tag:blogger.com,1999:blog-36819020890119311362024-03-14T01:20:14.731-07:00SegnaviaLe affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.comBlogger390125tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-36553989601317623022016-07-09T02:02:00.000-07:002016-07-10T00:39:28.610-07:00L'omicidio di Fermo: ma la destra che c'entra con chi tira le noccioline ai neri?<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5LmC3ZEVhQyh229gT7XYksE5D00RN7Ed8glPmIK8WiO7ruira8dsIBQ0Zk6VJqrKZwuoTBJSE4hrn3Vqb8JiHUZcvPMjlWTxouzJTJnkifYGIfcRJv8oveJDsk9LHGDyF_fPkpYNLv2o/s1600/delitto+fermo+1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="228" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5LmC3ZEVhQyh229gT7XYksE5D00RN7Ed8glPmIK8WiO7ruira8dsIBQ0Zk6VJqrKZwuoTBJSE4hrn3Vqb8JiHUZcvPMjlWTxouzJTJnkifYGIfcRJv8oveJDsk9LHGDyF_fPkpYNLv2o/s320/delitto+fermo+1.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
Annalisa Terranova<br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br />
<ol>
<li><sup><span style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: large; line-height: 115%;">Si potrebbe tirare diritto, e fare finta di
niente. Invece le reazioni di una parte della destra, o di chi si dice di
destra (ma le definizioni ormai che importanza hanno?) all’uccisione di
Emmanuel Chidi Nnamdi </span></sup><span style="font-family: "arial" , sans-serif; font-size: large; line-height: 115%;">sono esemplari e rispecchiano una
condizione di sbandamento cui ormai anche gli stessi leader non riescono a
porre riparo (lo dimostrano i post antirazzisti di alcuni esponenti di Fratelli
d’Italia accusati dai loro seguaci di essersi piegati al “politicamente
corretto”). E’ vero che all’inizio si è parlato di un’aggressione e che invece
c’è stata una colluttazione, ma la provocazione che ha suscitato l’episodio, la
frase razzista “scimmia africana”, non può essere relegata a un dettaglio
irrilevante. Sulla vicenda (dove il morto è il nigeriano, non dimentichiamolo)
si è voluto stendere il velo propagandistico di parole d’ordine (amplificate principalmente
dalla Lega) già ascoltate nei mesi passati: la legittima difesa vale sempre (di
qui la diffusione virale sul web della versione di una testimone, una
parrucchiera di Fermo, che in pratica dipinge Mancini come vittima e Chidi
Nnamdi come aggressore), e ancora “prima gli italiani” anche se quegli italiani
hanno comportamenti vergognosi (il fratello dell’arrestato racconta che il tipo
si divertiva a tirare noccioline ai neri, così, per gioco…) e infine l’ “invasione”
che spiega tutto, che giustifica tutto (che è come dire che siccome in strada
ci sono troppi ingorghi il guidatore può investire pedoni e auto a proprio
piacimento). Questo schema interpretativo, reiterato su molte bacheche, è stato
poi condito da guizzi creativi sorprendenti: per esempio ho appreso che certi
fatti di cronaca non vanno letti su Repubblica o sulla Stampa o sul Corriere
perché quella è la “versione delle zecche” (la stampa di regime crea ad arte il
“mostro” per suscitare la compassione dell’opinione pubblica e garantire quella
libera invasione del territorio italiano che ci condurrà alla rovina finale) e
ancora sono state proposte campagne di sottoscrizione per aiutare l’arrestato e
garantirgli un giusto processo (ma Mancini – oltre alla supertestimone - ha già
un avvocato che parla molto con i giornalisti, dà loro foto e altro materiale, dipinge
il fermano come un uomo pentito e distrutto dal dolore, ha avuto un suo perito
presente all’autopsia al contrario del nigeriano morto, che essendo un
rifugiato scampato a uno dei gruppi jihadisti più feroci, Boko Haram, non aveva
e non ha proprio nulla e a quanto pare non è nemmeno meritevole della pietas
che spetterebbe ai morti). Ma ho persino letto che questa coppia in fondo
poteva restarsene a casa propria, e lui anziché aggredire il bravo ragazzo di
Fermo poteva combattere virilmente Boko Haram (che pure aveva già ucciso una
figlia dei due, e i loro genitori) anziché venire in Italia a fare la finta “risorsa”
come affermano i “buonisti” alla Boldrini… Stesse persone che magari ce l’hanno
col Papa perché non difenderebbe le vittime cristiane dell’integralismo
islamico mentre loro, ai cristiani che scappano dai loro persecutori, tirano
scherzosamente le noccioline e difendono, con questo, la gloriosa “civiltà
europea”. Questo il campionario, insomma.
E non mi dilungo oltre. Un repertorio dove non affiora una condanna netta del
razzismo, anzi si fa finta che il razzismo nulla c’entri, perché si ha
difficoltà, evidentemente, a riconoscerlo e a prenderne le distanze e basta
dire come ha detto Matteo Salvini che chi lancia certi insulti è un “coglione”.
E basta, senza ulteriori specifiche, perché la vulgata da difendere è che i
buoni italiani sono assediati dai cattivi migranti, e ciò non può essere messo
in discussione. Se dici che i razzisti ti fanno schifo (è il mio caso) sei “complice”
e “buonista” se non “radical chic” e altre scemenze del genere.</span></li>
</ol>
<br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "arial" , sans-serif; line-height: 115%;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br />
<ol>
<li><span style="font-family: arial, sans-serif; font-size: large; line-height: 115%;">Questa narrazione che certa destra (non tutta per
fortuna) ha fatto sul caso di Fermo è perfettamente corrispondente al
linguaggio populista analizzato dal sociologo Rosanvallon: “Esso riconosce solo
una giustizia della repressione, della sanzione, della condanna, eleggendo a
oggetto della propria vendetta una vasta categoria di indesiderabili e
parassiti”. E in questa stessa narrazione è affiorata un’altra caratteristica
del linguaggio di cui parliamo: il passare disinvoltamente dall’indice puntato
al vittimismo. E allora gli italiani derubati dagli stranieri? E allora le
nostre donne insultate dai migranti? E perché il ministro dell’Interno non si
reca anche nei luoghi dove i profughi organizzano rivolte, infastidiscono i
residenti, compiono atti di teppismo o veri e propri crimini? Perché appunto,
se il “popolo” nel nome del quale si pretende di parlare è vessato e
inascoltato, allora certi scatti rabbiosi, certe parole fuori luogo, possono
anche scappare di bocca…</span></li>
<li><span style="font-family: arial, sans-serif; font-size: large; line-height: 115%;">Detto tutto ciò, resta da accennare a quell’altra parte
di opinione pubblica che ha evocato a sproposito la parola fascismo per
affibbiare un’etichetta all’omicida di Fermo. Anche questo seguendo l’ottica di
un’autorassicurazione ideologica che fa velo agli errori politici commessi in
passato: il male esiste, e sta sempre dalla parte che non è la mia…</span></li>
</ol>
</div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br />
<ol>
<li><span style="font-family: arial, sans-serif; font-size: large; line-height: 115%;">Ma mi hanno colpito, soprattutto, le energie profuse in
difesa di una persona che in nulla, in nulla, può rappresentare o far scattare
meccanismi di identificazione in chi ha militato a destra. Un attaccabrighe,
uno che cinque anni fa faceva l’estremista di sinistra inseguendo una
volubilità ideologica che evidentemente serviva da copertura alle sue
capricciose pulsioni. Ma lui è quello che è. I suoi tanti difensori invece (che
immagino esultanti perché l’autopsia ha confermato che c’è stato solo un pugno
da parte di Mancini e dunque la versione iniziale della moglie del nigeriano non
trova per ora conferme) sono persone che esprimono una tendenza, un
orientamento, una mentalità. Che siano tanti o un’esigua minoranza non mi
interessa. Un tempo forse avrei provato imbarazzo dinanzi a tutto ciò. Avrei
persino provato a spiegare. Quel tempo è finito. Siamo distanti e resteremo
distanti. Se non ce la fate a condannare il razzismo il problema è tutto
vostro, tutto interno a una “destra” di cui nulla mi interessa. Io vengo dal
Msi, che aveva moltissimi limiti, ma dove nessuno mi insegnava che dire scimmia
a una donna africana era un innocente passatempo; nessuno mi avrebbe obbligato
a difendere un Giovanardi, lo stesso che attribuì la morte di Cucchi alla sua
fragile costituzione fisica; nessuno mi avrebbe chiesto di difendere il diritto
d’opinione di un parlamentare che dà dell’orango a una ministra italiana di
origini congolesi. Questa non è roba mia. A ciascuno il suo. </span></li>
</ol>
</div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-35717827341492536102016-04-29T03:07:00.004-07:002016-04-29T03:22:01.942-07:00E a Roma è cominciata la campagna elettorale...<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><sup><span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></sup></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPxAuegEpnG4HOuac3yZ-AXKX9ab35QOxP5Z9SdZF6ANDFJbyNE7GphCuk1QztFpCuSxh9cRFq7VOwH6ofDMPCF8N7Lod7oFoV7JRW8nf9Xmxe4N0YrfSqpkgQW1FWlUeMFBoPJMoIY00/s1600/campidoglio.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="190" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPxAuegEpnG4HOuac3yZ-AXKX9ab35QOxP5Z9SdZF6ANDFJbyNE7GphCuk1QztFpCuSxh9cRFq7VOwH6ofDMPCF8N7Lod7oFoV7JRW8nf9Xmxe4N0YrfSqpkgQW1FWlUeMFBoPJMoIY00/s320/campidoglio.jpg" width="320" /></a></div>
<b><sup><span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></sup></b></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><sup><span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></sup></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><sup><span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Annalisa Terranova</span></span></sup></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><sup><span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;"><br /></span></span></sup></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><sup><span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">Ma Berlusconi
spariglia a Roma oppure no? E Alfio Marchini sarà un potenziale competitor di
Renzi o il coprotagonista di un patto del Nazareno capitolino? Tutte domande
legittime mentre la campagna elettorale finalmente entra nel vivo nella
Capitale sgomberando il campo da vari equivoci tra cui il primo e più
importante consisteva </span></span></sup><sup><span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><span style="font-size: small;">nell'illusione che il centrodestra potesse tornare unito e vincente come un tempo. </span></span></sup></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">In parte, va detto,
Berlusconi è stato costretto all’abbandono della candidatura di bandiera per la
fuga dei quadri romani verso Fratelli d’Italia che metteva a repentaglio
persino la possibilità di formare una lista. Certo, l’opzione Marchini può
trasformarsi in una scelta di strategia: costruire un’area di moderati
riformisti per attrarre quell’elettorato indisponibile a seguire la deriva
lepenista della destra salviniana. Ma quell’area è già presidiata da Matteo
Renzi. Per vedere, allora, se Alfio Marchini potrà aspirare ad essere davvero
alternativo al premier bisognerà vedere quanti romani sono disposti a puntare
su questa scommessa. Roma è una città che riserva grandi sorprese: tutti
ricordano l’exploit di Gianfranco Fini, imprevisto e imprevedibile, alle
comunali del ’93. La campagna elettorale comincia solo ora: Marchini dovrà
barcamenarsi non poco per non farsi stringere nella morsa dell’abbraccio
soffocante del Cavaliere, Virginia Raggi ha il problema di dover parlare di
politica oltre a invocare onestà e legalità, Giachetti dovrà faticare per
occupare un posto sulla scena dopo essere stato messo in ombra dagli ultimi
eventi (oltre che dai sondaggi) e Giorgia Meloni dovrà stare attenta a non
calibrare la polemica solo nell’area della destra, per non portare fino in
fondo lo scollamento tra le lacerazioni dell’area ex-An e i veri interessi dei
cittadini romani.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"> Oggettivamente è insostenibile la tesi che la
candidatura Marchini sia di “sinistra” e che sia la più conveniente per Renzi
(al quale semmai conveniva molto di più che Bertolaso restasse in campo).
Marchini rappresenta invece quel civismo post-ideologico e imprenditoriale che
può funzionare per aggregare l’elettorato deluso dai partiti (con Luigi
Brugnaro, a Venezia, ha funzionato). Certo attorno a lui si agitano personaggi
come Gianfranco Fini, Gianni Alemanno e Francesco Storace. Il primo, che forse
dovrebbe un po’ contenere gli applausi per il Cavaliere di cui è stato fiero
oppositore, può rivendicare una certa coerenza, in quanto appoggiava Marchini
già alle precedenti comunali romane. Più difficile per gli altri due dare
valenza politica a una scelta che va inquadrata come unica alternativa
possibile all’esclusione da Fratelli d’Italia, movimento cui viene imputata –
almeno a Roma – un’impronta comunitaria che a volte sfocia nel settarismo. Ma
questi sono aspetti tutto sommato marginali. Solo se Marchini riuscirà ad
andare al ballottaggio, sconfiggendo l’ipotesi da molti temuta – e cioè una
vittoria di Virginia Raggi già al primo turno – si potranno pesare le
conseguenze sugli equilibri futuri del centrodestra il cui leader quasi
ottantenne aveva già prescelto come delfino un politico come Angelino Alfano,
le cui caratteristiche certo non combaciano con un Salvini che va in conferenza
stampa con la ruspa giocattolo. <o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;">E oltre agli
equilibri si potranno vedere i risultati e definire le ricette più convincenti:
il presidio dell’area di protesta a Nord con la Lega e al centro-sud con
Fratelli d’Italia non è una formula spendibile come alternativa di governo. E
il centrodestra nacque nel ’94 con queste ambizioni. Non era pensabile, in
fondo, che un elettorato che aveva raggiunto il 38% (risultato dell’asse
Berlusconi-Fini nel 2008) potesse interamente ripiegare sulle parole d’ordine
della Lega in un quadro complesso come l’attuale sia a livello internazionale
sia nel contesto della dialettica con Bruxelles. Certo, il vento populista
soffia fortissimo in tutta Europa, e non solo all’ombra del Colosseo e finora
le risposte “moderate” hanno rappresentato inconcludenti balbettii. Anche per
questo la sfida romana è di cruciale importanza: doveva essere una sfida tra
Raggi e Giachetti, era diventata una sfida tra Raggi e Meloni. Ora l’abilità di
Marchini sta nel farla diventare una sfida tra lui da una parte, e Raggi e
Meloni dall’altra. Ci riuscirà?<sup style="font-size: 16pt;"><o:p></o:p></sup></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-14671834519375895672016-01-09T09:29:00.000-08:002016-01-09T09:37:06.741-08:00Sui fatti di Colonia non dite che è solo criminalità comune...<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 22.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj49ndWLnczql2X_a_OzVtgBwHQVAl_yWo3_1XzpFK-5XXXua60YcbJ7tKK8nvBTTyEOZn_-pj3Gby85QZNbIz6JhMw2sfRu0JNNNjf78X010FXj_aGajJfnidgpn_Yd7Cpg0xVppk4Nto/s1600/colonia.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="168" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj49ndWLnczql2X_a_OzVtgBwHQVAl_yWo3_1XzpFK-5XXXua60YcbJ7tKK8nvBTTyEOZn_-pj3Gby85QZNbIz6JhMw2sfRu0JNNNjf78X010FXj_aGajJfnidgpn_Yd7Cpg0xVppk4Nto/s320/colonia.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 22.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: x-small;"><b>Annalisa Terranova </b></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: x-small;"><b><br /></b></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">No, i fatti
avvenuti a Colonia (ma anche ad Amburgo, Zurigo, Helsinki e Stoccolma) non sono
fenomeni di sola criminalità comune. Che lo dica Angela Merkel, che sente in
queste ore vacillare la sua poltrona, è comprensibile. Non lo è da noi, dove il
dibattito che si è avviato dovrebbe essere scevro da preoccupazioni
elettoralistiche. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">Ora, sui
bigliettini trovati in tasca a qualcuno dei profughi identificati per le
molestie e i furti a Colonia è stata trovata la scritta da dire in tedesco alla
“preda”: “Ti voglio sco..re fino alla morte”. Uno di questi fermati, già a
piede libero del resto grazie alle garanzie giuridiche dell’odiato Occidente, ha solo sedici anni (è un marocchino). <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">Il caso ha
voluto che negli stessi giorni in cui l’Europa si indignava per le violenze
alle donne tedesche ci abbia raggiunto l’atroce notizia dell’uccisione di una
madre di Raqqa, Lena Al-Qasem, da parte del figlio jihadista. Un fanatico
sanguinario che non aveva tollerato l’invito rivoltogli dalla madre a lasciare
la capitale del Califfato. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">Io i fatti
li vedo collegati: la considerazione della donna è tale, in certe sottoculture,
da essere indotti o ad umiliarle o ad eliminarle fisicamente, anche se sono
madri (o mogli o sorelle). Oggetti di trastullo, o oggetti fastidiosi, in ogni
caso privi della dignità di persone. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">Certo, non
si vuole dire che tutta la cultura islamica soggiace a questo schema, ma il
problema esiste e non è con la comprensione compiacente che lo si risolverà. E’
stato detto che le femministe sono state parche di parole dinanzi ai fatti di
Colonia. Bè forse lo sono state il sindaco di Colonia e Laura Boldrini, che non
rappresentano nessuno. La femminista francese Elisabeth Badinter, intervistata
dal Corriere, ha invece parlato chiaro e ha detto cose interessanti. Per
esempio questa: “La prima reazione delle autorità e dei media agli incidenti di
Colonia è stata, subito, difendere l’immagine dei rifugiati e degli stranieri
in generale. Non le donne. Non posso dirvi quanto questo mi abbia dato
fastidio. Come se la tutela delle donne possa venire dopo. I commenti si
concentravano sul proteggere gli stranieri dalla xenofobia, e questo è uno
scopo nobile. Ma il risultato è che nessuno si è dichiaro inorridito per le
donne aggredite”. <o:p></o:p></span></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">Ecco, il
punto è proprio questo. Il rispetto per le donne esige anche che non si abbia
paura di passare per islamofobi, né di imitare la sgrammaticata e stracciona
propaganda di Salvini (il quale peraltro appartiene alla tradizione culturale
celodurista della Lega). Il rispetto per le donne esige che si dica che nelle
piazze tedesche sono avvenuti fatti nuovi, inediti e inquietanti e che se pure
la polizia fosse riuscita a reprimerli anche la sola intenzione di mettere in
atto molestie di massa alle ragazze tedesche sarebbe stato un fatto
intollerabile, ripugnante e generato dalla sottocultura di cui abbiamo detto.
