Pubblichiamo il testo dell'articolo pubblicato venerdì 27 giugno sul quotidiano "Il Garantista"
Luciano Lanna
Ricorre oggi il centenario
della nascita di Giorgio Almirante. Un anniversario che, forse per le solite
apparentemente casuali coincidenze, cade nello stesso anno del trentennale
della morte di un altro protagonista della politica a lui contemporaneo, Enrico
Berlinguer. Ma per entrambe le figure il tempo trascorso negli ultimi decenni paradossalmente
è come se inducesse una sorta di illusione ottica, alimentandone una lettura e
una iconizzazione che finiscono in parte per rovesciarne il ruolo e il bilancio
politico. Così Berlinguer, l’uomo dell’apparato del Pci e il regista principe
della vocazione alla mediazione e al compromesso realistico, è finito per
venire esaltato e celebrato ex post
da chi oggi vorrebbe combattere quel che
resta di quell’apparato e da chi è avversario dichiarato dell’inciucio e delle
tattiche politicanti. Almirante, a sua volta, è finito per venire adottato come
presunto modello di una destra egemonica e vincente anche da chi nel periodo
della sua guida del Msi lo contestava energicamente e gli contestava la tattica
politicante da “pesca delle occasioni”.
Sia ben chiaro: il peso
storico e il ruolo svolto dai due uomini politici rimane storicamente
indiscutibile, ma nel senso che la storia non si fa con i “se” e che le
decisioni assunte hanno sempre conseguenze da cui non si torna indietro e che
pregiudicano gli accadimenti futuri. Resta però il fatto che nei processi
dell’immaginario politico il tempo non è mai galantuomo e che – come ha
annotato Andrea Colombo – “di solito fa ingiustizia sostituendo la memoria con
il mito”.
Molto incide in questo
processo di costruzione dei “santini” – vale per il missino Almirante e il
comunista Berlinguer come per l’avversario e il vincitore sui due nel periodo
di azione delle loro strategie politiche, il democristiano Giulio Andreotti –
non solo il tempo trascorso ma soprattutto il soffermarsi da parte dei
costruttori della leggenda postuma su episodi individuabili solo nell’ultimissima
fase delle lunghe parabole politiche degli stessi personaggi. E così, solo per
fare un esempio, di Berlinguer qualcuno ricorda il telegramma di dolore inviato
nel 1983 dal leader comunista alla famiglia dell’agonizzante Paolo Di Nella,
ragazzo missino che morirà per le sprangate ricevute mentre affiggeva manifesti.
Oppure di Almirante la sua visita nel 1984 alla camera ardente del defunto
“avversario” Berlinguer e le sue parole in uscita: “Non sono venuto per farmi
pubblicità ma per salutare un uomo estremamente onesto”. Così come, quattro
anni dopo, si ricorderà la visita di Giancarlo Pajetta alla camera ardente di
Almirante. Una cosa è certa: permane nella riproposizione continua di questi
episodi un atteggiamento funzionale a una narrazione tendente a censurare tutte
le dinamiche di conflitto e di vera dialettica politica.
