nell’uomo. Chi non si aspetta molto dai propri simili invoca lo Stato, la
legge, la norma, la tradizione, le Chiese trionfanti, i magisteri. Chi, al
contrario, cerca disperatamente di dare un senso alla tragedia che chiamiamo
vita, si consegna all’Altro, gli si dona, e si immerge nel pelago intenso
dell’essere che tutto avvolge e vivifica. I cristiani e gli anarchici, è questa
l’idea di Santoni, dedicano la loro intera vita al più straordinario capolavoro
della natura: l’essere umano. Operano nel medesimo contesto, e sognano lo
stesso sogno. Ha quindi ragione Maurizio Pallante quando scrive che «i teorici
dell’anarchia si sono proposti di tradurre in prassi politica i principi etici
formulati da Gesù».
Mi pare sia proprio questo l’insegnamento
principale che si può trarre da questo splendido libro di Lucilio Santoni. Che
in verità è una perla poliedrica, smagliante! Una perla da osservare in
continuazione e ripetutamente, perché ogni volta riflette una nuova luce, una
luce scintillante che arriva da chissà dove.
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