Il rispetto delle donne, è appena il caso di sottolinearlo, è un valore di
civiltà mentre non lo è l’accoglienza, che è solo un metodo per fronteggiare
un’emergenza. E i metodi si possono cambiare, i valori no. </span><span style="font-size: 22pt;"><o:p></o:p></span></span></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-11447429269532317272015-12-20T02:17:00.003-08:002015-12-20T02:23:12.694-08:00La Porta Santa: la poesia di Pascoli per il Giubileo 1900<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjK8W_77fPnl0-ZxpkVy9JyeVDWlA-IfZ5slSNE_9dWa7V8duS3I5WmbG08oIZVmzGg2YXkNesgEwBhSisNdrKBUvFHNyr0kVzyxcJp3eBtm4BjX83qm88QjbCoW3qdThDbo6TAymA5h7s/s1600/images.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjK8W_77fPnl0-ZxpkVy9JyeVDWlA-IfZ5slSNE_9dWa7V8duS3I5WmbG08oIZVmzGg2YXkNesgEwBhSisNdrKBUvFHNyr0kVzyxcJp3eBtm4BjX83qm88QjbCoW3qdThDbo6TAymA5h7s/s320/images.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<span style="background-color: white; font-family: "arial" , sans-serif; font-size: 16pt; text-align: justify;"><b>Sandro Consolato</b></span><br />
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;"><br /></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Papa Leone XIII aprì il solenne Giubileo
che doveva segnare il passaggio di secolo, dall’Otto al Novecento, il 24
dicembre del 1899; chiuse quindi la Porta Santa un anno dopo, il 24 dicembre
del 1900. L’evento ispirò a Giovanni Pascoli uno dei suoi INNI, intitolato LA
PORTA SANTA, pubblicato sul “Marzocco” il 6 gennaio 1900. Questo testo rientra
tra quelli di Pascoli in cui sono presenti il “tema cosmico” ed un senso indefinito
di angoscia collettiva, lo stesso che noi ancor più forte avvertiamo al termine
di questo quindicesimo anno del nuovo millennio in cui, tra guerre e migrazioni
di popoli, si apre un nuovo Giubileo straordinario, voluto da un Pontefice che
si è annunciato come “venuto dalla fine del mondo”. Giustamente Arnaldo
Colasanti, curatore dell’edizione Newton Compton di “Tutte le poesie”, per “La
Porta Santa” parla di “Poesia di grande fascino”, in cui si affaccia “il dubbio
assurdo di un’apocalisse vicina”. Patrizia Paradisi, nel suo studio presente in
rete su “<span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial;">La ricerca
dell’Assoluto nella letteratura: Giovanni Pascoli”, </span>osserva: “Pascoli
stravolge il significato religioso del rito, immaginando che il popolo che vi
assiste si senta in qualche modo escluso, tenuto fuori, dalla realtà oltre la
porta, la Vita Eterna promessa da Dio e dalla religione, e allora invoca il
Papa perché non chiuda questa porta, e lasci che il popolo dei fedeli possa
vedere quello che c’è di là”. Forse potremmo leggere questo inno pascoliano
anche come un monito a contemplare certi eventi come eventi di portata
universale, al di là della nostra appartenenza religiosa, l’apertura e la
chiusura della Porta Santa essendo uno di quei gesti sacri che vengono da tempi
antichi ma si coniugano con speranze e paure connesse sia allo stesso esistere
umano sia al vivere in un determinato tempo. Ed ora, non ci resta che leggere
il testo.<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Uomo, che quando fievole / mormori, il mondo
t’ode, / pallido eroe, custode / dell’alto atrio di Dio;<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">leva la man dall’opera, / o immortalmente
stanco! / Scingi il grembiul tuo bianco, / mite schiavo di Dio: / la Porta
ancor vaneggi! / Vogliono ancor, le greggi / meste, passar di là. <o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">O nostro primogenito, / puro tra i bissi
puri, / le pietre che tu muri / con la gracile mano, / nel sepolcreto sembrano
/ chiudere i tuoi fratelli / tutti; con tre suggelli, / tutto il genere umano. <o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Solo la bianca Morte / chiude così le porte,
/ che non riaprirà!<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Oh! le tue mani tremano! / Dove sarai tu,
quando / un secol nuovo, orando, / toglierà le tre pietre?<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Dove anche noi. Le candide / culle ch’or
vanno e stanno / tra un canto pio, saranno / tombe immobili e tetre.<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Avanti quella Porta / chiusa non c’è che
morta / gente; un’ombrìa che va. /<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">O vecchio, è vecchio, al nascere, / del suo
morir futuro / anche il bambino, puro / là tra i puri suoi bissi.<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Tutti i fratelli tremano / seguendo te che
tremi, / come su gli orli estremi / d’invisibili abissi.<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Vecchio che in noi t’immilli, / lasciaci udir
gli squilli / dell’immortalità!<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Di là, di là, risuonano / chiare le argentee
trombe / che spezzano le tombe / d’inconcusso granito!<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Di là, di là, risuonano / </span><span lang="EN-US" style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: EN-US;">canti or soavi or gravi; /</span><span lang="EN-US" style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;"> </span><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">ché c’è di là, con gli avi, / qualche bimbo
smarrito!<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Tutto il di noi che vive / è ciò che a noi
sorvive: / tutto è per noi di là!<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Non ci lasciar nell’atrio / del viver nostro,
avanti / la Porta chiusa, erranti / come vane parole;<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">ad aspettar che l’ultima / gelida e fosca
aurora / chiuda alle genti ancora / la gran porta del Sole;<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div style="background: white; margin-bottom: 7.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 7.5pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 16.0pt;">quando la Terra nera / girerà vuota, e ch’era
/ Terra, s’ignorerà.<o:p></o:p></span></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-87002636687141754362015-09-24T10:33:00.001-07:002015-09-24T10:33:35.471-07:00Segnavia: Il centenario di Merton, precursore della Chiesa d...<a href="http://segnavi.blogspot.com/2015/01/il-centenario-di-merton-precursore.html?spref=bl">Segnavia: Il centenario di Merton, precursore della Chiesa d...</a>: Luciano Lanna Cento anni fa, il 31 gennaio 1915, nasceva Thomas Merton, un poeta, uno scrittore, un monaco trappista che con la sua...Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-33092792335239826652015-08-30T01:05:00.001-07:002015-08-30T01:05:31.482-07:00Al "libertarismo" preferisco il grido del "libertario"<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgngl6FCncK9oBHkf4hYMLJkHvG7owsX4RBpuLfqToQInImsSPRwsTYdO_fgBh9F66_Qb_DM1qqP0fdWlKRXKmikDTC4cff0yLsXN_4nBseTcifHUPov1ZM12lqdEthEvBwKZDtvdflAmQ/s1600/11951288_874935232587075_5155538583448521467_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgngl6FCncK9oBHkf4hYMLJkHvG7owsX4RBpuLfqToQInImsSPRwsTYdO_fgBh9F66_Qb_DM1qqP0fdWlKRXKmikDTC4cff0yLsXN_4nBseTcifHUPov1ZM12lqdEthEvBwKZDtvdflAmQ/s320/11951288_874935232587075_5155538583448521467_n.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<i>Mio articolo apparso oggi sulle pagine culturali del quotidiano "il Garantista"</i><br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><b>Luciano
Lanna</b><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Dovendo
scrivere di un –ismo ma collocandomi personalmente all’opposto di qualsiasi
ideologia (e quindi di qualsiasi –ismo) proverei a evocare l’orientamento che
secondo me corrisponde alla fuoriuscita da qualsiasi interpretazione ideologica
e che potremmo farlo coincidere, necessariamente, con quello “libertario”.
Preferisco ovviamente l’aggettivo in questione al sostantivo “libertarismo” che
di per sé potrebbe condurre a fare, magari inconsapevolmente, un’ideologia anche
della stessa opzione anti-ideologica. Non a caso, storicamente si è parlato di
libertarismo, nell’Ottocento, per l’anarchismo di Stirner, Bakunin e Kropotkin,
in cui a prevalere era una precisa e definita ideologia (“né Dio né Stato né
servi né padroni”) e la cui traduzione coincideva o nell’organizzazione (di per
sé una contraddizione in termini) di gruppi, gruppuscoli e progetti di
cospirazione o nel gesto violento dettato dall’esasperazione e dalla follia. E,
più avanti, nel Novecento, si è parlato sempre di libertarismo
(“libertarianism”), ma in termini astratti ed esclusivi di filosofia politica e
di costruzioni intellettuali, per alcune scuole di pensiero statunitensi
orientate verso l’antistatalismo e l’assunzione del mercato come criterio fondativo (e assoluto) delle
relazioni umane. Ma vale su questo quanto affermato da Daniel Cohn-Bendit: “Il
mio essere libertario definisce la mia scelta a favore della libertà ma, sia
chiaro, non quella delle multinazionali, per le quali continuo a chiedere
controlli e regole”. Sia ben chiaro: è indiscutibile che presupposti, pulsioni,
aspirazioni sia dell’anarchismo ottocentesco che del <i>libertarianism</i> americano siano a tutti gli effetti di matrice
libertaria e che molto di quanto da loro prodotto sia utile per l’elaborazione
di un <i>background</i> di riferimento per
il libertarismo postmoderno.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Ma è
comunque ovvio che l’orientamento libertario che stiamo cercando di delineare
(e che propone un nuovo e diverso libertarismo, adeguato al ventunesimo secolo)
fuoriesce completamente da qualsiasi prospettiva sistematica e ideologica e si
pone in termini esistenziali più che politologici. Si tratta più di una postura
esistenziale che di una sistemazione teorica. Da un punto di vista culturale,
ad esempio, esso infatti è anzitutto il portato di un attraversamento del
Novecento in direzione della libertà così come testimoniato da figure come
Albert </span><span style="color: #222222; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Camus, Charles Péguy e
Simone Weil, Bruce Chatwin e Hannah Arendt. E alle quali si possono senz’altro
accostare anche autori come Ernst Jünger, Arthur Koestler, Ignazio Silone,
Bertrand Russell, André Malraux, George Orwell... Personalità del secolo scorso
che si sono contraddistinte per il fatto di aver “attraversato” integralmente e
criticamente il Novecento, essersi pure in molti casi inizialmente abbeverati
alle sue passioni incandescenti, ma che a un certo punto sono riuscite a
prendere le distanze da quelle tempeste a cui essi stessi avevano partecipato o
che addirittura avevano contribuito a mettere in campo. Jünger, ad esempio, lo
dimostrò arrivando a scrivere un romanzo-metafora contro la degenerazione
totalitaria di quel nazionalismo che lo aveva visto entusiasta da adolescente
come <i>Sulle scogliere di marmo</i>, partecipando al fallito <i>putsch </i>contro
Hitler e lavorando teoricamente, nel secondo dopoguerra, per un libertarismo
spiritualista. Allo stesso modo di Camus, Koestler, Silone, Malraux e Orwell,
che ribaltarono gli entusiasmi giovanili per il comunismo nel più coerente
impegno intellettuale libertario e antitotalitario. </span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%;">«L’importante per me resta il Singolo», spiegherà proprio </span><span style="color: #222222; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Jünger</span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%;">, già ultracentenario, intervistato da Gnoli e Volpi ne <i>I prossimi
titani</i> (Adelphi). E proprio in nome del Singolo e contro il dilagare
di tutte le burocrazie autoritarie spersonalizzanti si espresse quasi tutta la
sua produzione a partire dall’apologo anti-totalitario del 1939 sino alla
sua teorizzazione della figura libertaria per antonomasia, l’<i>anarca,</i> nel romanzo <i>Eumeswil </i>del 1977.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Chiariamoci
subito. Quello che caratterizza la sensibilità libertaria cui facciamo
riferimento è innanzitutto il suo porsi ad di fuori e oltre qualsiasi logica di
“militanza”, di inquadramento, di aggregazione (nel senso etimologico di
formazione di un gregge). La singola persona,
per i libertari, è un valore in sé, la sua tensione esistenziale non può e non
deve mai essere annullata o strumentalizzata da logiche superiori, siano esse
la Ragion di Stato, la disciplina di partito, l’ortodossia ideologica. Si
tratta semmai di ribaltare esistenzialmente tutte le logiche del potere, quelle
logiche che connotano tutte le organizzazioni spersonalizzanti e che non
possono essere superate rovesciando politicamente la forma assunta dagli
assetti di potere vigenti ma impostando le proprie vite sul rifiuto di
esercitare e subire ogni forma di dominio e di potere. Vale quanto annota
Lucilio Santoni – uno dei più acuti intellettuali e poeti libertari italiani
contemporanei – nel suo libro <i>Cristiani e
anarchici. Viaggio millenario nella Storia tradita verso un futuro possibile</i>
(pp. 140, euro 12,00, edizioni Infinito): “Noi che viviamo ai margini dei
grandi giochi di potere abbiamo il dovere di tentare di capirci qualcosa,
abbiamo il compito di non essere superficiali nella lettura dei fatti e degli
accadimenti, soprattutto per evitare di essere usati come pedine”. Interessante
nel libro il percorso di autori che mettono in luce questo orientamento
libertario: ci sono, senz’altro, Proudhon e Malatesta, ma anche Tolstoj e Ivan
Illich, Pasolini e Bonhoeffer, Camus e Shelley, Leo Ferré e Garcia Lorca e – a
sorpresa – don Helder Camara, madre Teresa di Calcutta, monsignor Oscar Romero,
don Lorenzo Milani, don Luigi Giussani e papa Francesco… Nel suo essere non
ideologico e anti-ideologico l’orientamento libertario più autentico non ha
dogmi o punti fissi e non può infatti non essere aperto anche al contributo dei
cristiani, di chi – coerentemente, così come ha scritto il poeta Davide Rondoni
– “ha patroni in cielo, non padroni in terra. La religiosità, infatti, nel
momento stesso in cui riconosce un’autorità ne indica il limite e la radice
altrove che nella propria affermazione”.
Precisa ulteriormente Rondoni: “Il desiderio, benzina d’ogni avventura
di ricerca del senso, d’ogni avventura religiosa autentica, è anche la freccia
che attraversa e supera ogni realizzazione presunta di ciò che presume di
rispondergli e di soddisfarlo. La freccia che rompe gli idoli, ogni idolo del
potere. Dentro e fuori ogni organismo che per vivere si organizza anche in
forma di potere e di autorità”. E questa è un’ulteriore indicazione di una
sensibilità libertaria post-ideologica, in quanto tale aperta e mai chiusa in
una sistemazione intellettualistica. Non è un caso che, e non paradossalmente,
lo stesso Vittorio Messori, lo scrittore cattolico intervistatore di due Papi,
quando deve spiegare il suo orientamento politico-culturale a sorpresa ammette:
“Sono un libertario, naturalmente senza utopie o illusioni. Mi trovo a mio agio
in una <i>open society</i>, una società
aperta come la chiamava Karl R. Popper, questa società sempre più meticcia e
sempre più complessa. Amo la libertà annunciata dal Cristo e dal suo Vangelo da
proporre e mai da imporre... Mi piace la vita come avventura, dive santi e
mascalzoni si intersecano, dove si confrontano il bene e il male. Amo le
metropoli, le giungle d’asfalto, ben più del controllo sociale del villaggio,
amo il ribollire delle grandi città, dove la storia si costruisce attraverso la
trama infinita dei liberi rapporti umani…”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">La postura
esistenziale libertaria, insomma, non coincide con nessuna chiusura ideologica.
Il libertarismo post-militante e post-ideologico fuoriesce, alla luce di quello
che abbiamo detto, decisamente da qualsiasi identità culturale scontata e
vecchia, sia essa di derivazione laicista o illuminista. Così come la nuova
fenomenologia libertaria non si identifica affatto, come vorrebbe la pigrizia
del linguaggio da luogo comune, con l’indifferentismo etico, con un facile
permissivismo, con l’allontanamento da qualsiasi senso del limite umano ed
estetico. Piuttosto, la vera postura libertaria mette in campo un atteggiamento
esistenziale istintivamente refrattario a qualsiasi incasellamento, sfuggente a
qualsiasi chiusura o censura, caratterizzato da un’opzione contraria a
qualsiasi forma di autoritarismo, di razzismo, di militarismo, di
burocraticismo, di discriminazione… <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Nell’emersione
storica di questa sensibilità libertaria post-ideologica ci sarebbe
l’intuizione che stava al centro di un <i>bestseller
</i>della cultura giovanile a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta e che,
apparso negli Stati Uniti nel 1974 e proposto in Italia nel 1981, si impose
improvvisamente col passaparola, senza nessuna sponsorizzazione mediatica: <i>Lo Zen e l’arte della manutenzione della
motocicletta di Robert M. Pirsig</i>. Nel quale si legge: “Non voglio più
entusiasmarmi per i grandi programmi di pianificazione sociale che coinvolgono
le vaste masse e che trascurano la qualità individuale. E penso che sia venuto
il momento di ricostituire <i>questa</i>
risorsa… Abbiamo davvero bisogno di riacquistare l’integrità individuale, la
fiducia in noi stessi e l’<i>enthousiasmos</i>…”.
<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #222222; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">D’altronde è un dato storico che negli
anni Sessanta, alla vigilia di quella contestazione studentesca di Berkeley che
anticipò il nostro Sessantotto, gli universitari statunitensi tenevano sul
comodino due <i>livre de chevet</i>: Sulla rivoluzione di Hannah Arendt
e <i>L’uomo in rivolta</i> di Albert Camus. In quel fermento
studentesco anglosassone, lontano dal marxismo-leninismo e da vecchie matrici
ideologiche e spinto soprattutto sul fronte dei diritti civili, della lotta
contro la segregazione razziale e del libertarismo, Camus, l’autore di romanzi
come <i>Lo straniero</i> e <i>La peste</i>, il premio Nobel nel
1957, veniva letto come uno scrittore “politico” <i>tout court</i>.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #222222; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #222222; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsODyFQRCpkNt5KIbuyHE91_OoOnocqL6XR1YwqGO3H04jXNiM7SDIvJG2HNsthPSnTqNZW72wjv5sLJOggxfAboh1dN2bHHoA8Sn-bXJrT17yAAIqEv_zI7v5jyMj5AjCCdci7SKMzro/s1600/images.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsODyFQRCpkNt5KIbuyHE91_OoOnocqL6XR1YwqGO3H04jXNiM7SDIvJG2HNsthPSnTqNZW72wjv5sLJOggxfAboh1dN2bHHoA8Sn-bXJrT17yAAIqEv_zI7v5jyMj5AjCCdci7SKMzro/s1600/images.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #222222; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #222222; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Una
sensibilità questa che, comunque, scaturisce da una lunga tradizione,
letteraria e non solo, che va da Walt Whitman a Henry David Thoreau e Ralph
Waldo Emerson, da Jack Kerouac e Allen Ginsberg a Gary Snyder e Lawrence
Ferlinghetti, da Louis-Ferdinand Céline a Henry Miller, da Leonard Cohen e Bob
Dylan a Georges Brassens agli italiani Giorgio Gaber, Fabrizio De André e
Francesco Guccini… Quello stesso Guccini che, definendosi libertario, ha sempre
rifiutato la definizione di cantautore politico: “Le mie canzoni sono
esistenziali – ha ammesso – e attraverso di esse ho cercato di raccontare il
mio punto di vista sul mondo. Ricordo ancora la polemica del dopoguerra sugli
intellettuali organici, quando Elio Vittorini dichiarò che non voleva fare il
pifferaio della rivoluzione…”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Ecco su
questo punto, quello del rifiuto della logica dell’inquadramento e della
militanza, tutti i libertari sono naturalmente concordi. </span><span style="background: #F8F9F9; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT; mso-font-kerning: 18.0pt;">“Nel maggio del ’68 – ha ricordato lo scrittore
Jean-Pierre Chabrol – io rimproveravo a Georges Brassens ciò che chiamavo la
sua passività, il suo distacco. Cantautori e intellettuali facevano comizi e
barricate, si buttavano nella mischia. Lui restava a casa. Lui, che solo
facendosi vedere, avrebbe potuto diventare il profeta o il guru dei
sessantottini. Ma ciò che si proclamava alla Sorbona o nelle piazze in fondo
era già da molto tempo nelle sue strofe”. </span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-weight: bold; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT; mso-font-kerning: 18.0pt;">E lo
spiegherà bene lo stesso Brassens: “In realtà sono uno dei cantautori più
impegnati. Solo che normalmente si intende per impegno l’adesione a un partito
e si dà il caso che io non riconosco a nessun partito il diritto di avermi…”. E
non sarà un caso che Simone Weil, la filosofa libertaria, arriverà alle estreme
conseguenze e stilerà il <i>Manifesto per la
soppressione dei partiti politici</i>, ipotizzando una democrazia senza il
filtro di organizzazioni spersonalizzanti.
Così come Lucilio Santoni, da libertario e intellettuale impegnato,
scrive testualmente: “Io non amo la piazza, le manifestazioni e le
rivendicazioni..”. Un modo come un altro per dire che il libertario non abbocca
più all’amo, nessuno gliela dà a bere, nessuna prospettiva di potere riesce a
sedurlo o a ingannarlo, nessuno potrà mai aggregarlo in un progetto
eterodiretto, neanche quelli di una piccola politica alienante in mano ad
apprendisti stregoni cooptati, ambiziosi amministratori da condominio
catapultati ai piani alti del potere o piccoli tribuni della plebe. Il
libertario scende in campo, in quanto singola persona, solo quando sente che la
libertà è minacciata.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="background: white; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-line-height-alt: 13.5pt; text-align: justify;">
<span style="color: #222222; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">L’esempio migliore resta, a nostro
avviso, quello dell’impulso libertario di Camus, il quale non si è mai
crogiolato nella santificazione di un comodo individualismo narcisista. «Visto
che non viviamo più i tempi della rivoluzione – scrisse – impariamo a vivere il
tempo della rivolta». Anche per questo Massimo Fini ha annotato: «Il Sartre che
cercava di coniugare esistenzialismo e marxismo non ci finì mai di convincere. Albert
Camus, che ebbe la fortuna di morire presto, invece lo amammo sempre. Tutto…».
Lo confermava anche il filosofo Bernard-Henry Levy, ribadendo l’attualità del
suo libertarismo rispetto all’impegno ideologico organico alla politica: “Storicamente
Camus ha avuto ragione su Sartre. E non si dirà, non si ripeterà mai abbastanza,
quanto lui ebbe ragione”.<o:p></o:p></span></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-87677936658735953272015-08-20T06:38:00.000-07:002015-08-20T06:38:01.819-07:00Il desiderio di essere inutile: geniale Hugo Pratt<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCdt3Ma5BMyFpTCM9J_Bb9ditsg_MZNGNMlnOSQNwJRTDOqh6SISs-XEUk4LlXudBxly2CyBn37QEY1TFE7BCXCPeVa4p37fN-tGZ9tzEwUTy0-l7UIUjLGgCp4J1d1rbjq2HcGKCYCwU/s1600/11870699_869728759774389_7686075492029664132_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCdt3Ma5BMyFpTCM9J_Bb9ditsg_MZNGNMlnOSQNwJRTDOqh6SISs-XEUk4LlXudBxly2CyBn37QEY1TFE7BCXCPeVa4p37fN-tGZ9tzEwUTy0-l7UIUjLGgCp4J1d1rbjq2HcGKCYCwU/s320/11870699_869728759774389_7686075492029664132_n.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<i><br /></i>
<i>Articolo pubblicato sul quotidiano "il Garantista" giovedì 20 agosto 2015</i><br />
<br />
<div style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt;"><b>Luciano Lanna</b><o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Pochi autori del
Novecento italiano hanno avuto più tributi e omaggi postumi di Hugo Pratt,
ormai non considerato solo come un fumettista ma come un artista di levatura internazionale,
uno scrittore di particolare qualità, un intellettuale coraggioso e irregolare.