Sullo stesso piano si
pongono le operazioni di sottolineare i discorsi di Berlinguer sulla “questione
morale” o il presentare Almirante come l’anticipatore nel dibattito pubblico del
“presidenzialismo”. Quando si tratta in realtà di temi tardivi e che – come già
accennato – appartengono alle fasi finali delle parabole politiche di
Berlinguer e di Almirante, quelle successive al 1979-80. Sarebbe invece compito
dello storico spiegare la logica (le contraddizioni e anche gli scacchi) dei
periodi propulsivi e strategici, sia del berlinguerismo che dell’almirantismo,
quelli tra il 1968 e il ’79, anno in cui le elezioni politiche segnarono la
sconfitta definitiva sia del Pci di lotta e di governo che dell’ipotesi della
destra nazionale. Si determinò allora lo spartiacque che segnò il fallimento
del progetto berlingueriano di tenere assieme spinte anche contrastanti e
divergenti in una logica di lotta e di governo. Come era possibile, d’altronde,
tenere insieme la richiesta dei ceti piccolo-borghesi che si rivolgevano al Pci
in quanto partito legalitario con spinte di sinistra, quando non estremiste,
insieme alla richiesta di una politica
di austerità paradossalmente contemporanea al liberatorio vento libertario che
soffiava dal ’68? Allo stesso modo, sul
versante missino, sarà proprio una sorta di una simile strategia del
compromesso tendente a tenere insieme spinte contraddittorie che caratterizzò
la segreteria di Almirante. Il quale, arrivato alla guida del partito
nell’estate del 1969, inaugura la sua leadership – per citare il politologo
Marco Tarchi – miscelando “in dosi equilibrate retorica dell’intransigenza e
prassi del compromesso”. Come si potevano tenere insieme la maggioranza
silenziosa con le spinte che portarono, nel 1970, alla rivolta di Reggio? Come
si poteva contemporaneamente varare la “destra nazionale” e la
defascistizzazione moderata del Msi e allo stesso tempo richiamare a collaborare
gli esponenti della sinistra neofascista attraverso l’Istituto di studi
corporativi voluto dallo stesso Almirante? Come ci si poteva rivolgersi alle
giovani generazioni, come si fece con la fondazione del Fronte della Gioventù,
da parte dell’uomo politico che nel ’68 s’era spinto con un servizio d’ordine all’università di Roma per “liberarla”
dagli contestatori? L’instabile combinazione di queste spinte contraddittorie
proiettò però il Msi di Almirante in un inatteso protagonismo spingendo quel
partito a vestire i panni più diversi, dalla difesa degli scontri di piazza
all’ambizione di fungere da ago della bilancia per la fiducia a governi “chiusi
a sinistra”. Ed elettoralmente, insieme all’affermazione di Almirante come abile
comunicatore televisivo, tutto ciò si tradusse in una complessa sequenza di
fasi alterne: l’avanzata di consensi dopo molti anni nelle amministrative del
’70 e nelle elezioni siciliane e romane dell’anno successivo, il raddoppio
della rappresentanza parlamentare nel ’72, insufficiente però a determinare un
ruolo determinante degli equilibri politici ma più che sufficiente a far
nascere da parte dc la logica dell’arco costituzionale e della minaccia degli
opposti estremismi. Da cui ghettizzazione e i cali elettorali degli anni
successivi. Poi, da parte di Almirante, senza alcuna risoluzione delle
contraddizioni della sua strategia e in assenza di autocritica, seguì il
ripiegamento sul nostalgismo e addirittura la chiusura quasi compiaciuta nel ghetto.
Detto questo, e molto si
potrebbe aggiungere di significativo sulle contraddizioni sia di Berlinguer sia
di Almirante ai tempi del referendum sul divorzio, avendo entrambi equivocato
quanto stava avvenendo nella società italiana, resta il fatto che sarebbe molto
utile interrogarsi su quanto le figure di cui stiamo parlando abbiano pesato
sui processi di lungo periodo della nostra vicenda politica nazionale. E questo
non significa parlar male di nessuno, ma semmai farla finita con la logica
edulcorata e fuorviante dei santini. Per arrivare a interpretare l’oggi non
solo sotto il punto di vista delle protagonisti, ma anche attraverso quello di
altre figure, siano esse Aldo Moro o Bettino Craxi, Emanuele Macaluso o Pino
Romualdi, Marco Pannella o Beppe Niccolai. Attraverso le strategie degli uni
ma, anche, le ragioni degli altri…
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RispondiEliminaUna critica così feroce andrebbe, almeno, motivata. Le scelte di Almirante e il suo indubbio ruolo nel selezionare, formare e rafforzare la classe dirigente giovanile del MSI ( i cui esiti sono ben noti ) non può essere nascosto dall'utilizzo dello stesso Almirante come bandiera per opzioni diverse.
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