A vent’anni dalla sua morte – il 20 agosto del 1995 a Grandvaux, in Svizzera,
dove si era ritirato da qualche anno – la sua opera, grafica ma anche scritta,
così come il personaggio più famoso scaturito dalla sua fantasia, il marinaio Corto
Maltese, godono di una presenza nell’immaginario universale davvero senza
precedenti. Solo a contare i siti, le pagine Facebook, i fan club, le mostre, le
citazioni, i poster, i capi d’abbigliamento, i gadget basati sui suoi disegni si
resta a bocca aperta.<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Pratt non è stato
infatti solo uno dei più famosi rappresentanti del fumetto internazionale ma è
stato un intellettuale a tutto tondo, è riuscito a essere attivo nelle più
disparate aree dell’immagine con illustrazioni, raccolte di disegni, acquerelli,
port-folio, serigrafie, manifesti, opere pubblicitarie e altro ancora. Così
come è stato romanziere e saggista, autore di teatro, musicista e autore di
testi musicali, persino attore in quattro film… Non solo esistono in tutto il
mondo centinaia di opere a lui dedicate ma negli anni si sono susseguite
generazioni di autori, appassionati di fumetto o semplici<span class="apple-converted-space"> fan</span><span class="apple-converted-space"> </span>che hanno voluto tributare a Pratt o a
Corto Maltese un omaggio, sia quando Pratt era ancora in vita sia dopo la sua
morte. Tra questi <i>Le avventure di Giuseppe Bergman,</i> scritte e disegnate da Milo Manara<span class="apple-converted-space"> </span>,
grande amico e, per sua stessa affermazione, allievo di Prat. Qui, il
protagonista Giuseppe Bergman viene istruito all’avventura da un creatore di
avventure di nome HP, uguale in tutto e per tutto al Maestro veneziano. E non
sono mancati gli omaggi di scrittori e giornalisti come Dino Battaglia e Andrea Pazienza, Vittorio Giardino e Vincenzo Mollica, Umberto Eco e Christian Kracht. Il grande Frank Miller gli dedicò una storia di Sin City<span class="apple-converted-space"> </span>dal titolo<span class="apple-converted-space"> </span><i>Notte silenziosa</i>, e anni prima
aveva chiamato Corto Maltese un’isola nella miniserie<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Il_ritorno_del_Cavaliere_Oscuro" title="Il ritorno del Cavaliere Oscuro"><i><span style="color: windowtext; text-decoration: none; text-underline: none;">,</span></i></a> citazione che è
stata ripresa anche nel film<i> Batman</i> del 1989 di Tim Burton.
Hugo Pratt in quanto tale è poi il protagonista del libro <i>Un romanzo d’avventura</i> del suo amico narratore Alberto Ongaro.
Infine, nel 2014 la casa editrice Sellerio ha mandato in libreria <i>Il Corvo di pietra</i>, un romanzo
direttamente ispirato alla sua opera e che racconta la giovinezza del marinaio
Corto Maltese. L’autore conobbe Pratt alla fine degli anni ’80 in una maniera
molto particolare: era il suo nuovo dentista e parlando di lui di viaggi, di
letteratura, di cinema e avventure divenne suo grande amico al punto che il
grande Hugo inventò per lui lo pseudonimo di Marco Steiner. “Avevamo letto – ricorda l’autore del <i>Corvo di pietra</i> – gli stessi libri: da
Kenneth Roberts, Stevenson a Jack London, da Conrad, Melville fino a Bruce
Chatwin…”. <o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Perché, infatti, se
c’è una cosa da cui partire è che Pratt era un uomo di una cultura sterminata.
Con i suoi fumetti era pervenuto, togliendo linee alla vignetta, a
un’evoluzione grafica senza precedenti e spinta verso l’essenzialità dei segni.
Ma si trattava del frutto di un serio e duro lavoro partito da molto lontano,
un percorso difficile e complesso, perché “disegnare in quel modo”, diceva, “è
difficile e costa fatica”. Lui era sì veloce nel disegnare, “ma ciò non
significa nulla – precisava – perché quando io creo una storia il disegno non è
tutto da solo non basta. A me per documentarmi su ciò che vado a raccontare mi
occorre molto tempo: devo leggere molti libri, effettuare ricerche, spesso
andare sui posti di persona”. Pratt era infatti un lettore instancabile, come
racconta Antonio Carboni nel libro-catalogo – una vera e propria enciclopedia
prattiana – <i>Hugo Pratt. Tuttifumetti
(dalla straordinaria collezione di Fabio Baudino)</i>: “Lui, attento, critico,
immagazzinava con estrema facilità ciò che leggeva. Possedeva una biblioteca
vastissima composta da più di 25mila volumi. Saggistica, poesia, filosofia,
storia, geografia, i grandi classici del passato, testi antichi, tomi rari e
preziosi. Ma anche romanzi, libri di viaggi, cinema, avventura. Nelle lingue
più disparate, ne conosceva cinque-sei, ne masticava altre due-tre…”. Italiano
all’anagrafe, ma cosmopolita nel Dna, aveva l’avventura, il viaggio, lo spirito
di libertà nel sangue. I suoi miti letterari di gioventù gli erano sempre
rimasti dentro: Stevenson, Conrad, Melville, Kipling, London, Haggard, Yeats e
Rimbaud. Ma anche i meno conosciuti Zane Grey, James F. Cooper, Frederick
Rolfe, Somerset Maugham, “anche se oggi nessuno più li legge”, ripeteva. Tra
questi autori, anche Henry de Monfreid, l’avventuriero francese che durante la
guerra d’Etiopia si era schierato con gli italiani, morto a 95 anni nel ’74,
che Pratt conobbe (e che secondo alcuni ispirò alcuni tratti della figura di
Corto Maltese) e di cui Hugo illustrerà le copertine di tre romanzi per
l’editore Grasset.<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjr-5d-SvmwLhX27QDOZqXTEFSVcdsh4Y-Z5YIJ-f7GjaBYrvfpqQU5knhMHP7mw_iI2k74sM5dnQTPJ-au8MY_XSfqY5NrD8jQtUQT_9utTHrAHNsZ9XphBji_M22c3yYAkKoKR5bJApA/s1600/images.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjr-5d-SvmwLhX27QDOZqXTEFSVcdsh4Y-Z5YIJ-f7GjaBYrvfpqQU5knhMHP7mw_iI2k74sM5dnQTPJ-au8MY_XSfqY5NrD8jQtUQT_9utTHrAHNsZ9XphBji_M22c3yYAkKoKR5bJApA/s1600/images.jpg" /></a></div>
<div style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt;"><br /></span></div>
<div style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 16.8pt;">D’altronde la vita
stessa di Pratt coincise con l’avventura. I Pratt erano d’origine
anglo-normanna, scampati alla rivoluzione del 1688, mentre la famiglia materna
era d’origine toledana, ebreo-sefardita, e la moglie del nonno era una Azim
turca diventata veneziana. Lui nacque a Rimini </span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 16.8pt;">durante
una vacanza dei genitori il 15 giugno del 1927. </span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 16.8pt;">Figlio di Rolando,
un militare di carriera che aveva lavorato anche alla Bonifica pontina, morto
nel 1942 </span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 16.8pt;">in
un campo di concentramento francese </span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 16.8pt;">dopo
essere stato preso prigioniero, e di Evelina Genero, a sua volta figlia del
poeta popolare veneziano </span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 16.8pt;">di
origini marrane Eugenio Genero</span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 16.8pt;">, il fondatori dei Fasci di combattimento a Venezia. La sua
vita si sviluppò soprattutto intorno alla città di Venezia</span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 16.8pt;">;
qui sono ambientati ben due suoi fumetti</span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 16.8pt;">: </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 16.8pt;">L’angelo
della finestra d’oriente</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 16.8pt;"> e </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 16.8pt;">Favola di
Venezia</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 16.8pt;">.</span></div>
<div style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt;">Allo scoppio
della seconda guerra mondiale la famiglia
di Pratt si trovava in Etiopia, dove il padre era stato arruolato nella Polizia
coloniale. Nel 1941 la famiglia Pratt fu internata in campo di concentramento
a Dire Daua dove
il padre morì nel 1942. Un anno dopo Pratt poté rientrare in Italia grazie all’intervento
a favore dei prigionieri della Croce Rossa e
a Città di Castello frequentò fino a
settembre un collegio militare fascista. Nel 1943, torna a Venezia e fu
per breve tempo <i>marò</i> della Decima Mas militando nel
Battaglione Lupo finché la nonna lo costrinse a ritornare a casa. Nell’autunno del ’44, invaghitosi di una bella ausiliaria germanica, rischiò invece di
essere fucilato dalle SS,
che temevano fosse una spia sudafricana.
Nel febbraio 1945,
comunque, Hugo passa la linea del fronte. Prima si imbatte nei partigiani, tra
i quali incontra alcuni suoi vecchi amici: “Ma – ha raccontato nel romanzo
autobiografico <i>Le pulci penetranti </i>–
non ci ho resistito molto tempo, nemmeno una settimana: facevano finta di fare
maledettamente sul serio”. Poi arriva a
indossare la divisa degli alleati, facilitato dalla sua perfetta conoscenza
della lingua inglese. Il 24 aprile entra a Venezia inquadrato e vestito come
giovale militare scozzese, poi, ancora per spirito goliardico e avventuroso,
indossa una divisa con la mostrina irregolare su cui spiccano le fantasiose
iniziali I.S., “individual soldier”. Una divisa che gli servì, come ha
raccontato, soprattutto per rimorchiare ragazze…<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-weight: bold; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Dal 1950
in poi, i suoi spostamenti: prima l’Argentina, quindi Londra, di nuovo
l’Italia, tra Milano e Genova, quindi Parigi, di nuovo Venezia e, infine, la
Svizzera. E i suoi tanti, tantissimi viaggi, in tutto il mondo. E le sue
stsorie a fumetti, apparse, negli anni, su <i>Sgt.
Kirk</i>, sul <i>Corriere dei Piccoli</i>,
su <i>Linus</i>, sul <i>Corriere dei Ragazzi</i>, su <i>Pif
Gadget</i>, su <i>Pilot</i>, su <i>L’Eternauta</i>, su <i>Corto Maltese</i>… E i suoi libri, di letteratura e scrittura: <i>Le pulci penetranti</i>, <i>Aspettando Corto</i>, <i>Avevo un appuntamento</i>, <i>Il
romanzo di Criss Kenton</i>, <i>Jesuit Joe</i>,
oltre alle versioni narrative (pubblicate e ripubblicate sino alle definitive
edizioni Einaudi) delle principali storie di Corto Maltese, <i>Una ballata del mare salato</i> e <i>Corte Sconta detta Arcana</i>, sino alla
affascinate autobiografia <i>Il desiderio di
essere inutile</i>.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-weight: bold; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Tra i
tanti che ne hanno parlato, il cantautore Bruno Lauzi ha raccontato di quando,
nella Pasqua del ’75, lo incontra all’aeroporto di Linate. Aveva una lunga
sciarpa rossa e l’aria bonaria. Lo guarda e gli fa in veneziano: “Lu l’è il
Lausi”, con la esse. E il musicista: “E lei è Pratt. Io sono un suo ammiratore
dai tempi dell’Asso di Picche”. Ne viene fuori un invito a pranzo a
Saint-Germain-en-Laye, da lui. E finisce che Hugo disegna un Corto per
festeggiare l’incontro: “Mentre lui disegna – rievocava Lauzi – gli registro un
samba improvvisato che intitolo <i>Samba per
Corto</i>. Quel suo disegno ha sempre vegliato su di noi sulle parti della mia
casa, moderno Lare…”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-weight: bold; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Del grande
Hugo resta infine da precisare il particolare orientamento libertario, che lo
ha sempre caratterizzato. Tanto che, paradossalmente negli anni ’70, quando
vennero messi al bando gli scrittori d’avventura che avevano alimentato i
“sogni di libertà” della sua generazione, finì per venire accusato – contemporaneamente
– di “libertarismo” e di “fascismo”. Ricordava lo stesso Pratt che in quegli
anni si era quasi costretti “a rispolverare Marx ed Engels, autori – annotava –
che dovetti frequentare ma che mi annoiarono immediatamente. Visitai anche
Marcuse e qualche altro ma tornai ai classici dell’avventura. Venni allora
accusato di infantilismo di edonismo e di fascismo”. Critiche che si
ribaltarono in fastidi e rappresaglie. Dopo infatti un anno di lavoro alla
rivista di fumetti francese <i>Pif Gadget</i>,
Pratt venne licenziato perché l’editore, vicino al partito comunista di Francia
e tutto preso da storie di impegno e militanza, giudicava eccessivo il
libertarismo che anima i fumetti di Corto Maltese.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-weight: bold; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgwhaRX65V8SGpjPjhV4spa4WGKHNWPaXbCHr5I1HVzHo5gRKw0n41JnCYpl1c7WCybIOoitW7MdfH149dKwvdrbPxwZ3a8yO5mJdh0GLSNt0bXBuRKSZzEX-n-FxrkeyOyu2sQjgO4SXo/s1600/xxx.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgwhaRX65V8SGpjPjhV4spa4WGKHNWPaXbCHr5I1HVzHo5gRKw0n41JnCYpl1c7WCybIOoitW7MdfH149dKwvdrbPxwZ3a8yO5mJdh0GLSNt0bXBuRKSZzEX-n-FxrkeyOyu2sQjgO4SXo/s1600/xxx.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-weight: bold; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-weight: bold; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-weight: bold; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">In
un’intervista a Vincenzo Mollica sarà comunque lo stesso Hugo a chiarire il suo
pensiero e il fatto che l’arte è un terreno di per sé irregolare e sfuggente a
qualsiasi inquadramento militante: “Il fatto che io sia un libertario, e spero
che questo traspaia dalle mie storie, non m’impedisce di leggere Kipling. Ci
sono molti che dicono che non leggeranno mai Ezra Pound perché era fascista e
perché non appartiene a quella cultura che tendenzialmente è marxista e
leninista ma io non credo che Ezra Pound debba per forza essere identificato”.
E la sua memoria correva dritta ai vecchi ricordi del poeta americano, che Hugo
incontrava per le calli della sua Venezia: “Una volta mi ha guardato, fisso a
lungo, si è fermato, poi ha fatto un segno. Come per dire: ‘Ci conosciamo’…”.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 16.8pt; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-weight: bold; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Anticonformista
nelle idee e nella vita, Pratt avrà in Corto i segni della sua stessa biografia:
dall’infanzia tra Venezia e l’Africa ai lunghi anni argentini, dal Brasile a
Cordoba, dall’amicizia con profughi tedeschi o russi alla passione non
militarista per le divise sino a quella per le donne che gli farà mettere al
mondo sei figli da quattro madri diverse. Tutto incuriosiva Hugo: “La mia vita
– diceva – è colma di sorprese e di piaceri. Le mie numerose ricerche in ogni
campo mi hanno permesso di meglio comprendere il mondo e me stesso”. Ma, sempre,
senza mai prendersi troppo sul serio: “Quando ripenso a coloro – sentenziò –
che mi accusano di essere inutile, e a quello che giudicano utile, allora, a
loro confronto, non solo provo piacere a essere inutile, ma ne sento il
desiderio”.<o:p></o:p></span></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-9443839483976767922015-05-24T10:49:00.003-07:002015-05-24T12:30:34.088-07:00L'italiano nato a Giava e cresciuto in campo di concentramento tra il '40 e il '46 <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgOQB5F77GvM3LvV8LSI9RfpkGTm5HCTih2-ilutGxyKoVBkve8BzMQX4b9cxOTEhpd748PiFXyuBom3t3whAXJ3NEIp4AKmHl-oY2CkQh5CCBA_RNSuWE1Cb6opH8OqEBDYB6EYjnG8Fs/s1600/aaa.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgOQB5F77GvM3LvV8LSI9RfpkGTm5HCTih2-ilutGxyKoVBkve8BzMQX4b9cxOTEhpd748PiFXyuBom3t3whAXJ3NEIp4AKmHl-oY2CkQh5CCBA_RNSuWE1Cb6opH8OqEBDYB6EYjnG8Fs/s1600/aaa.jpg" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><b>Luciano Lanna</b><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Tra le mie letture preferite
ci sono, prima di tutto, le autobiografie, la memorialistica, la narrativa che
ripercorre storie personali e familiari. Sono i testi che ci aiutano a
conoscere la storia vera, le vite e la vita di persone reali di cui possiamo percepire
la scansione autentica senza il filtro di narrazioni ideologiche e filtri di
interpretazioni generali spersonalizzanti. Ultimo di questi testi in cui mi
sono imbattuto, e assai favorevolmente, è <i>Ombre
lunghe</i> di Pier Luigi Giorgi (Cromografica-Gruppo Editoriale L’Espresso,
Roma, 2014, pp. 305). Il titolo si ispira a un verso di Vincenzo Cardarelli del
1948, in cui i ricordi di ogni vita vengono paragonati a “queste ombre troppo
lunghe del nostro breve corpo”. Il riferimento va quindi ai ricordi, nel nostro
caso di Pier Luigi Giorgi, un uomo nato nel 1933 e quindi ora ultraottantenne.
Giorgi, oggi pensionato con alle spalle una lunga vita di successi professionali
come manager della Olivetti, ha svolto un ruolo importante in molti passaggi
fondamentali dell’azienda e dell’economia italiana, è stato amico e
collaboratore di personaggi come Dino Olivetti e Pier Luigi Celli, venne
assunto da giovane da Furio Colombo, ha conosciuto ed è stimato da Cesare
Romiti, ed è stato sicuramente uno dei protagonisti del boom economico. Ma
Giorgi, anche per come si racconta, è un uomo che viene da lontano. E la sua
storia, come anche le sue idee e la sua sensibilità, sono un esempio centrale
per capire la vera storia degli italiani del Novecento.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Pier Luigi nasce nel 1933 a
Lembang, un villaggio sull’isola di Giava. Il papà, dopo la partecipazione alla
Grande Guerra come Ardito, andò a lavorare, portandosi dietro la moglie, come
dirigente nelle piantagioni di gomma delle Colonie inglesi. Ma la sua identità
era certa: “Quando venne congedato, avendo militato nel battaglione che più di
ogni altro si era distinto sul Piave e appartenendo a una famiglia della
modesta borghesia agraria della Bassa Padana, era inevitabile che continuasse a
indossare la camicia nera, la stessa che aveva già portato sotto le armi con la
divisa degli Arditi”. Nel 1940, dopo quasi dieci anni da italiano cosmopolita all’estero,
il mondo si capovolge: all’improvviso la famiglia Giorgi si trovò isolata in
campo nemico – la Malesia era dominio britannico – e, inizialmente viene
prelevato il capofamiglia, portato in prigione a Singapore e poi rinchiuso per
sei anni in un campo di concentramento per civili “nemici” in Australia. Dopo
poco tempo, vennero reclusi a Tatura, uno località inospitale del Sud-Est dell’Australia,
anche la moglie, il figlio Pier Luigi e la sorellina Gabriella. Lì confluirono
tutti i cittadini italiani e tedeschi provenienti da Singapore, dalla Malesia e
da Hong Kong. E, ricorda Giorgi, “c’era anche un folto gruppo di italiani
provenienti dalla Palestina, molti dei quali, di seconda o terza generazione,
avevano sposato donne del posto e si erano convertiti agli usi e costumi locali
e parlavano arabo in famiglia. Inoltre, gli ebrei, sia italiani che tedeschi,
erano numerosissimi, soprattutto tra questi ultimi, perché erano emigrati dalla
Germania per sfuggire alle leggi razziali”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeMdZnEVEBq0HcM_j8tCRi-GyA-nIKYzxoeJWMrzLYSyvI8m7439nAFT6G8uvHPMvXVlQaHBQMUOjZoKAew3YiCsaw28HxvI0VyaqgtWF_7EXEDXChem61tHhr76Mctp5KnUCT-IBrLJQ/s1600/zzz.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeMdZnEVEBq0HcM_j8tCRi-GyA-nIKYzxoeJWMrzLYSyvI8m7439nAFT6G8uvHPMvXVlQaHBQMUOjZoKAew3YiCsaw28HxvI0VyaqgtWF_7EXEDXChem61tHhr76Mctp5KnUCT-IBrLJQ/s1600/zzz.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Tra il 1941 e il 1945 furono
ben 18mila i PoW (“Prisoners of War”) italiani ospitati in Australia: “Le
autorità militari e politiche si limitavano a controllare i passaporti: hai il
passaporto italiano o tedesco? Allora sei un nemico e come tale ti trattiamo…”.
Le abitazioni loro riservate erano delle baracche prefabbricate in compensato
con il tetto in eternit. Mancava l’acqua corrente: per questo bisognava recarsi
in fondo al recinto, dov’erano collocati i servizi igienici comuni, una baracca
con le latrine per le donne da una parte, per gli uomini dall’altra. Carta
igienica non ce n’era, ci si passavano le pagine dei vecchi giornali. E lì Pier
Luigi trascorre anni fondamentali della sua vita, dai sette ai tredici anni di età, con un professore improvvisato e un solo film visto
in tutto quel lungo periodo: <i>Fantasia</i>
di Walt Disney.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Dopo l’8 settembre 1943 agli
italiani fu chiesto se volevano passare con i cooperatori. Ma il papà di Pier
Luigi si rifiutò, non firmò l’atto di cooperazione. “You are a true gentleman,
Mr. Giorgi”, ammise in compenso l’ufficiale britannico, alzandosi in piedi e
mettendosi sull’attenti. Quindi altri tre anni di privazioni e difficoltà anche
maggiori per sé e la sua famiglia, ma vissuti sempre con serenità e ottimismo.
Giorgi rilegge quel periodo alla luce dell’opera di Viktor E. Frankl l’autore
di <i>Uno psicologo nel lager</i>, dove
racconta la sua esperienza di ebreo sopravvissuto al campo di Auschwitz: “Fu
proprio nel lager che Frankl sperimentò l’importanza di avere una missione, un
ideale, una ragione per vivere. Perché soltanto chi si era imposto un compito
specifico da assolvere, e che vi si dedicava facendo appello a tutte le proprie
risorse fisiche e morali, trovava la forza per superare le situazioni più
degradanti e ignobili”. Giorgi spiega, infatti, che anche tra gli internati
italiani a Tatura aleggiasse quello spirito e che il sentirsi, sia pure
involontariamente, coinvolti in una lunga prova esistenziali abbia rafforzato
quegli spiriti e condotti a temprare positivamente il loro carattere. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwXwnC3tlzVEd8NVdYVQ8UnlT48FZo6mqM29ltPmbVZBwV95kreIQq3IdHOoQLw9_K2NigbnLKzZI7-fZhl6Q8QpqWbd6nO86EYeqr9xjWu4J3mof7FIrgF8rfeMMnS7v6LXbcSTn80mc/s1600/zzzz.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwXwnC3tlzVEd8NVdYVQ8UnlT48FZo6mqM29ltPmbVZBwV95kreIQq3IdHOoQLw9_K2NigbnLKzZI7-fZhl6Q8QpqWbd6nO86EYeqr9xjWu4J3mof7FIrgF8rfeMMnS7v6LXbcSTn80mc/s1600/zzzz.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Buona parte degli italiani
di Singapore e di altre provenienze asiatiche, annota ancora Giorgi, erano inoltre
di origine o di religione ebraica, ma questi ultimi rimasero pacificamente
inseriti nella comunità italiana fino all’ultimo giorno: “L’eco delle leggi
razziali e delle discriminazioni antisemite dell’ultimo periodo fascista non fu
percepito oltremare, dove molti ebrei continuarono a frequentare i circoli
fascisti. In quegli anni, all’estero, bastava essere italiani per essere
fascisti e viceversa”. Ma non era così per i tedeschi: “Quelli di loro che si
identificavano col regime si trovavano di fronte, anzi decisamente in
contrapposizione con altri tedeschi, la folta comunità di ebrei tedeschi
fuggiti dalla Germania di Hitler. Nel nostro reparto del campo, infatti, gli
ebrei tedeschi costituivano la maggioranza, mentre i tedeschi nazisti erano
pochi e isolati. E non sono questi dati di fatto che si darebbero oggi per
scontati…”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Vale la pena leggere, a
questo punto, alcune righe di Giorgi: “Gli ultimi due anni a Tatura furono
caratterizzati da un’angosciosa sensazione di attesa della fine. All’udire le
pur scarse notizie trapelate all’interno del campo – relative a El Alamein e
Stalingrado prima, all’invasione della Sicilia poi, alla caduta del Duce, allo
sbarco in Normandia, allo scempio dei bombardamenti alleati sulle città
italiane e tedesche, allo sbarco e alla lenta risalita della penisola da parte
delle truppe alleate – una cupa sensazione d’impotenza, simile a una fitta
cappa nera, si era impadronita di tutti noi”. E ancora: “Qualche giorno dopo il
28 aprile del 1945, appena la notizia ci fu comunicata dal capitano di guardia
in forma ufficiale, quelli della vecchia guardia fascista organizzarono un rito
funebre per la morte di Mussolini: al momento del Vangelo, il padre cappellano
recitò la Preghiera del legionario e, al termine della messa, ci fu l’appello
al camerata Benito. Tutti, sull’attenti, risposero all’unisono: ‘Presente!’ per
tre volte e questo grido segnò la fine di un mito. Avevo soltanto dodici anni
ma ero in piedi in mezzo a loro e li ho guardati in faccia a uno a uno: credo
di aver capito e condiviso nell’intimo il travaglio di chi, più grande di me,
in quel momento sentiva tramontare per sempre le illusioni alle quali era
rimasto aggrappato in tanti anni di privazioni e solitudine”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Ci vollero le bombe di
Hiroshima e Nagasaki, a metà agosto, perché le autorità si decidessero ad aprire
i cancelli del campo e a smistare i prigionieri in Australia. Poi, a dicembre del
1946, da Sydney la nave per il rientro in Italia. Da Napoli, la risalita della
penisola verso Pavia, dove abitavano i nonni: “Papà, mamma e io – ricorda Giorgi
– indossavamo ancora i cappotti di lana grigioverde dei prigionieri di guerra,
e i ferrovieri ci guardavano diffidenti, stupiti soprattutto per la presenza di
una bambina imbacuccata che si guardava intorno con aria stralunata”. A Pavia,
sistemata la famiglia con un po’ di difficoltà nella casa dei nonni, Pier Luigi
trascorre altri sette anni, di cui gli ultimi tre in collegio. Al liceo tanto
studio e ottimi risultati, tranne che agli esami di maturità, dove un
professore lo prende di mira e gli abbassa la media: si era accorto che, in
attesa dell’interrogazione, lo studente cercava di alleggerire la tensione
leggendo<i> Candido</i>, il giornale
satirico diretto da Guareschi. D’altra parte, Pier Luigi in quegli anni di liceo
era stato attivissimo nell’organizzare manifestazioni studentesche per Trieste
italiana: “Ero io che guidavo il gruppo di studenti del classico nel liberare
quelli dello scientifico e delle magistrali, dove per entrare dovevamo
scardinare degli enormi cancelli; e dove sapevamo di trovare torme di ragazzine
che ci aspettavano festanti per sfilare al corteo al nostro fianco; ero io,
infine, che attaccavo manifesti e portavo la bandiera ai comizi del Msi”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi657mfZGLm6Iy5_6P2KxwWg8coqfOMsehy365U8Lq9UpHyBYjKIipjYvCzC80ZUUrsqiwQlAqAgBTeWwTcd_pN2qqZy4rGx0j2JCOiJExo4djVQKVcHJbpdsgKgPl51oUM4qlgIyj_efs/s1600/cccc.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi657mfZGLm6Iy5_6P2KxwWg8coqfOMsehy365U8Lq9UpHyBYjKIipjYvCzC80ZUUrsqiwQlAqAgBTeWwTcd_pN2qqZy4rGx0j2JCOiJExo4djVQKVcHJbpdsgKgPl51oUM4qlgIyj_efs/s1600/cccc.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Comunque, superata la
maturità, Pier Luigi parte in autostop insieme a un suo amico alla volta della
Scandinavia. Attraverso Svizzera, Germania, Danimarca, Svezia e Norvegia fu un
viaggio di iniziazione che avrebbe segnato la sua vita e il suo spirito.
Quindi, l’università, sempre a Pavia. Qui Giorgi fu il promotore della prima
lista del Fuan. Le elezioni non andarono bene, soprattutto per alcuni brogli
messi in atto dalle altre liste. Giorgi se ne fa una ragione: “Non ebbi bisogno
di pensarci su molto: decisi che da quel momento non avrei più sprecato tempo a
occuparmi attivamente di politica, né all’università né in altre sedi”. Ma
leggendo il libro si comprende bene che il suo orientamento sia rimasto sempre
lo stesso e che anche le sue simpatie, anche elettorali, siano andate nella
stessa direzione. Solo che Pier Luigi si è occupato d’altro nella vita: della
costruzione del suo carattere, della sua curiosità intellettuale, della sua
famiglia, del suo lavoro. E a leggere bene tutte le pagine, estremamente
interessanti e coinvolgenti che dedica a questo, saltano molti stereotipi e si
scardinano molti luoghi comuni. A cominciare dalla descrizione dell’anno che ha
trascorso negli Stati Uniti per una borsa di studio di preparazione al lavoro
nell’Università di Tulane in Louisiana. Pier Luigi rimase estasiato dalla
percezione di una realtà plurietnica. Gli apparvero come meravigliosi i <i>jazz funeral</i>, i funerali con processione
e jazz band della gente di colore, con l’ascolto di brani come <i>When the Saints Go Marching In</i>. E non a
caso, racconta: “C’era ancora l’apartheid e i bianchi non erano ammessi, ma noi
avevamo brigato per ottenere un’autorizzazione speciale in quanto europei e
simpatizzanti dichiarati del semiclandestino movimento integrazionista”. E Giorgi
ricorda le battaglie, che lui condivideva, di Martin Luther King. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">L’altro aspetto interessante
è la lettura che, lui e i suoi colleghi di studi, fanno in inglese di <i>On the Road</i> di Jack Kerouac, che soltanto
due anni dopo verrà tradotto in Italia: “Era il manifesto di protesta delle
correnti di avanguardia giovanili, una tormentata generazione di filosofi
mistici che si ribellavano al dilagante conformismo di massa con la loro
disperata ricerca di valori, di un nuovo senso della vita: giovani che si
esaltavano suonando o ascoltando jazz, passavano da una moto a un’auto
schiacciando l’acceleratore fino a bucarsi la suola delle scarpe, sfogando così
la loro energia, quella loro avidità di vita che sembrava non potersi placare
mai e in nessun luogo…”. E Giorgi, sulla scorta di Kerouac, percorrerà gli
States coast to coast, dall’Est alla California, con avventure, conoscenze,
entusiasmi e scoperte, dagli <i>homeless</i>
all’Ymca. Godibilissime le “pagine americane”, come poi anche quelle delle sue
prime avventure professionali.<o:p></o:p></span></div>
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: Calibri; mso-fareast-language: EN-US; mso-fareast-theme-font: minor-latin;">Al termine del libro,
Giorgi spiega come tutta quanta la sua vita sia stata mossa dall’ideale della
formazione del carattere, un percorso consapevole in cui ogni occasione è stata
utile per mettersi alla prova. “Tutto ciò che non ci uccide ci rende più
forti”, ricorda commosso, “erano le parole di Nietzsche che tante volte mi
aveva ripetuto il mio professore di tedesco e di filosofia a Tatura”. Una visione della vita che non si chiude però
mai nell’individualismo: “La mia speranza – è il suo messaggio – è che chi legge
si renda conto che la formazione personale di ciascuno di noi non è
circoscritta ai posti e ai tempi che gli sono toccati in sorte, ma che essa
attinge a un forziere ricchissimo e prezioso, pieno di tutte le storie delle
persone per noi importanti che ci hanno preceduto e che hanno vissuto in altre
epoche e in altri mondi, così lontani e diversi, apparentemente”. </span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-57227053115281274492015-05-16T01:38:00.001-07:002015-05-16T01:38:25.462-07:00Le “occasioni perdute” della politica secondo Venditti<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh55X-9B1wk1Zjybl1lxeWONCrf7xKlLzR-CMozNoQ4S8YJ5945iE0E-WkTdbwFAgakxmAYT13H6kepbUe2n-zceoOowxcR_IYwtSsTqin5i3IqB4TPI2A2D97qOGcCQu1LOMVx45HWrNI/s1600/imgres.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh55X-9B1wk1Zjybl1lxeWONCrf7xKlLzR-CMozNoQ4S8YJ5945iE0E-WkTdbwFAgakxmAYT13H6kepbUe2n-zceoOowxcR_IYwtSsTqin5i3IqB4TPI2A2D97qOGcCQu1LOMVx45HWrNI/s1600/imgres.jpg" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%;"><b>Luciano Lanna</b></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Ancora una volta Antonello
Venditti si mostra come un cantautore davvero libero da schemi e automatismi,
in piena sintonia con i nostri tempi di rottura dei vecchi sensi di
appartenenza. Intervistato da Mario Ajello sul </span><i style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Messaggero</i><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%;"> alla domanda se lui si considera di sinistra (o di
altro) sbotta: “Io non mi pongo questo problema e non me lo ponevo neanche
prima. La parola ‘compagno’ non mi ha mai entusiasmato. Io sono Antonello,
ragiono con la mia testa e mi schiero per le cose giuste in cui credo…”. E
anche quando il giornalista gli chiede se Matteo Renzi è di sinistra, risponde:
“Ma perché lei si fa questa domanda? Io a questo interrogativo, posto così, non
posso rispondere…”. Alla fine arriva l’unica definizione che riguarda sé stesso: “Il
mio cuore è ribelle”.</span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Proseguendo, Venditti
spiega che a lui non interessano le etichette ma la possibilità di creare condizioni
per cambiare le cose. E via con le “occasioni perdute” in Italia, a partire da
quel ’68 in cui “Nietzsche e Marx si davano la mano”. Una grande occasione per
cambiare l’Italia e il quadro politico, dice Venditti, la si è perduta “nel
2010, prima che cadesse il governo Berlusconi…”. Ovvio il riferimento ai
parlamentari che avevano “strappato” con l’allora premier e avrebbero potuto
determinare un’altra maggioranza e una nuova sintesi… “Poi, nel 2013, dopo le
elezioni – prosegue Venditti – se Bersani e il Movimento 5 Stelle, soprattutto
quest’ultimo, avessero parlato seriamente, si poteva anche allora cambiare il
nostro Paese”. Insomma, abbiamo perduto ben due occasioni. E adesso? “Dopo
questi passaggi, l’Italia non aveva alternativa. C’era soltanto Renzi. Gli
altri sono stati non soltanto lenti ma inconcludenti. Adesso la speranza è che
in il Movimento 5 Stelle, composto in realtà da tante anime e da tante
posizioni, sia capace di entrare in un discorso costruttivo, se fosse possibile”. <o:p></o:p></span></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-56236175265307753962015-04-03T05:59:00.001-07:002015-04-03T09:40:19.923-07:00Addio a Giampiero Rubei, nel suo locale quello strano mix tra Tolkien e Charlie Parker<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhf0GyOsHcEDIp9km2Fwtpif-RdULGTGsul6JfDsrF_hUosYKvTlkubkatpFzHz0w2q8YCm7f1zWjWAAXfhG0FUmuK1Dxqay2U-Jl6B4L5EGH_tOWLmLFB9bEiZ35NMw2kRRukoRP1RCqw/s1600/11091187_623556461107958_8216279519773790339_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhf0GyOsHcEDIp9km2Fwtpif-RdULGTGsul6JfDsrF_hUosYKvTlkubkatpFzHz0w2q8YCm7f1zWjWAAXfhG0FUmuK1Dxqay2U-Jl6B4L5EGH_tOWLmLFB9bEiZ35NMw2kRRukoRP1RCqw/s1600/11091187_623556461107958_8216279519773790339_n.jpg" height="211" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><b>Luciano Lanna</b><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Quando, nel 1997, ho
collaborato a un programma televisivo della Rai che doveva raccontare e
spiegare cos’era successo in Italia nel 1977, andai convinto a intervistare,
tra gli altri, Giampiero Rubei, lo straordinario personaggio che ci ha lasciato
a Roma ieri mattina. Proprio nel ’77, infatti, si era determinata una “rottura”
generazionale, anche se non sempre consapevole, nell’immaginario della società
italiana secondo cui, sia a sinistra che a destra, nel mondo giovanile si
scopriva un nuovo modo di comunicare e partecipare al proprio tempo. E
Giampiero Rubei, pur se da una prospettiva difficile e non allora
maggioritaria, ne era stato tra i protagonisti, per quanto improvvisati e un
tantino inconsapevoli. E il cui lavorio e impegno sarà destinato a durare nel
tempo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Come ha spiegato il
compianto Renato Nicolini, “alcuni fenomeni di quell’anno stavano indicando nuovi modelli di
comunicazione politica”. E in effetti l’elemento unificante dei fermenti che trovarono
manifestazione in tante cose del ’77 stava probabilmente in un fattore
sociologico: la crescita e la consapevolezza sociale di un nuovo ceto medio
creativo. E sarà infatti sul filo dell’esperienza esistenziale e della
comunicazione che si giocò la novità dei fenomeni emersi in quell’anno e che segneranno nei decenni
successivi i nuovi luoghi e i nuovi linguaggi della società italiana. Era la
cosiddetta metapolitica, il privilegiare l’immaginario, le idee, la mentalità
rispetto a una politica intesa solo come elezioni e acquisizione di spazi di
potere. Tra cui, appunto tutto ciò che sperimentò da allora in avanti Giampiero
Rubei…<o:p></o:p></span></div>
<div style="border-bottom: solid #AAAAAA 1.0pt; border: none; mso-border-bottom-alt: solid #AAAAAA .75pt; mso-element: para-border-div; padding: 0cm 0cm 0cm 0cm;">
<h1 style="border: none; line-height: 115%; margin-bottom: 3.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; mso-border-bottom-alt: solid #AAAAAA .75pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 0cm 0cm; padding: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; font-weight: normal; line-height: 115%; mso-bidi-font-weight: bold;">Classe 1940, romano di Roma, cresciuta tra
Monteverde e i Palazzi di Donna Olimpia, Giampiero è un bel ragazzone dai
tratti da antico legionario, che in loden e Ray-ban frequenta attivamente la
destra creativa dell’epoca, quella che si riconosce nel circolo intellettuale
di via degli Scipioni, che frequenta il pensatore tradizionalista Julius Evola,
che nel 1968, comunque, sta con gli studenti di Valle Giulia nella celebre
battaglia contro gli sbirri… Sì, Giampiero era uno di quelli che – sampietrini
alla mano – affronta e sfida la repressione dei poliziotti e che consentirà al
cantautore Paolo Pietrangeli di celebrare il giorno in cui “non siam scappati
più…”. Un “fascio” eretico e curioso, più un “fascista immaginario” che un
destrorso, appassionato alla lettura di Céline e </span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; font-weight: normal; line-height: 115%;">Jünger</span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; font-weight: normal; line-height: 115%; mso-bidi-font-weight: bold;">, che agli attivisti duri e puri preferisce la frequentazione degli
irregolari. Tanto che si schiererà col centro studi di Pino Rauti e aderirà al
Msi solo nel 1969 con l’adesione di quel gruppo al presunto processo di
rinnovamento ventilato dal nuovo segretario Giorgio Almirante. Coerentemente Rubei
diverrà segretario della sezione romana di Monteverde in quei primi anni
Settanta fatti di scontri, equivoci, sangue e lutti… Esilaranti gli aneddoti
che raccontava su quel periodo, quando Giampiero insieme agli amici Carlo
Carocci, professore di scuola da poco anche lui scomparso, e Virgilio Ilari,
oggi accademico di vaglia e uno dei massimi studiosi italiani di geopolitica e
storia militare, andavano di notte ad attaccare i manifesti senza dirlo alle
rispettive mogli. Come quella volta che per quella affissione si tolsero le
scarpe per montare uno sull’altro, e a manifesti attaccati non trovarono più le
scarpe e dovettero tornare a casa scalzi subendo i rimbrotti delle consorti…</span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; font-weight: normal; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></h1>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Bene, proprio nel ’77
Giampiero – che nel frattempo era stato anche il custode dell’ultimo respiro di
Evola e l’esecutore testamentario delle volontà del maestro – fu tra gli
ideatori e organizzatori del Campo Hobbit, una due giorni di happening dei
ragazzi di destra all’insegna non degli slogan e della militanza ma del nuovo
modo di essere dei giovani: la grafica, i fumetti, le radio libere, la poesia,
l’ecologia, l’alimentazione, i gruppi musicali, i cantautori, in una parola… la
creatività. Era l’anno in cui lo hobbit Frodo Baggins diventava il simbolo di
una nuova destra giovanile. Nascevano circoli culturali dai nomi tolkieniani,
veniva fondata l’associazione La Terra di Mezzo, si inaugurava la rivista
d’impegno femminile <i>Eowin</i>… E si imponeva, anche a destra, un nuovo modo
di vivere e praticare l’impegno, oltre i cortei militarizzati, gli slogan e i
comizi. Non a caso lo scrittore di sinistra Piero Meldini arriverà a scrivere
solo un anno dopo: “Poniamo che qualcuno di noi abbia uno spiccato interesse
per la letteratura fantastica. Che farà? La tratterà come una perversione da
coltivare in gran segreto o si iscriverà, per amore di coerenza, al Fronte
della Gioventù?”. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Giampiero Rubei non si
fermerà, comunque. E tre anni dopo realizzerà – insieme a Teodoro Buontempo e
Umberto Croppi – il terzo Campo Hobbit, il culmine di un tragitto e di un
processo di consapevolezza politica, culturale e, per lui e qualcun altro,
anche professionale. Dopo una serie di esperimenti – una manifestazione
musicale nel 1982 con le band di tutte le scuole medie superiori romane,
qualche concerto musicale – Rubei punta tutto sulla creazione e affermazione di
un locale, l’Alexanderplatz di via Ostia, nel quartiere Trionfale, che in breve
si affermerà come il migliore jazz club italiano. E a poco a poco, proprio nel
jazz, Giampiero troverà la sua vera vocazione umana, metapolitica e
professionale. “Nel jazz – ha spiegato una volta – c’è il linguaggio
adrenalinico del Novecento, la vitalità dell’improvvisazione, la forza
dell’elementare…”. Quel locale diverrà un punto di ritrovo fisso per gente come
Chet Baker, per lo scrittore beat Gregory Corso, verrà frequentato da Fausto
Bertinotti, da Renzo Arbore, da Nanda Pivano, da Giancarlo Governi, dallo
scrittore Filippo La Porta, dal compianto Gianni Borgna. E negli anni Novanta
Rubei darà vita a uno dei più importanti festival italiani di musica e sonorità
afro-americane: Jazz & Image a Villa Celimontana. Qui si esibiranno i
maggiori musicisti sul piano internazionale, da Michel Petrucciani a Wynton
Marsalis, da Dionne Worwick a Burt Bacharach, da Sarah Jane Morris a Luis
Bacalov. E da Rubei si faranno conoscere italiani come Stefano Di Battista e
Ada Montellanico ma anche, gli argentini, Aires Tango. E arriveranno i
riconoscimenti da oltre Oceano: <i>Downbeat</i>,
la prestigiosa rivista internazionale di jazz, arriverà a celebrarlo in prima
pagina con tanto di foto a cinque colonne, coronando così un lungo percorso di
una passione autentica. Nel jazz Rubei aveva ritrovato – e individuato – la
declinazione creativa di tutto quanto aveva assorbito negli anni dalle sue
letture, dalle sue passioni, dal “suo” Sessantotto, da Evola, da Kerouac, da
Céline.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Ma tutto il suo percorso
venne sempre pensato come coerente e intrecciato. Tanto che nel 1998 a Roma,
nel corso di Villa Celimontana, Rubei fece esordire <i>Hobbit/Hobbit</i>, un’opera jazz ispirata al <i>Signore degli Anelli</i>: “Tutto è partito – raccontò – dalla mia
intuizione di ritrovare nel jazz la stessa carica di libertà e la stessa
creatività del mondo tolkieniano”. E allo stesso modo, nel 2000 e nel 2005 Rubei
fece rappresentare, sempre a Villa Celimontana, due lavori teatrali e musicali,
ispirati uno a Ezra Pound e l’altro a Céline e realizzati con il contributo del
suo amico, jazzista oltre che scrittore, Filippo La Porta. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Personalmente vorrei
ricordare la volta – era il 1996 – che Giampiero mi telefonò per propormi di
condurre una trasmissione radiofonica quotidiana in Rai insieme a un mostro
sacro della critica musicale quale Peppe Caporale. “Giampiero”, gli dissi
imbarazzato, “ma non sono un esperto di jazz…”. La sua risposta racconta tutto
il suo personaggio: “Ma che te frega, Lucià, sei un giornalista, sai parlare,
sai improvvisare… E quindi il jazz lo hai già capito… Poi, prenditi qualche
libro e studia. Piuttosto – e concluse – va’ a firmare, che poi è tardi…”.
Grazie, Giampiero, te ne sarò sempre grato.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 20.0pt; line-height: 115%;"> <o:p></o:p></span></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-78017583507238736822015-03-22T09:01:00.004-07:002015-03-22T09:13:39.657-07:00Suite francese, i tedeschi "cattivi" del film e il vero senso del romanzo<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRdIRpbEdV0YQZxpfs_t8g6HxRLZarfbfDkbrCMfeA_BnKYU2AoNg9kRoU1rXI3LEYLBjBQGOhpMylAxAPj5g8zwv1hsRa2hgfc3fc10iddBt2pW4kJJL-9G8P3-EhMJUMTzLgPvvH6Wo/s1600/suite+1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRdIRpbEdV0YQZxpfs_t8g6HxRLZarfbfDkbrCMfeA_BnKYU2AoNg9kRoU1rXI3LEYLBjBQGOhpMylAxAPj5g8zwv1hsRa2hgfc3fc10iddBt2pW4kJJL-9G8P3-EhMJUMTzLgPvvH6Wo/s1600/suite+1.jpg" height="213" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Annalisa Terranova</b></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Non è brutto il film di <b>Saul Dibb</b> ispirato al romanzo incompiuto <b>Suite francese</b>. Non è brutto ma poteva essere migliore, con un più onesto finale aperto al posto di quello, scadente, che fa diventare la protagonista un'affiliata della Resistenza. Anziché preoccuparsi di mostrare allo spettatore quanto erano cattivi i tedeschi, bisognava forse preoccuparsi di mostrare <b>l'essenza del capolavoro di Irene Nemirovsky, uccisa dai nazionalsocialisti ad Auschwitz nel 1942</b>. E dove risiede quell'essenza? Nel raccontare la prova dell'umanità piegata dalla sciagura e dalla guerra, quel venir fuori negli uomini e nelle donne, nell'imminenza di un grave pericolo, del lato meschino o più eroico, quel loro farsi esempi di malvagio egoismo o di mirabile dedizione. E provare, ancora, a spiegare la contaminazione con il nemico nel villaggio di Bussy. Quella freddezza con cui vengono accolti al principio i tedeschi che si trasforma in tiepida, complice accoglienza nel riconoscere lo statuto umano che va oltre l'appartenenza a una terra e a una razza. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><b><br /></b></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><b>La celebrazione dell'essere umano fatta da Irene Nemirovsky è l'affronto letterario più grande che poteva essere fatto all'ideologia della razza, all'esasperazione dei nazionalismi</b>. E all'affronto si aggiunge la sfida di raccontare l'amore tra Lucile, la francese e Bruno, l'ufficiale tedesco. Di mostrarne la bellezza e la purezza, oltre i pregiudizi e le convenzioni. L'archetipo dell'amore impossibile fornisce in letteratura il clima tragico e catartico più soddisfacente (basti pensare a Romeo e Giulietta) ma in questa coppia di <b>Suite francese</b> c'è il contesto della modernità a rendere più commovente la narrazione. Lui è un soldato qualunque, lei una qualunque borghese. Entrambi sono sposati ma non resistono, neanche razionalmente, all'emergere delle reciproche affinità elettive. Una comunione spirituale da cui non nascerà una passionale storia d'amore. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8_H0r_AtD1gpWRZCIoe3vflZXy2h9TOS03Xk6rLB1SY9Gip4J_MSmCWSnNaj3zMVxfH-RhMLVCmh_Iic3vPOP7wu9Bx0vvPejVLoDqj2xgENPn1caPLCFY_Zv2c8glpF6BYcDD2isIF4/s1600/suite+2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8_H0r_AtD1gpWRZCIoe3vflZXy2h9TOS03Xk6rLB1SY9Gip4J_MSmCWSnNaj3zMVxfH-RhMLVCmh_Iic3vPOP7wu9Bx0vvPejVLoDqj2xgENPn1caPLCFY_Zv2c8glpF6BYcDD2isIF4/s1600/suite+2.jpg" height="189" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Si tratta di due individui che soccombono alle legge spietate di un destino che non li calcola e hanno appena il tempo di scambiarsi uno dei più brevi e intensi dialoghi d'amore. " 'Io la prego, in mia memoria, di aver cura per quanto possibile della sua vita'. 'Perché significa qualcosa per lei?', domandò lui ansiosamente. 'Sì perché significa qualcosa per me'. Si strinsero la mano, lentamente". </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Ma un finale che coinvolgesse solo due esseri in preda al tumulto e alla sofferenza non poteva essere il giusto finale di un affresco come <b>Suite francese</b>: c'è quello spiare dei francesi dalle finestre il reggimento tedesco che se ne va verso la Russia, rimuginando sull'occupazione come esperienza che è prima di tutto umana (il piccolo tedesco che aveva imparato le canzoni francesi, il soldato che acquista in un negozio francese il bavaglino per il neonato che lo aspetta a casa, quell'altro che aiuta la donna francese a curare il marito), capace di determinare quello spazio di relazioni da dove scompaiono la morte e il sangue. I francesi guardano il nemico andare via e provano malinconia per quei ragazzi che forse finiranno sepolti sotto la neve della Siberia. Se ne vanno cantando un canto "lento e grave che si perdeva nella notte", un reggimento di ragazzi, di cui resta il ricordo di risate e battute. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiLrGsh7FvBcPVYl68vFYMdNWJFkCSgnbhDizx7z1eQZ3IWG0r6fiDfIzsOTgRH0uRcfKF0L7kf4MJ8dQGcemf6WnoD9FviWDYo_xugWGenKbVhSw_c70wWYwvWCzvhB28RoHBeo1rbtZI/s1600/suite+libro.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiLrGsh7FvBcPVYl68vFYMdNWJFkCSgnbhDizx7z1eQZ3IWG0r6fiDfIzsOTgRH0uRcfKF0L7kf4MJ8dQGcemf6WnoD9FviWDYo_xugWGenKbVhSw_c70wWYwvWCzvhB28RoHBeo1rbtZI/s1600/suite+libro.jpeg" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Possiamo leggere la sorte di Lucile e di Bruno come quella di un'antitesi inconciliabile tra la paziente <b>legge dell'alveare</b> e l'urgenza delle libertà individuali, il diritto alla felicità anche quando un mondo va in rovina. L'ufficiale spiega alla donna francese in cosa consiste lo spirito tedesco: "La guerra è opera collettiva per eccellenza, noi tedeschi crediamo nello spirito comunitario, così come si dice che le api hanno lo spirito dell'alveare. Gli dobbiamo tutto: nutrimento, splendore, profumi, amori...". Lei vorrebbe opporre a tutto ciò una ribellione anarchica: "Odio questo spirito comunitario di cui ci riempiono le orecchie. Su una sola cosa tedeschi, francesi, gollisti la pensano tutti allo stesso modo: bisogna vivere, pensare, amare con gli altri, in funzione di uno Stato, di un paese, di un partito. Oh mio Dio, non voglio, sono una povera donna inutile ma voglio essere libera...". Ma tutto questo stridere di pensieri opposti non fa che produrre una fantasia, una celia, una speranza che dura il tempo di una bevuta, di una breve passeggiata nella campagna dorata di giugno, una dichiarazione d'amore: "Signora, dopo la guerra tornerò. Mi permetta di tornare. Tutti questi problemi tra Francia e Germania saranno vecchi... superati... per quindici anni almeno. Una sera suonerò alla porta. Lei mi aprirà e non mi riconoscerà, perché sarò in borghese. Allora dirò: 'Sono l'ufficiale tedesco ricorda? Adesso c'è la pace, la felicità, la libertà. La porto via con me. Venga, partiamo insieme' ". </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-78414733086615841252015-02-28T00:31:00.002-08:002015-02-28T00:40:29.655-08:00Salvini, gli antifa e le allettanti promesse<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-bVgu7gR6wqI_ZTIDVFy4WRlmeZLyD81ksfbsXujGGdMX5C7SF4hZQ130NEZHBv4nHPIvU3toMaRJejmQpSeEdlE_ASQ189PeAKQhia1vLeLPXh0xt-l0fdEpV1kD69OAVPV0aQG5QKU/s1600/scontri.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-bVgu7gR6wqI_ZTIDVFy4WRlmeZLyD81ksfbsXujGGdMX5C7SF4hZQ130NEZHBv4nHPIvU3toMaRJejmQpSeEdlE_ASQ189PeAKQhia1vLeLPXh0xt-l0fdEpV1kD69OAVPV0aQG5QKU/s1600/scontri.jpg" /></a></div>
<br />
<br />
<b>Annalisa Terranova</b><br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
Pensando alle piazze contrapposte di oggi (i #maiconsalvini e i #consalvini) mi viene in mente la canzone di <b>Lucio Battisti</b>, <i>Le allettanti promesse</i>. Il cui senso è: non posso perdere tempo a parlare di cose che non hanno senso (la politica del curato contro quella della giunta, tutti lì a vedere chi la spunta, non posso parlare solo di calcio e di donne, di membri lunghi tre spanne non posso parlare...) e che pure costituiscono il contesto rassicurante in cui adagiarsi per andare avanti. Pensiamoci un attimo: <b>gli <i>antifa</i> che pensano di fare la nuova Resistenza, i fascistelli che pensano di emulare le gesta dei camerati eroici degli anni Settanta</b>. Tutto per far tenere un comizio a <b>Matteo Salvini</b>, un propagandista di livello mediocre, che dice cose prevedibili, appena appena dignificate dai consigli di un intellettuale oscillante tra anticonformismo da salotto e neofascismo all'acqua di rose. Intendiamoci: è legittimo che Salvini tenga il suo comizio (e in questo, dinanzi all'incredibile sceneggiata violenta degli eredi dell'antifascismo militante ha non solo la mia solidarietà, ma avrebbe dovuto avere la solidarietà di tutte le forze politiche). </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ma occorre fare un passo indietro e guardare la giornata odierna da una distanza di sicurezza che impedisca coinvolgimenti emotivi. Occorre pensare a quanto le piazze contrapposte siano funzionali a ciò che sta accadendo oggi in Italia e cioè la formazione di un'area di potere post-ideologica, simile ma non uguale alla vecchia Dc (perché non ne possiede la cultura politica), frutto maturo di una finanziariazzazione della politica che lascia mani libere al mercato inserendo nei parlamenti e nelle assemblee elettive personaggi che sono costruiti sulla pura immagine. <b>Per rafforzarsi questo progetto necessita di un'estrema destra lepenista e di un'estrema sinistra radicalizzata i cui leader saranno da un lato Salvini e dall'altro Landini</b>. Salvini, al contrario di un <b>Beppe Grillo</b> (che ha ormai esaurito le sue potenzialità) è molto più controllabile e prevedibile e si adatta allo schema alla perfezione. Le contrapposte mobilitazioni odierne, con le passioni e le emotività che le percorrono, sono anch'esse utilissime al clima di restaurazione neocentrista in atto (non dimentichiamo che il ministro degli Interni è Alfano, legato a Renzi e all'immarcescibile Casini). Uno schema simile agli anni Settanta che potrebbe produrre anche le stesse violenze di quegli anni, magari con un'intensità diversa ma con identico impatto psicologico sull'elettorato moderato. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Ciò che accade è il frutto di due fallimenti: quello di Berlusconi e quello di Gianfranco Fini</b>. Il primo aveva portato il vento nuovo del bipolarismo e dell'alternanza. C'erano due poli, c'erano due opzioni che però, anziché proporre una visione per il Paese, hanno prodotto un berlusconismo irrazionale e incapacitante e un antiberlusconismo odioso e infantile. Le potenzialità di un assetto politico nuovo (tra cui il superamento delle logica del nemico, l'abbandono dell'antifascismo viscerale, l'archiviazione dell'anticomunismo) sono evaporate in una serie di errori, di immobilismi, di interessi personali che hanno interagito con l'attività politica e di governo. E tuttavia quello scenario è addirittura da rimpiangere dinanzi a quello, tristissimo e plumbeo, che si profila oggi all'orizzonte.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Quanto a Gianfranco Fini, la sua operazione di trasformare la destra nostalgica in una forza matura e di governo è stata supportata (anche grazie alle scelte da lui stesso fatte sui dirigenti chiamati a interpretare tali istanze) solo da slogan e asfittici documenti. <b>Alla prova dei fatti la destra di governo è apparsa meno credibile di quanto ci si aspettava, né ha saputo abbandonare il vizio antico della subalternità </b>(prima a Berlusconi e oggi a Salvini) che nasconde un mero interesse elettorale. E tutto ciò a discapito di comunità (che sono cosa distinta dall'elettorato) che pure con dedizione, onestà e corretto spirito militante hanno cercato di fornire un contributo disinteressato a questo progetto. La destra oggi deve tornare dunque nel suo recinto ghettizzante di forza estremista, protestataria, in ultima analisi inservibile. E meglio se ogni tanto si arriva a qualche scontro fisico con gli avversari. Il renzismo gliene sarà grato. </div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-46375590182685453182015-02-25T09:57:00.002-08:002015-02-26T11:33:05.895-08:00Ma la "sottomissione" di Houellebecq non è una "conversione"<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhlQufVFjnhvUNuDGLg5NUjuc97WYCRZuD8V58fztHP141DD7YOkt5g3O3Ig7sl0e0XakDOx5g46lVRK-98BI3_t0O6It9L2pwO6q_J2Q5u1cRrE-rx-eX56ZJBhZtkEEpR1CZ0p2Ks3so/s1600/sss.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhlQufVFjnhvUNuDGLg5NUjuc97WYCRZuD8V58fztHP141DD7YOkt5g3O3Ig7sl0e0XakDOx5g46lVRK-98BI3_t0O6It9L2pwO6q_J2Q5u1cRrE-rx-eX56ZJBhZtkEEpR1CZ0p2Ks3so/s1600/sss.jpg" /></a></div>
<br />
<span style="background-color: white; color: #222222; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%; text-align: justify;"><b>Luciano Lanna</b></span><br />
<span style="background-color: white; color: #222222; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%; text-align: justify;"><br /></span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">“Se
attualmente c’è qualcuno, nella letteratura mondiale e non solo francese, che
pensa questa sorta di enorme mutazione che tutti noi sentiamo essere in corso
senza avere i mezzi di analizzarla, e che non concerne soltanto la civiltà occidentale
ma lo status dell’umanità, questi è lui…”. Il riferimento è a Michel
Houellebecq e al suo romanzo <i>Sottomissione
</i>(Bompiani) e a sostenerlo è un altro grande scrittore francese a noi
contemporaneo, Emmanuel Carrére, autore del recentissimo <i>Il Regno </i>(Adelphi).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Il romanzo
di Houellebecq, comunque, a leggerlo (e saperlo leggere) bene non è affatto –
come molti pensano o cercano di farlo pensare – una denuncia “à la Fallaci”
sull’invasione musulmana o sulla minaccia jihadista in corso ma un libro sulla più
complessa e contraddittoria mutazione di civiltà che l’Europa starebbe
attraversando. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span class="apple-converted-space"><span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Che il libro sia la cronaca
di una mutazione attraverso le vicende di un personaggio-io narrante è un dato
di fatto. </span></span><span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Il protagonista è una tipica
figura houellebecqiana: docente universitario, specialista di Huysmans, vive
solo e sradicato, non vede i familiari e i parenti da decenni, non ha legami
affettivi stabili, non crede in nulla. Si scalda, da solo, piatti al microonde,
sperimenta solo rapporti erotici prima con
una ragazza ma che la sua onestà patologica gli impedisce di amare. Non aspira
che ad andare a dormire verso le quattro del pomeriggio con una bottiglia di
alcol forte, una stecca di sigarette, una pila di buoni libri che non molti
ormai leggono, e la prospettiva a questo ritmo di morire rapidamente, infelice
e solo. Ovvio che la sua esistenza è pensata e descritta da Houellebecq come
quella di milioni di persone in una postmodernista società globale sempre più diffusa… <span class="apple-converted-space"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Ma il romanzo, a un certo
punto, introduce la trasformazione in corso della percezione pubblica della politica
attraverso la descrizione della <span style="background: white; border: none windowtext 1.0pt; mso-bidi-font-weight: bold; mso-border-alt: none windowtext 0cm; padding: 0cm;">elezione presidenziale francese del 2020</span><span style="background: white;">. Nella precedente tornata, quella del 2017, François Hollande era stato
rieletto per sbarrare la strada a Marine Le Pen, ma intanto s’era manifestata
una nuova forza politica: la Fratellanza musulmana. Il suo leader, Mohammed Ben
Abbes, è un musulmano francese, dal fisico rassicurante del “vecchio droghiere
tunisino di quartiere”, che non si riconosce nell’antisemitismo, sostiene la
causa palestinese ma con circospezione, recluta i suoi seguaci ben al di là
delle popolazioni musulmane. La situazione è quindi inedita: i due grandi
partiti, di centrodestra e di centrosinistra, attorno ai quali si strutturava
la vita politica francese, ma non solo, dalla fine della seconda guerra
mondiale, sono ormai fuori gioco, privi di funzione e rappresentanza. Così come
perdono di centralità i media e il loro teatrino a buon mercato: “La brutale
implosione del sistema di opposizione binario centrosinistra/centrodestra – si
legge nel romanzo – aveva inizialmente sprofondato l’insieme dei media in uno
stato di stupore ai limiti dell’afasia”. Si potevano vede i più popolari
commentatori televisivi “trascinarsi da uno studio tv all’altro, incapaci di
commentare una mutazione storica che non avevano previsto…”. Il dibattito
pubblico è cambiato, è straordinariamente diverso da quelli visti in Europa
negli ultimi decenni, ne sono cambiati gli elementi di discussione. Non più
quelli strettamente economici o di logica economici, ma semmai di ordine
morale. Non a caso, nella Francia di Mohammed Ben Abbes, riprendono vigore le
idee del distributivismo cattolico d’inizio Novecento, l’orientamento prospettato
da HIlaire Belloc e G.K. Chesterton: “La sua idea di base – ricorda Houellebecq
– era la soppressione della separazione tra capitale e lavoro. La sua forma
sostanziale di economia era l’impresa familiare; nel caso si presentasse la
necessità, per determinate produzioni, di riunirsi in entità più ampie, si
doveva fare di tutto perché i lavoratori fossero azionisti della propria
impresa e corresponsabili della sua gestione”. All’inizio del Novecento
declinato in versione cattolica, nel 2020 in versione musulmana, il
distributivismo spinge la nuova Francia verso una serie di trasformazioni:
totale soppressione degli aiuti di stato ai grandi gruppi industriali, adozione
di trattamenti fiscali molto vantaggiosi per l’artigianato e
l’autoimprenditorialità, sollecitazione ai giovani a “mettersi in proprio” più
che a cercare un posto nelle burocrazie. Il passaggio novecentesco al lavoro
salariato generalizzato, spiega ancora Houellebecq, aveva necessariamente
provocato l’esplosione della famiglia e l’atomizzazione completa della società
che, di contro, sarebbe riuscita a rifondarsi solo quando il modello di
produzione normale fosse tornato a basarsi sull’impresa individuale e
familiare. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Su questo
sfondo, nelle pagine di <i>Sottomissione</i>,
mentre la mutazione di civiltà avviene, all’inizio, si è leggermente turbati
nel non vedere più, da nessuna parte, donne che indossino la gonna né, ben
presto, donne che frequentino i luoghi pubblici, ma la Francia ritrova comunque
un ottimismo che aveva perso dalle “Trente glorieuses” (i trenta gloriosi anni
di crescita economica dalla fine della seconda guerra allo choc petrolifero).
Visto che le donne escono dal mercato del lavoro, la curva della disoccupazione
si inverte e si ridefinisce una sorta di società tradizionale e organica… Ed è
proprio sull’organicismo come alternativa al nichilismo e al disincanto
postmoderni che si dipana la trama (come la riflessione filosofica e politica)
dell’intero romanzo. La religione e la spiritualità in quanto tali non
c’entrano nulla: in gioco entra semmai una certa idea della religione come
collante di civiltà, che porta i protagonisti a vivere e praticare l’adesione a
una fede come risoluzione ai problemi personali e sociali. E se all’inizio del
Novecento l’opzione era quella del cattolicesimo così come prospettato da
Charles Maurras e altri autori – progenitori degli identitari e lepenisti di
oggi – Houellebecq delinea un analogo processo possibile attraverso l’adozione
dell’islam. Non è un caso che, nel romanzo, molti ex identitari di estrema
destra passano direttamente all’islam dopo averlo contrastato scoprendo, in
realtà, che la prospettiva possibile è assai simile… E il punto culminante del
libro è la conversazione del
protagonista con un il nuovo rettore della Sorbona islamizzata che, autore di
una tesi su René Guénon, è passato dagli ambienti identitari per approdare
all’islam. Tutto sommato, è forse nelle osservazioni condotte sugli scrittori
cattolici di fine Ottocento e inizio Novecento – Huysmans e Bloy in primis, ma
anche Maurras – si può cogliere l’essenza del romanzo insieme alla sua
incomprensione di fondo del vero cristianesimo. È infatti vero che la
prospettiva viene prospettata come “sottomissione” a una fede e non come
“conversione”, interiore e spirituale. Il narratore alla fine del romanzo si
converte. Ma si tratta di una vera conversione o, piuttosto, di una risoluzione
ai suoi problemi di vita pratica, tutti umani troppo umani (il posto di lavoro,
l’unione e la convivenza con una o più donne, l’alternativa alla solitudine e
al non senso, una rete di contatti e amicizie)? Tutto questo emerge chiaramente
nella non comprensione della visione e della “conversione” di Charles Péguy,
che viene citato come convertito ma di cui, nel libro, non traspare nulla delle
pagine speranza e della trasformazione del cuore apportate dall’incontro con
Cristo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Ribadiamo
che la “sottomissione” del protagonista del romanzo non ha nulla di spirituale
ma viene descritta solo come l’approdo a un orizzonte organico da parte di un
soggetto disorientato e vuoto che vi si appiglia – come disperato – quale ultima
spiaggia. Niente di diverso, sia ben chiaro, dalla visione del cristianesimo
fatta propria da Maurras, una modalità di presentare il cattolicesimo come
strumento politico e quale collante organico della civiltà occidentale. Tesi
che presentava la presunta identità cristiana non come una prospettiva di fede,
di speranza e di carità ma come sovrastruttura ideologica di unificazione
politica e di civiltà. Tesi che però già negli anni Trenta del Novecento erano
state condannate ufficialmente e sanzionate dalla Chiesa cattolica. Preparata
già dal 1913 da papa Pio X –<span class="apple-converted-space"> </span></span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">con
l’esplicito<span style="background: white;"> rimprovero di subordinare la
religione alla politica e all’ordine civile – la condanna arrivò infatti il 29
dicembre del 1926 quando papa Pio XI metteva all’indice i libri di Maurras per
decreto del Sant’Uffizio e l’8 marzo del 1927 agli iscritti all’Action
française venivano interdetti i sacramenti. Ma questi tesi, lo sappiamo bene,
hanno ripreso vigore all’inizio del nuovo millennio, attraverso la propaganda
teo-con dei conservatori statunitensi e la vulgata catto-identitaria
dell’estrema destra europea e sono, fortunatamente, state stoppate e rinviate
al mittente dal pontificato di Papa Bergoglio. <o:p></o:p></span></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">È
pensabile, allora, quello che profetizza il romanzo di Houllebecq? E cioè che
questo approccio “non spirituale” alla religione si riproponga, dopo l’epifania
della postmodernità disincantata e secolarizzata, attraverso presunte parole
d’ordine delll’islam, magari attraverso la mediazione intellettuale di Guénon,
e che gli ambienti identitari possano trovare alla fine il loro cavallo di
Troia proprio nell’islam? Come ha commentato Carrére, “non è impossibile che
l’islam più o meno a lungo termine non rappresenti il disastro ma l’avvenire
dell’Europa, come il giudeo-cristianesimo fu l’avvenire dell’Antichità pagana”.
Noi, comunque, non vorremmo che ciò che non è riuscito ai maurassiani possa
riuscire, domani, ai neo-guénoniani. Continuiamo infatti a pensare, proprio con
Charles Péguy, che la conversione non è affatto una questione di risoluzione di
vita pratica così come non è una questione di civiltà, ma un qualcosa che
riguarda (e salva) il cuore della singola persona: <span class="apple-converted-space"> “</span>Vi era il cattivo tempo anche sotto i
Romani. Ma Gesù non si rifugiò affatto dietro la disgrazia dei tempi. Egli
tagliò corto in un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Che significa
che non incriminò, non accusò nessuno. Egli salvò i singoli. Egli non incriminò
il mondo. Egli salvò”.<o:p></o:p></span></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-74327502547630707802015-02-17T10:25:00.001-08:002015-02-17T10:28:21.938-08:00E nell'Italia bigotta e dc quel giorno nacque il Piper<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdb9Q1KgxqJ1RrDbNUccWphv2IkIew3WTT_ShzeISl2qD4Lz8XprLjXwO5uKV8W-CSSznwwSaJ-eo9LDz9zpavLH_S3_IgDYMnfsa6guhO4ZuIpw03lhdeOPHP0zBKGOMI1sU3JY91xzI/s1600/10999814_778875635526369_7625234189501961279_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdb9Q1KgxqJ1RrDbNUccWphv2IkIew3WTT_ShzeISl2qD4Lz8XprLjXwO5uKV8W-CSSznwwSaJ-eo9LDz9zpavLH_S3_IgDYMnfsa6guhO4ZuIpw03lhdeOPHP0zBKGOMI1sU3JY91xzI/s1600/10999814_778875635526369_7625234189501961279_n.jpg" height="240" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="background: white;">
<b><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Luciano Lanna<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt;">Il Piper compie cinquant’anni.</span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt;"> Quel locale, che apriva
i battenti alle 21 e 30 del 17 febbraio 1965, sarà la culla italiana di tutto
ciò che fermentava nelle giovani generazioni alla metà degli anni ’60. “Il
Piper – si leggeva in <i>Roma alternativa</i>,
una guida del 1975 – fu il centro della Roma beat, freak, pop e rock”.
Attraverso il Piper fece irruzione anche da noi la cultura beat: dapprima
circoscritta alla sola musica elettrificata e amplificata, il termine si
estenderà a definire un abbigliamento, un look, un’estetica, un modo di
esprimersi e di sentirsi lontani dai vecchi schemi. Tutto parte dall’idea di
due personaggi, un avvocato e un imprenditore, che volevano aprire un locale
sul modello di quelli che i giovani frequentavano a Londra e a New York. Nacque
l’idea del Piper, che tradotto in italiano suonava pressappoco come “pifferaio”
o “zampognaro”. In realtà, soltanto le opere d’arte con cui fecero decorare il
locale di via Tagliamento 9, nel quartiere Coppedè, bastavano e avanzavano ad
attrezzare un vero e proprio museo d’arte contemporanea. C’erano due Andy
Warhol, dei Rotella, degli Schifano, dei Rauschenberg, dei Manzoni… Pop art,
beat generation e “Beatles revolution” trovavano un luogo di celebrazione a
Roma. Per la serata d’inaugurazione i due fecero realizzare manifesti a sfondo
rosso su cui campeggiava l’immagine di una bella ragazza svedese. Sopra c’era
scritto: “Apertura del Piper 17 febbraio”. Ha raccontato Bornigia: “Nell’Italia
democristiana, pruriginosa e bigotta del secondo dopoguerra, l’utilizzo di
un’icona femminile, per di più scandinava, come logo di una neonata sala da
ballo, venne subito letto, e in fondo era da leggersi, come provocazione e
intento programmatico, come il segnale di una rottura che era nell’aria e che
noi, più o meno consapevolmente, stavamo veicolando…”. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt;">A rileggere le stesse biografie dei due, entrano subito in crisi i codici e
gli schemi convenzionali di identificazione politico-culturale. Il Piper – ha
scritto il giornalista e scrittore Paolo Conti – “era infatti la scommessa
economica e culturale dell’avvocato Alberico Crocetta, a 15 anni volontario
nella Decima Mas di Junio Valerio Borghese, a 40 innamorato del rock e della
pop art, e dell’imprenditore Giancarlo Bornigia…”. Anche il quale, del resto,
si è raccontato così: “A casa mia non si faceva politica attiva, ma mio padre
era fascista, stava dalla parte di Mussolini…”. Suo padre era stato uno dei
primi a vendere automobili a Roma ed era un grande tifoso della Lazio, della
quale fu anche presidente nella stagione ’54-55… Giancarlo cercava una sua
strada e per tre anni va a lavorare in Africa. Al ritorno l’idea del locale
insieme all’amico Alberico. “Erano anni che sognavano di far ballare i ragazzi
in un locale popolare come questo” dirà all’inaugurazione l’avvocato. “Fu in
America, a New York – ha raccontato Gianni Borgna nel suo fondamentale saggio <i>Il tempo della musica. I giovani da Elvis
Presley a Sophie Marceau</i> – che andando da un night a un altro gli venne in
mente di aprirne una a Roma sul tipo di Small Paradise, un noto locale di
Harlem”. Trovati oltre 100 milioni di lire, fu Crocetta a individuare il posto,
un nuovo palazzo a due pazzi da piazza Buenos Aires. “Era un ritaglio di Londra
affacciato sui Parioli” lo definì Bornigia. Dentro si suonava una musica nuova,
si ballava in modo nuovo. In poche settimane l’onda lunga montò, ben oltre i
confini di Roma. “Il Piper – ha spiegato Tiziano Tarli in <i>Beat italiano </i>– era una zona franca rispetto all’autoritarismo di
tutte le istituzioni. Ci si vestiva come voleva, si ballava scatenati senza
inibizioni o si sedeva per terra. I ragazzi potevano esprimersi e comunicare
con le nuove regole che stavano cercando. Era un posto liberatorio, senza
formalismi”. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt;">Lì dentro si dà convegno tutte le sere il meglio del beat musicale
italiano: i Rokes di Shel Shapiro, l’Equipe 84 di Maurizio Vandelli, i Dik Dik,
Renato Zero, Caterina Caselli e, soprattutto, Patty Pravo, che verrà lanciata
proprio come “la ragazza del Piper”. Lì passano e si esibiscono, tra gli altri,
i Rolling Stones, i Byrds, i Procol Harum, i Pink Floyd, i Genesis, David
Bowie… Da lì parte il fenomeno che coinvolgerà i giovani di tutta Italia
portando, tra l’altro, nel corso del festival di Sanremo del 1966, alla
diffusione di un <i>Manifesto del beat
italiano</i>. A stilarlo sono un giovane cantautore esordiente, Lucio Dalla, il
paroliere Sergio Bardotti e un altro ex della Decima Mas, ma innamoratosi della
rivoluzione di Guevara e Castro, come l’eretico pop Piero Vivarelli (regista,
sceneggiatore, autore delle prime canzoni di Celentano). In quel manifesto, tra
l’altro, si leggeva: “Noi attingiamo alla tradizione, ma non la rispettiamo.
Una tradizione è valida solo in quanto si evolve. Altrimenti interessa solo i
musei”. E ancora: “Siamo senza alcuna riserva, decisamente contro tutti quelli
che non la pensano come noi. Prima che qualcun altro ce lo dica, riconosciamo
subito da soli la necessità di aderire a questa tendenza che, partendo da Ray
Charles, passa attraverso i Beatles e Bob Dylan”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt;">Ovviamente la reazione dei benpensanti, democristiani e comunisti essi
fossero, non tardò ad arrivare. Ha
raccontato Bornigia: “Il questore di Roma, Di Stefano, il 21
dicembre 1966 chiuse il locale nel pomeriggio dicendo che costituivamo ‘mezzo
di distrazione dei giovani con conseguente sviamento da occupazione e studi’.
Pochi giorni dopo un’interrogazione Dc, firmata da Agostino Greggi e altri,
chiedeva al Viminale di applicare la norma in tutta Italia perché ‘è dovere costituzionale dei genitori educare
i figli e sottrarli ai richiami di chi offre suggestioni per lucro’…». <o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="background: white; text-align: justify;">
<span class="span-pp"><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt;">Da sinistra, erano le
femministe di <i>Noi donne</i> ad andare
all’assalto, già il 27 marzo 1965</span></span><span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt;">: “Il Piper è un
mastodontico ingranaggio culturale basato sul mondo dello ye ye, dello shake
che dietro l’aspetto della ribellione nasconde invece una rivolta prefabbricata
che porta stampato il marchio dell’approvazione ufficiale…”. Il sociologo
Alberto Abruzzese lo ha spiegato bene: “Il Piper e la nuova musica beat? La
routine del Pci non consentiva di riconoscere come ‘cultura’ tutto questo anche
per una semplice questione di linguaggio: erano nuovi consumi culturali, come
la tv, che vedevano il partito ben poco attento. E poi era roba venuta comunque
dall’America, quindi suscettibile di riserve…”. Infine è stato Tito Schipa
Junior, il quale nel 1967 proprio lì su musiche di Bob Dylan aveva messo in
scena <i>Opera beat</i>, a ricordarlo a
Paolo Conti in occasione del quarantennale del Piper: “Nel coro cantava anche un
giovanissimo Giuliano Ferrara, alla batteria c’era Achille Manzotti, poi
produttore cinematografico. La sinistra ufficiale italiana ci giudicava borghesi
orientati verso ciò che loro consideravano disimpegno”.<span class="apple-converted-space"> Quella del Piper, concludeva Schipa Junior, </span><span class="span-pp">“fu al contrario una
rivoluzione,</span><span class="apple-converted-space"> </span>nata
dalla borghesia: come tutte le vere rivoluzioni”. Un interrogativo è quindi
lecito: non è che proprio quel vento di cambiamento, quello espressosi – anche
attraverso il Piper – tra il 1965 e il 1969, fosse in realtà la vera
rivoluzione dei costumi e della mentalità la quale, invece, i plumbei e
ideologici anni ’70 hanno poi corrotto, deviato e interrotto? Non è, insomma, che più che dalla
celebrazione della battaglia di Valle Giulia e dalla successiva
militarizzazione del mondo giovanile dovremmo, semmai, ripartire – ricercando cinquant’anni
dopo la via italiana alla modernizzazione – proprio dallo spirito della Piper
generation?</span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt;"><o:p></o:p></span></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-4933035156299915442015-02-06T09:41:00.004-08:002015-02-06T09:41:39.710-08:00Noi, che Houellebecq lo leggiamo da anni...<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikfbOXyG2dALXsEz4tijxP2vd7Kyr6rCuSUWCvYNfT5grpa8j3SN8n5qGXeLMVdaCutgxZVIecdai8_h77dM0_0RohYI6dyTJg4_QYphxKGI5SgQ1kVIbH916YCLK_IBsjmFn-DPq06p4/s1600/images.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikfbOXyG2dALXsEz4tijxP2vd7Kyr6rCuSUWCvYNfT5grpa8j3SN8n5qGXeLMVdaCutgxZVIecdai8_h77dM0_0RohYI6dyTJg4_QYphxKGI5SgQ1kVIbH916YCLK_IBsjmFn-DPq06p4/s1600/images.jpg" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="background: white; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Luciano Lanna</span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial; background-repeat: initial; background-size: initial; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%;"><br />
<br /><i>
Dopo il suo romanzo "Sottomissione" tutti leggono (o fanno finta di leggere) Michel Houellebecq... Ripubblico, tra i tanti, un mio articolo (e ne scrivevo da un decennio) su di lui del 24 ottobre 2008</i><b><o:p></o:p></b></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%;"><br />
<br />
<span style="background: white;">Che lo scrittore francese Michel Houellebecq sia
inclassificabile è più di un dato di fatto, è una verità in discutibile. «Io
sono – ha detto – troppo contro il sessantottismo per piacere a sinistra ma,
allo stesso tempo, troppo legato al tema dell’eros per piacere ai
conservatori». E mentre in Francia faceva molto discutere l’epistolario tra lui
e il filosofo Bernard- Henri Levy – <i>Nemici
pubblici</i> edito da Flammarion e Grasset – in Italia arrivava nelle librerie <i>La ricerca della felicità</i> (Bompiani, pp.
363, euro 18,00), prima raccolta di saggi dello scrittore pubblicata nel nostro
paese a eccezione del suo precedente studio su Lovercraft – <i>Contro il mondo, contro la vita</i>
(Bompiani) – uscito nel 2001.</span> <span style="background: white;">Sullo
sfondo di questi «saggi dissimulati » – così come li definisce Simone Barillari
nella postfazione – c’è, intanto, un attacco spietato al progressismo a buon
mercato e alle conseguenze esistenziali e sulla vita di relazione del
sessantottismo come ideologia del ”tutto è facile”, ”tutto e subito”: «Il
capitalismo liberale – scriveva già nel suo saggio su Howard Philip Lovecraft –
ha allargato la propria presa sulle coscienze; di pario passo sono andati
affermandosi il mercantilismo, la pubblicità, il culto cieco e grottesco
dell’efficienza economica, l’appetito esclusivo e immorale per le ricchezze
materiali. Peggio ancora, il liberalismo è passato dal campo economico al campo
sessuale. Tutte le convenzioni sentimentali sono andate in pezzi. La purezza,
la castità, la fedeltà, la decenza sono diventati marchi infamanti e ridicoli.
Oggigiorno il valore di un essere umano si misura tramite la sua utilità economica
e il suo potenziale erotico». Le conseguenze di una “modernizzazione
senz’anima” sono chiare a Houellebecq: «Il fatto che esista soltanto il
rapporto individuale fa sì che il fallimento delle coppie diventi un evento
ancora più drammatico perché la coppia rappresenta l’ultimo nucleo comunitario
che separa l’individuo dal puro mercato».</span><br />
<span style="background: white;">E non sono pochi in <i>La ricerca della felicità</i> gli attacchi alla cultura “politicamente
corretta”, come nel capitolo “Jacques Prévert è un coglione”, in cui
Houellebecq ridicolizza il facile «ottimismo» della generazione degli anni
Settanta: «All’epoca si ascoltavano gli <i>chansonniers</i>...
Innamorati che si sbaciucchiano sulle panchine, baby-boom, costruzione
massiccia di case popolari per alloggiare tutta quella gente. Molto ottimismo,
molta fiducia nel futuro e un po’ di stupidità...».</span> <o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="background: white; font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Lo
scrittore francese, autore di autentici <i>best
seller</i> come <i>Estensione del dominio
della lotta</i>, <i>Le particelle elementari</i>,
<i>Piattaforma nel centro del mondo</i>, <i>La possibilità di un’isola</i> (tutti
tradotti e pubblicati in Italia da Bompiani) arriva in quest’opera saggistica a
chiarire fino in fondo il suo pensiero. Quel ragionare fuori degli schemi che
negli anni lo ha fatto collocare sulla scia della lezione di Louis-Ferdinand
Céline. E, non casualmente, di Houllebecq aveva scritto il narratore italiano
Alessandro Baricco: «Da lui ho imparato cosa vuol dire essere di destra oggi»
(ovviamente si parla di destra culturale, della tradizione del pensiero della
crisi, non certo di politica e schieramenti partitici...). D’altronde in questo
libro leggiamo a chiare lettere: «L’errore del marxismo è stato quello di
immaginare che bastasse cambiare le strutture economiche, che il resto sarebbe
seguito. Ma il resto, come si è visto, non è seguito, Se, per esempio, i
giovani russi si sono adattati così rapidamente all’atmosfera ripugnante di un
capitalismo mafioso, è perché il regime precedente si era dimostrato di
promuovere l’altruismo».</span><span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%;"> <span style="background: white;">Efficace
il suo ricordo personale del ’68, nel capitolo “La poesia del movimento
arrestato”: «Nel maggio del 1968 – annota – avevo dieci anni. Giocavo con le
biglie, leggevo <i>Pif le Chien</i>, era una
bella vita. Degli “avvenimenti del ’68 serbo solo un ricordo, ma abbastanza
vivo. All’epoca mio cugino Jean-Pierre faceva la prima liceo a Le Raincy. Il
liceo mi appariva allora come un posto vasto e spaventoso in cui dei ragazzi
più grandi studiavano con accanimento materie difficili. Un venerdì, non so
perché, mi recai con mia zia ad aspettare mio cugino all’uscita delle lezioni.
Lo stesso giorno il liceo entrava in sciopero a oltranza. Il cortile, che mi
aspettavo di vedere pieno di centinaia di adolescenti indaffarati, era deserto.
Alcuni professori si attardavano senza scopo fra i pali della pallamano. Mi
ricordo di avere camminato lunghi minuti in quel cortile mentre mia zia cercava
di raccogliere briciole di informazioni. La pace era totale, il silenzio
assoluto. Era un momento meraviglioso...».</span> <span style="background: white;">Houllebecq,
insomma, si mostra in linea con quanto aveva affermato tempo fa decretando il
fallimento tale della cultura cosiddetta “impegnata” successiva al ’45, quella
che secondo molti – soprattutto in Italia – costituirebbe lo scenario
dell’egemonia che ancora oggi condizionerebbe il discorso pubblico: «Sul piano
della letteratura e del pensiero il crollo è quasi incredibile e il bilancio
costernante». E va giù pesante contro «la crassa ignoranza scientifica» di un
Sartre e Simone de Beauvoir, contro le «sciocchezze» di Bourdieu e Baudrillard
e tutto il «gradino di abbrutimento al quale ci avrà portato la nozione di
impegno politico». Rievocando i «misfatti» degli intellettuali di sinistra,
Houellebecq si mostra poi impietoso: «Marxisti, esistenzialisti ed estremisti di
sinistra di tutti i tipi hanno potuto prosperare e infettare il mondo
conosciuto proprio come se Dostoevskij non avesse mai scritto una riga. Hanno
almeno apportato un’idea, un pensiero nuovo rispetto ai loro predecessori del
romanzo <i>I demoni</i>? Neanche un po’». Si
torni al grande russo, quindi. Altro che Prévert.</span></span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-60376936648373076272015-02-06T05:12:00.000-08:002015-02-07T09:15:20.285-08:00Brasillach, un contestatore al servizio della vita<span style="background-color: white; color: #141823; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;"><br /></span>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibnkdiYvcVKeIj20F6mMP4L11G2mzOOlPCpUZ5Y603zgP2VA-avS-Aw6MdQT80s4E29GgoOkhSH7CwDYMTvtHrniBuvtkbrtsBDzt8Zv7IEdNGpPdiLlXiJV5t06VjRFwVNPCw7Xv-qEo/s1600/robert_brasillach.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibnkdiYvcVKeIj20F6mMP4L11G2mzOOlPCpUZ5Y603zgP2VA-avS-Aw6MdQT80s4E29GgoOkhSH7CwDYMTvtHrniBuvtkbrtsBDzt8Zv7IEdNGpPdiLlXiJV5t06VjRFwVNPCw7Xv-qEo/s1600/robert_brasillach.jpg" height="213" width="320" /></a></div>
<span style="background-color: white; color: #141823; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #141823; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #141823; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;"><b>Luciano Lanna </b></span><br />
<span style="background-color: white; color: #141823; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;"><br /></span>
<span style="background-color: white; color: #141823; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;">Oggi è la volta di <b>Robert</b></span><b><span style="background-color: white; color: #141823; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;"> </span><span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; color: #141823; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px; padding: 0px 1px;">Brasillach</span></b><span style="background-color: white; color: #141823; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;"><b>,</b> essendo il 6 febbraio il giorno della ricorrenza della sua morte. </span><span style="background-color: white; color: #141823; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;">Infatti, a tanti anni di distan</span><span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #141823; display: inline; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;">za, qualcosa va aggiunta a quanto è stato annotato negli anni scorsi. Qualcosa che ha a che fare anche con il trattamento riservato ad altri grandi scrittori o pensatori del Novecento: <b>Ezra Pound e Ernst Junger, Céline o Giovanni Gentile, Heidegger o Drieu La Rochelle</b>… Certi ambienti, forse per via una sorta di riflesso condizionato, scattano subito a rievocare il santino, il martire, il perseguitato, quasi tralasciando e censurando i contenuti, le suggestioni e le idee di cui le opere di cui gli autori in questione sono state portatori. Eppure, guardando altrove, quasi nessuno scrive di <b>Federico Garcìa Lorca, di Majakovskij, di Cesare Pavese o di Piero Gobetti limitandosi alle fini tragiche della loro biografie oppure ai loro suicidi. </b>Ma anche questo è un segnale dello sforzo che ancora occorre per restituire al dibattito pubblico e all’immaginario condiviso una visione serena e oggettiva della cultura – di tutta la cultura – del secolo scorso. C’era forse bisogno che fosse il Corriere della Sera, e solo nel 2007, a titolare un lungo articolo “Se Evola diventa il filosofo della libertà”? E c’era bisogno di un filosofo della scienza come <b>Giulio Giorello </b>per scrivere un “Elogio libertario di Ezra Pound”?</span><br />
<span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #141823; display: inline; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;"><span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; padding: 0px 1px;"><br /></span></span>
<span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #141823; display: inline; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;"><span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; padding: 0px 1px;">Brasillach</span>, allora, di cui una casa editrice (Caravella) pubblicò negli anni Sessanta i primi testi tradotti. Il 6 febbraio 1945, ad appena tre mesi dalla vittoria degli alleati in Europa, <span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; padding: 0px 1px;">Brasillach</span> veniva condannato a morte dal governo della Liberazione francese col reato di collaborazionismo. A niente varrà un appello per la grazia sottoscritto dalla stragrande maggioranza degli intellettuali francesi, da <b>François Mauriac ad Albert Camus.</b> Oltretutto, nei suoi libri c’era il senso del percorso di tutta una generazione. Uno storico come <b>Jean-Louis Loubet Del Bayle</b> cercando, nei primi anni ’70, di rievocare quella temperie in Francia titolò infatti un suo importante saggio <b>I non conformisti degli anni Trenta</b>, presentandolo proprio come il «diario di una generazione». La quale era, nei fatti, la seconda generazione di “contestatori” del ’900, i francesi che avevano 25 anni nel 1930: <b>Robert Aron, Robert <span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; padding: 0px 1px;">Brasillach</span>, Daniel Rops, Jean Lacroix, René Daumal, Alexandre Marc, Thierry Maulnier, Emmanuel Mounier, Denis de Rougemont e qualcun altro poco più grande d’età, come Drieu, Céline, Abel Bonnard, Alphonse de Chateaubriant, Lucien Rebatet…</b> Benché di origini sociali, culturali e religiose diverse, essi, per solidarietà di generazione, collaborarono alle stesse riviste, parlarono lo stesso linguaggio e sognarono insieme di rinnovare e cambiare la Francia e l’Europa del loro tempo…In Italia, fino al secondo dopoguerra, di <span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; padding: 0px 1px;">Brasillach</span> in realtà non si seppe più di tanto. Sappiamo solo che<b> Alberto Moravia </b>nel ’41 fece pubblicare la traduzione di un suo racconto (“Morte improvvisa”, del ’35), inizialmente apparso sulla rivista francese Je suis partout che era diretta proprio dal giovane intellettuale francese. Da noi, in realtà, solo nel maggio 1961, e solo grazie al coraggio di un editore non-conformista e di area socialista-libertaria come <b>Massimo Pini</b>, arriva nelle librerie <b><i>Romanticismo fascista</i> di Paul Sérant</b>, con cui per la prima volta veniva portata alla diretta conoscenza nel nostro contesto culturale quell’importante movimento generazionale. Le 350 pagine di quel saggio – ripubblicato poi nel 1971 dalle Edizioni del Borghese curate da <b>Claudio Quarantotto </b>– provocheranno curiosità, traduzioni, approfondimenti. E il primo interprete sarà <b>Giano Accame</b> con il suo saggio “Contraddizioni di un romanticismo a destra” che solleciterà anche una lunga e articolata risposta dello stesso Sérant.</span><br />
<span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #141823; display: inline; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;"><br /></span>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_7_442eRpaTb-_Ghm2J0aQHXcjcPpliDSBJeM6HWQ4a8r_bXpWP8kLuLD7KVg-Oxa0k0xUJvP-KmqX29XX-fw5t1U9FrddEF3QPDbmHgvuj6DE8ei3ZW47CzzdGAdkA3ROaN0aWfryFc/s1600/brasillach.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_7_442eRpaTb-_Ghm2J0aQHXcjcPpliDSBJeM6HWQ4a8r_bXpWP8kLuLD7KVg-Oxa0k0xUJvP-KmqX29XX-fw5t1U9FrddEF3QPDbmHgvuj6DE8ei3ZW47CzzdGAdkA3ROaN0aWfryFc/s1600/brasillach.jpg" height="201" width="320" /></a></div>
<span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #141823; display: inline; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;"><br /></span>
<span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #141823; display: inline; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;"><br /></span>
<span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #141823; display: inline; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;">È del 1964, come dicevamo, la pubblicazione per le edizioni Caravella di <b>Lettera a un soldato della classe ’40</b>, un testo coinvolgente, un diario dal carcere, in cui <span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; padding: 0px 1px;">Brasillach</span> iniziava con «caro ragazzo», rivolgendosi ai giovani della generazione successiva alla sua e si concludeva così: «Tu che mi leggerai, e che vivrai in un mondo diverso, avrai fatto la tua scelta, e guarderai le nostre disgrazie, contemporanee alla tua infanzia, con la stessa obiettività storica che noi abbiamo avuto per la prima grande guerra del secolo. Ti chiedo solo di non disprezzare le verità che noi abbiamo cercato, gli accordi che abbiamo sognato al di là di ogni disaccordo, e di conservare le due sole virtù alle quali io credo: la fierezza e la speranza». Ma perché, a differenza di altri “maledetti” come Céline o Drieu, <span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; padding: 0px 1px;">Brasillach</span> non sfonderà davvero mai in Italia nella grande editoria? Ce lo spiegava, già nel 1965, <b>Giano Accame</b>: «Perché Drieu è attuale, Céline è ancora attuale, e <span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; padding: 0px 1px;">Brasillach</span> non lo è? Perché Drieu e Céline erano dei disperati e <span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; padding: 0px 1px;">Brasillach</span> era pieno di felicità». Per cui un certo ambiente ne ha apprezzato più la dimensione tragica e l’eroismo della fine che la sua estetica e la sua visione della vita… Tardi, troppo tardi, abbiamo infatti riscoperto I sette colori, Il nostro anteguerra e La ruota del tempo. <span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; padding: 0px 1px;">Brasillach</span>, il poeta morto giovane, è stato soprattutto il cantore della giovinezza, della bellezza, della modernità con l’anima, della speranza, del cambiamento, dell’ottimismo… <b>Ha scritto Stenio Solinas: «<span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; padding: 0px 1px;">Brasillach</span> sta a Stendhal così come Flaubert sta a Céline.</b> Per i primi la vita vale la pena d’essere vissuta, per i secondi l’orrore e la stupidità che ne sono alla base fanno sì che essa non meriti altro che la sua descrizione, come un biologo che osservi al microscopio una coltura di batteri». E aggiunge: «Il grande equivoco sul quale poggia il giudizio, ideologico più che critico, nei confronti di <span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; padding: 0px 1px;">Brasillach</span> è quello di non perdonargli proprio questo atteggiamento di fronte alla vita». È vero l’ambiente degli “sconfitti” ha sempre preferito il martire allo scrittore.</span><br />
<span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #141823; display: inline; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;"><br /></span>
<span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #141823; display: inline; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;">Ma <span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; padding: 0px 1px;">Brasillach</span>, per dirne una, era invece un contestatore al servizio della vita. Era affascinato come pochi dalla magia della modernità: amava il jazz, il teatro, il cinema, i cartoni animati, la musica, i caffè, tutto ciò che era estetica. Niente di decadente, niente di recriminatorio, tanto meno nessuna tentazione conservatrice o passatista. Il fascismo stesso lui lo interpretò in maniera molto personale e intellettuale, come la rivolta dei giovani contro la decadenza e la bruttezza. «La gravità – scriveva – non è tutto nell’esistenza, e persino assai meno importante della leggerezza». Libertario, in fondo, non conformista, ribelle e vitalista, quasi anarchico. Gli piacerà ai tempi dell’occupazione tedesca la battuta di un ragazzo deluso dall’esito autoritario, oppressivo, moralistico e bigotto dei fascismi storici: «In fondo noi siamo degli anarco-fascisti». Una inclinazione che, a ben leggere, nella visione di Robert <span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; padding: 0px 1px;">Brasillach</span> è tutt’uno con l’essenza della giovinezza, il grande mito politico del Novecento. Un mito che <span class="highlightNode" style="background-color: rgba(88, 144, 255, 0.14902); border-bottom-color: rgba(88, 144, 255, 0.298039); border-bottom-style: solid; border-bottom-width: 1px; padding: 0px 1px;">Brasillach</span> così definiva: «Spirito anticonformista per eccellenza, antiborghese sempre, irriverente per vocazione».</span><br />
<span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #141823; display: inline; font-family: Helvetica, Arial, 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 14px; line-height: 18px;"><br /></span>
<span style="color: #141823; font-family: Helvetica, Arial, lucida grande, tahoma, verdana, arial, sans-serif;"><span style="background-color: white; font-size: 14px; line-height: 18px;">scritto nel 2012</span></span>Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-6061563206216218862015-02-04T00:14:00.002-08:002015-02-04T00:20:00.310-08:00Fascistelli: il film. Ecco com'era il Msi al di là delle retoriche postume<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-IlxvOQCGQOD27AqCIKfV8sQO_avITWg4kusKT_wAXG6-FrGjMB5auZPFKwMjrl-DbE0D0tN0Baqova4X-onNgGN3ckDn12XuUsxjj_UfzENWo54n9QDdiPLRK01qEAN4Svy8b8yMxTU/s1600/fascistelli.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-IlxvOQCGQOD27AqCIKfV8sQO_avITWg4kusKT_wAXG6-FrGjMB5auZPFKwMjrl-DbE0D0tN0Baqova4X-onNgGN3ckDn12XuUsxjj_UfzENWo54n9QDdiPLRK01qEAN4Svy8b8yMxTU/s1600/fascistelli.jpg" height="240" width="320" /></a></div>
<b><br /></b>
<b><br /></b>
<b>Annalisa Terranova</b><br />
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<div style="text-align: justify;">
Ho visto il film <b>Fascistelli</b>, tratto dal romanzo omonimo, dove <b>Stefano Angelucci Marino</b> fa il regista e l'attore. Lui è anche quello che il romanzo l'ha scritto. Fa teatro. E' uno di quelli che in genere a destra non trovi e che se per caso li trovi, dopo un po' se ne scappano. E nella vicenda di <b>Fascistelli </b>- tormenti e iniziazione alla politica di Vittorio Brasile, sedicenne di Civitella, paesino abruzzese fuori dalla storia - Stefano Angelucci Marino di disillusioni personali a mio avviso ne dissemina una buona dose. Il film è divertente, si nota l'impegno di superare il dilettantismo che caratterizzava pellicole più ambiziose (come <i>Sangue sparso</i>), ci ritrovi i tic d'ambiente, vecchi e nuovi, ci rintracci certe ingenuità arroganti che abbondavano tra i militanti tutti d'un pezzo. Colpisce per l'assenza di retorica e per la capacità di "tipizzazione" dei personaggi. <b>Vittorio è l'adolescente di destra in cui in tanti si possono riconoscere</b>. L'altro protagonista, <b>Tonino Fendente</b>, il segretario del Msi locale e consigliere comunale trombone, intriso di luoghi comuni sul fascismo, è il classico dirigente di partito che tutti, più o meno, abbiamo conosciuto, e per il quale manteniamo magari un affetto appena appena venato di rimprovero. </div>
<div style="text-align: justify;">
Ed ecco la storia: Vittorio, sentendosi diverso, sentendosi "contro", trova che iscriversi alla sezione del Msi del suo paese, nel 1993, possa rappresentare il massimo della trasgressione. Lì trova il dirigente di cui sopra, Fendente il fascistone, consigliere comunale che tira a campare, appagato da una sopravvivenza politica che si reputa bastare a se stessa per le gite periodicamente organizzate a Predappio. E trova anche camerati caricaturali, quelli che raccontano di risse e di performance amorose o che leggono Evola a tutte le ore del giorno. E ancora ci trova l'immancabile busto del Duce, a cui rivolge la domanda delle domande: ma tu chi sei? Perché i fascismi, nel Msi, erano tanti, e molti "immaginari". Finché l'ingranaggio di un sistema che sembrava inespugnabile si rompe, senza che i fascistelli abbiano contribuito in nulla a determinare la svolta storica (il loro merito essendo stato appunto quelli di sopravvivere e testimoniare) e la possibilità di inserirsi nel sistema (strategia del resto inseguita dal Msi fin dai tempi di <b>Michelini</b>, al di là delle retoriche postume) conquista i cuori neri. Che cosa significa a Civitella inserimento nel sistema? Spartizione degli appalti. Né più né meno. Poco per farci rinnegare Fendente come traditore. Abbastanza perché il giovane Vittorio volti le spalle a un partito dove capisce che la rivoluzione non si farà mai. E poi c'è il sacrificio, simbolico, del bravo ragazzo. L'uccisione di quell'angolo di coscienza che chi fa politica a certi livelli non può permettersi di ascoltare. O meglio si racconta questa scusa per lavarsela del tutto, la coscienza. E allora riconosciamo in Vittorio quei ragazzini che negli anni Novanta con sorprendente tenacia si offrivano alla politica in modo disinteressato, prima che An ne facesse dei carrieristi insopportabili. Mi ricordo, a tale proposito, una conversazione con <b>Tony Augello</b>. Io sostenevo che erano meglio quelli della mia generazione, che negli anni Settanta le scelte politiche conducevano a una formazione granitica, forse limitata ma di sicuro definibile come scuola di vita. Lui era più indulgente, diceva che i ragazzini che in un decennio post-ideologico bussavano a una sezione di partito erano più eroici di chi faceva gli scontri negli anni di piombo. Perché chi glielo fa fare di trascinarsi tra queste macerie? Ora, a parte i pochi che hanno ricevuto ricompensa per il loro farsi portaborse (ma sempre rivoluzionari, per carità) i molti continuano a farsi quella domanda. E magari anche a sorriderne, un sorriso amaro e liberatorio, osservando ormai distanti le gesta del camerata Vittorio Brasile. </div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-38035237077813860802015-02-02T03:24:00.001-08:002015-02-02T03:24:28.379-08:00Sorpresa: sarà il cattolicesimo a guidare la riscossa, Houellebecq ha torto...<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhglhyphenhyphenSQ8ck-0PWSi-kD4YNs9QvdkuYllK59GwN4wZIEYfzf_qSAmlRsi5O_Bqx1S7ij2LXbkVxxHESpB560vXA16BHIuwslhW756HNDGTXZR9ZTh8AVEvPbItPupn4Do95aSwn7R5AsOc/s1600/cattolici-a-San-Pietro.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhglhyphenhyphenSQ8ck-0PWSi-kD4YNs9QvdkuYllK59GwN4wZIEYfzf_qSAmlRsi5O_Bqx1S7ij2LXbkVxxHESpB560vXA16BHIuwslhW756HNDGTXZR9ZTh8AVEvPbItPupn4Do95aSwn7R5AsOc/s1600/cattolici-a-San-Pietro.jpg" height="178" width="320" /></a></div>
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<br />
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<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;">Riproponiamo di seguito un estratto di un interessante articolo di Antonio Carioti (da La Lettura del Corriere di domenica 1 febbraio 2015) su come la religione cattolica stia conoscendo un risveglio inedito a dispetto di una secolarizzazione che si vorrebbe irreversibile. Lo spunto di Carioti è lo studio di Manlio Graziano, <i>Guerra santa e santa alleanza. Religioni e disordine internazionale nel XXI secolo</i> (Il Mulino). Graziano riprende lo scenario che troviamo nel romanzo <i>Sottomissione</i> di Houellebecq ma approda a conclusioni diverse: l'Islam non dominerà in Europa e l'Occidente conoscerà una riscossa della chiesa cattolica. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
"Fornire sicurezza, afferma Manlio Graziano, sarebbe appunto il compito principale dello Stato, che però ci riesce sempre meno: 'La sua sovranità è erosa dalla finanza globale e dalle organizzazioni internazionali. In più la crisi fiscale lo costringe a tagliare i servizi sociali su cui basa il consenso. Opprime i cittadini comuni con le tasse e non li aiuta a risolvere i problemi. Così si è creato un vuoto che le religioni tendono a colmare, offrendo un riferimento identitario ma anche prestazioni assistenziali. La vita sociale non si può fondare solo sulla ricerca del profitto: la fede diventa così un correttivo rispetto all'individualismo esasperato'. Lascia perplessi l'idea che sia la chiesa cattolica la massima beneficiaria di questo processo. Non è la rinascita islamica il fenomeno più vistoso e purtroppo anche violento? '... Non bisogna sopravvalutare i fautori della guerra santa, le cui posizioni estreme non derivano dall'islam originario ma piuttosto dall'imitazione di movimenti rivoluzionari moderni. L'imperversare del Califfato, in Siria e in Iraq, è un effetto della rivalità geopolitica tra Iran, Arabia Saudita e Turchia. Boko Haram, in Nigeria, è un gruppo tribale che nobilita la sua sete di potere con il richiamo all'Islam. E va ricordato che il fanatismo sanguinario si incontra anche tra seguaci di altre religioni: in ambito musulmano ha più spazio perché l'Islam sunnita, largamente maggioritario, manca di autorità religiose investite del compito di delimitare il perimetro della legge divina, la sharia, e condannare i devianti'. </div>
<div style="text-align: justify;">
La forza della Chiesa cattolica, sostiene Graziano, risiede invece proprio nella sua struttura centralizzata e gerarchica, che ha ricominciato a far valere con Giovanni Paolo II: 'Papa Wojtyla non si è limitato a combattere il comunismo... ha opposto allo scontro di civiltà, teorizzato da Samuel Huntington, il progetto di una santa alleanza tra tutte le grandi religioni per far arretrare il secolarismo e riportare la fede al centro della sfera pubblica". (...) 'Su scala globale - dice Graziano - dal 1978 al 2012 i seminaristi sono raddoppiati e anche i sacerdoti sono aumentati, sia pure non di molto, mentre i diaconi sono passati da meno di 8mila a 41mila. In diversi Paesi, persino in Gran Bretagna, si registra una crescita della pratica religiosa cattolica. Non bisogna confondere l'Europa con il mondo'. Tuttavia la battaglia di Ratzinger sui valori non negoziabili sembra fallita, tanto che Papa Francesco l'ha abbandonata: '... La campagna ratzingeriana è comunque servita a mobilitare gruppi militanti, le minoranze creative, che hanno ridato visibilità e influenza alla Chiesa. Lo stesso Bergoglio ha smorzato i toni sulla bioetica ma ha rilanciato lo spirito missionario, che consente ai cattolici di fronteggiare la concorrenza dei gruppi evangelici in America Latina'. " </div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Antonio Carioti</b></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-49402037332172725112015-01-31T04:21:00.002-08:002015-02-01T02:53:47.979-08:00Il centenario di Merton, precursore della Chiesa di Bergoglio<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjD_eYrR0oaQFEIJoSS3mXlMCpIaGjwnlx1GcXbz_gnPmD0wNg4qTui-foscSFd-MADthXWioJEIRIX4sWeiTHEGLa6BP7alFP7HljpiEI_QMqwdghndXQIwVHqY9nLp11cKOUsCfH14P0/s1600/imgres.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjD_eYrR0oaQFEIJoSS3mXlMCpIaGjwnlx1GcXbz_gnPmD0wNg4qTui-foscSFd-MADthXWioJEIRIX4sWeiTHEGLa6BP7alFP7HljpiEI_QMqwdghndXQIwVHqY9nLp11cKOUsCfH14P0/s1600/imgres.jpg" height="152" width="320" /></a></div>
<br />
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<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><b>Luciano Lanna</b><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Cento anni fa, il 31 gennaio
1915, nasceva Thomas Merton, un poeta, uno scrittore, un monaco trappista che
con la sua opera letteraria definisce in pieno non solo l’altro Novecento, la
parte non vincente e incompiuta del secolo scorso, ma anche una grande
prefigurazione della Chiesa di Papa Bergoglio. E con lui si completano i
tasselli di quel cattolicesimo, per lo più espresso da convertiti, manifestatosi nel Novecento
nella cultura anglosassone: G.K. Chesterton, C.S. Lewis, R.H. Benson, T.S. Eliot… <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">“L’ultimo giorno di gennaio
dell’anno 1915, sotto il segno dell’Acquario, in un anno di una grande guerra,
al confine con la Spagna, all’ombra di monti francesi, io venni al mondo…”.
Così Merton esordiva all’inizio del suo libro più famoso, <i>La montagna dalle sette balze</i>, pubblicato nel 1948, e tradotto in
Italia da Garzanti già nel 1950. Il titolo di quell’opera, che era l’autobiografia
dello stesso Merton, non era altro che la riproposizione dell’immagine dantesca
del Purgatorio. E un viaggio, un percorso biografico e interiore, di
purificazione era in effetti quello descritto dall’autore. Thomas Merton, era
allora un trappista americano dal <i>pedigree</i>
decisamente novecentesco: nato in Francia da una coppia di artisti anglosassoni
(il padre, Owen, era neozelandese, la mamma americana), aveva vagato a lungo
tra l’Europa e gli Usa, inseguendo lo spirito dell’epoca, tra ricerca
intellettuale e, anche, militanza politica. Coltissimo e poliglotta, perennemente
inquieto, aderì, negli States, alle battaglie dei comunisti locali. Ma mai
convinto del tutto da quelle parole d’ordine e da quelle logiche, nauseato dal
rumore profondo e dalla violenta tipici delle manifestazioni della politica
rivoluzionaria, scoprì a un certo punto l’orizzonte del cattolicesimo. I
rivoluzionari? Così arrivò a definirli nella sua autobiografia: “Gente
rumorosa, leggera e violenta, uomini divisi da meschine gelosie e odi faziosi,
da invidie e da lotte. Urlano e si fanno avanti e in generale danno l’impressione
di detestarsi cordialmente anche quando si suppone appartengano alla stessa
setta…”. La fede cristiana gli arriva improvvisamente, una grazia dirà, attraverso
la lettura di un libro, <i>Lo spirito della
filosofia medievale</i> di Etienne Gilson. Poi approfondirà attraverso l’opera
di William Blake e gli <i>Esercizi spiritu</i>ali
di Ignazio di Loyola. La conversione piena al cattolicesimo avviene però nel
1938, quando Thomas aveva 25 anni e presagiva in qualche mondo la violenza che si
sarebbe manifestata da lì a poco nella seconda guerra mondiale. Nel 1941 il
passo decisivo: intraprende il noviziato al Gethsemani, un’abbazia trappista
(ovvero di benedettini di alta osservanza) del Kentucky dove avrebbe trascorso per il
resto della sua vita con il nome di padre Louis. Era la scelta del silenzio e
della pax monastica medievale, compiuta oltretutto in una comunità dalla
collocazione periferica anche rispetto alla carta geografica degli Stati Uniti.
Un’alternativa vera e profonda rispetto a quelle sirene dell’Estremo Occidente
che stavano egemonizzando tutto il globo…<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Pubblicato, come abbiamo
detto, nel 1948, il suo libro-autobiografia, arrivò a vendere 10mila copie in
un solo giorno, anche se il <i>New York
Times</i> non volle mai censirlo in quanto testo religioso… Ma, non solo negli
Usa, la popolarità di Merton andò crescendo, anche per la sua vastissima
produzione: testimonianze biografiche, saggi, trattati di vita spirituale,
studi sulla spiritualità zen e orientale in genere… Una popolarità sotterranea
che non accenna a diminuire neanche nei nostri anni: alcune sue frasi, ad
esempio, figurano in epigrafe agli episodi della serie televisiva <i>Criminal Minds</i>… Merton intrattenne
rapporti strettissimi con gli intellettuali del suo tempo, dal filosofo
cristiano Jacques Maritain allo scrittore maledetto Henry Miller… In
particolare, il trappista del Kentucky sviluppò un fortissimo interesse per le
tradizioni orientali non cristiane, vedendo e sottolineandone tutti i punti di
contatto con la fede cattolica. Merton va infatti ricordato come profeta dell’ecumenismo
e del dialogo interreligioso, anticipando con i suoi scritti e la sua testimonianza
quanto si esprimerà con il Concilio con l’incontro di Assisi voluto da Giovanni
Paolo II e, soprattutto con le posizioni di Papa Francesco. Nel dialogo
interreligioso, Merton fu infatti pronto ad aprirsi a induisti, buddhisti,
ebrei e musulmani, a cercare le fonti vitali di tutte le religioni (“Se affermo
di essere cattolico solamente con il negare tutto ciò che è musulmano, ebreo,
protestante, indù, buddhista, alla fine troverò che non mi è rimasto molto da
affermare per dimostrare che sono cattolico, e certamente non avrò il soffio
dello Spirito con cui affermarlo…”), oltretutto con una spiccata
predisposizione per le espressioni religiose orientali, dallo zen, al taoismo, passando
per il sufismo. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">L’altro aspetto che connette
Merton a Bergoglio – oltre alla interlocuzione e alla corrispondenza che il
trappista ebbe con Papa Giovanni XXIII – è senz’altro l’apertura fiduciosa
verso i non credenti in buona fede, un dialogo declinato nella capacità di
vedere segni di “fede inconscia” in molti atei dichiarati o di “ateismo
inconscio” in molti credenti (“Il grande problema – scrisse – è la salvezza di
coloro i quali, essendo buoni, pensano di non aver più bisogno di essere
salvati e immaginano che loro compito sia rendere gli altri buoni come loro”).
Infine, fu una vita contemplativa, quella di Merton, mai isolata dalla realtà.
Tra le sue opere tradotte in italiano, ricordiamo: <i>Nessun uomo è un'isola</i>, <i>Diario
asiatico</i>, <i>Mistici e maestri zen</i>, <i>Diario di un testimone colpevole</i>, <i>Semi di distruzione</i>, <i>Scrivere è pensare vivere pregare…</i> Sulla
biografia e l’opera mertoniana, da poco, in Italia è uscito un lavoro di
Antonio Montanari, Maurizio Renzini e Mario Zaninelli: <i>Il sapore della libertà</i> (Paoline).<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Merton scomparve, a soli 53
anni, tragicamente fulminato da un ventilatore nella stanza di un bungalow di
Bangkok, dove si era recato per un convegno di benedettini e cistercensi
asiatici. Era il 10 dicembre, l’anniversario esatto del suo ingresso al
Gethsemani. Su di lui, ha scritto il priore della Comunità monastica di Bose, Enzo
Bianchi: “Ormai dedito alla vita eremitica, Merton accosterà la figura del
monaco ad altre figure ‘marginali’ della società del suo tempo: i poeti, gli
hippies, tutte le persone ‘inutili’ di cui il mondo potrebbe benissimo fare a
meno, a scapito però del gusto della vita, della ricchezza della gratuità,
della leggerezza propria della libertà interiore”. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9OaT3S__JTMvzHr-9lhyphenhyphenS-A2UqB8bRE9bplEtiUCOW7ZTkMgLcbF1s61r0M8KQxtEMa8cYnwh8JbRWGVn4j_g5etPaHy8rYL9Kz7W69CdE-S69QRg9Eptm9-Jo6hFdNJoRh0roJsVE7Q/s1600/images.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9OaT3S__JTMvzHr-9lhyphenhyphenS-A2UqB8bRE9bplEtiUCOW7ZTkMgLcbF1s61r0M8KQxtEMa8cYnwh8JbRWGVn4j_g5etPaHy8rYL9Kz7W69CdE-S69QRg9Eptm9-Jo6hFdNJoRh0roJsVE7Q/s1600/images.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-76306228886567746642015-01-29T00:46:00.001-08:002015-01-29T00:46:08.893-08:00Ricolfi: il governo di Atene fa saltare lo schema di Bobbio<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLXd9c3S6uF67kRmYO9w2g5ZNO4-zodMd371iYYx_01tqhKdMxYkFhKk6wmD63xKKKdzJX351pDGmKJBOWGxJa0Dc-wcla2K0mhUgjyGD4WTpFYQ_A8cmB8ILQsyBG7lS5kVLZhyphenhyphenkad0s/s1600/tsipras.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLXd9c3S6uF67kRmYO9w2g5ZNO4-zodMd371iYYx_01tqhKdMxYkFhKk6wmD63xKKKdzJX351pDGmKJBOWGxJa0Dc-wcla2K0mhUgjyGD4WTpFYQ_A8cmB8ILQsyBG7lS5kVLZhyphenhyphenkad0s/s1600/tsipras.jpg" height="214" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<span style="font-size: x-small;">Pubblichiamo un estratto dell'editoriale di Luca Ricolfi dal Sole 24 Ore di oggi sul nuovo governo greco, dal titolo "Il rosso e il nero"</span><br />
<br />
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<div style="text-align: justify;">
"Chissà che cosa avrebbe detto Norberto Bobbio di fronte alla nascita di un governo come quello che si è formato in Grecia tre giorni fa?... Perché il nuovo governo non è semplicemente rosso-nero, ossia di sinistra e di destra, ma è un'alleanza tra un partito di strema sinistra, Syriza di Alexis Tsipras, e un partito radicale di destra, Anel di Panos Kammenos. E nello schema di Bobbio destra e sinistra estreme hanno un solo elemento in comune: il rifiuto della democrazia. Destra e sinistra, in altre parole, convergono solo sul piano dei mezzi, mentre sul piano dei fini restano irriducibilmente nemiche perché la sinistra vuole ridurre le diseguaglianze mentre la destra le accetta. Dunque un'alleanza tra destra e sinistra è concepibile solo fra le loro versioni moderate... Quel che sembrava inconcepibile invece è successo. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La convergenza di destra e sinistra estreme sui fini, per alcuni studiosi, non è una novità assoluta. Esiste un importante filone di pensiero politico e storiografico che ha sottolineato con forza le radici comuni del fascismo e del comunismo non solo sul piano del metodo (il rifiuto della democrazia parlamentare) ma anche sul piano intellettuale e dei contenuti politici: derivazione dal socialismo rivoluzionario, primato dello Stato sull'individuo, regolazione collettivistica dell'economia, politica sociale, apertura al mondo del lavoro. Tutti elementi di convergenza sostanziale segnalati fin dagli anni '60 e '70 da Eugen Weber, James Gregor e soprattutto Zeev Sternhell".</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Al di là dei riferimenti bibliografici però Ricolfi sottolinea che il governo di Atene non c'entra nulla con questa tradizione interpretativa dei fascismi. In quel caso destra e sinistra stanno insieme perché hanno un unico nemico, le autorità europee, e un unico obiettivo, il desiderio di liberarsene. Ciò significa che quello che è accaduto in Grecia potrebbe succedere anche altrove. Ma dove porta questa strada? Verso un'Europa migliore o verso un impoverimento maggiore dei popoli europei? </div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-74947270871975817332015-01-09T06:53:00.003-08:002015-01-09T06:55:06.470-08:00 Marco Tarchi sul terrorismo islamista: c'è chi ha attizzato i focolai<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjm109xVMBKTYvNMlJpJfUF6I2LsdFCxvrXT2U1ZxJbgjqgkBBfdLTFZyCwWSRTFtFs_Lq7NDn3FLTmAfkk246pY4iMI-UXUlu1VDQt6lsI9r9NmRqSbgHcsF38l4tWfhebJEg5OQGDJVw/s1600/imgres.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjm109xVMBKTYvNMlJpJfUF6I2LsdFCxvrXT2U1ZxJbgjqgkBBfdLTFZyCwWSRTFtFs_Lq7NDn3FLTmAfkk246pY4iMI-UXUlu1VDQt6lsI9r9NmRqSbgHcsF38l4tWfhebJEg5OQGDJVw/s1600/imgres.jpg" /></a></div>
<br />
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%; text-align: justify;"><i>intervista pubblicata sul quotidiano ItaliaOggi venerdì 9 gennaio 2015</i></span><br />
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%; text-align: justify;"><br /></span>
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%; text-align: justify;">Goffredo Pistelli</span><br />
<span style="font-family: Arial, sans-serif; font-size: 16pt; line-height: 115%; text-align: justify;"><br /></span>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Insegna alla prestigiosa
Cesare Alfieri, la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Firenze,
Marco Tarchi, classe 1952, politologo apprezzato soprattutto per i suoi studi
sul populismo. E i partiti di matrice populista di tutta Europa potrebbero
capitalizzare lo sdegno e la paura suscitati dalla strage parigina dell’altro
ieri.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Domanda.
Professore, l’Europa fa di nuovo i conti con una minaccia terroristica, di
matrice islamica. A differenza delle bombe nel 2004 e del 2005, a Madrid e a
Londra però, è cambiato il contesto: siamo nel mezzo di una crisi economica
durissima e crescono fenomeni populisti, alcuni dei quali con caratteri xenofobi
marcati. Chi ha progettato l’attentato di Parigi puntava ad alimentare quei
fenomeni e ad alzare il livello di scontro? <o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Risposta. Non lo credo
affatto. Il contesto che ha determinato questa azione è un altro: quello di
Isis, del bellicismo esasperato dei nuovi crociati dell’Occidente alla
Bernard-Henri Lévy che hanno indotto la Francia a impegnarsi in tutti i
conflitti mediorientali dopo il tanto vilipeso rifi uto di Jacques Chirac di
unirsi alla coalizione anti-irachena, dell’anti-islamismo crescente e
multiforme, che viene sistematicamente condannato dai media quando è associato
all’ostilità verso i fenomeni migratori di massa, come nel caso dei partiti
populisti, ed è invece esaltato quando lo si considera un esempio di «sano»
anticlericalismo liberale, come nel caso delle vignette su Maometto.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
Un doppio registro, lei dice…</span></i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. Sì e mi sembra opportuno
notare che né il quotidiano danese che le pubblicò per primo (il
Jyllands-Posten, ndr), né Charlie Hebdo sono giornali di destra; il secondo è
semmai schierato all’estrema sinistra.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
E dunque?</span></i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. Dunque ad alzare il
livello dello scontro non è un ipotetico odierno complotto qaedista in stile
«strategia della tensione»; è stato piuttosto il clima che è dilagato in
Occidente dopo l’11 settembre e ha nutrito lo scontro tra due fondamentalismi
simili e contrari. È in questi giorni sugli schermi il bel film di Clint
Eastwood American Sniper…<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
Basato su una storia vera, mi pare…<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. Certo e da cui si impara
che negli Usa del 2001 si poteva essere convinti che, se non si fosse fatta la
guerra all’Iraq, gli arabi («quei bastardi») sarebbero dilagati a San Diego o a
Houston, uccidendo donne e bambini. E magari c’è un bel po’ di gente che lo
pensa ancora…<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
Senta professore l’unione politica degli stati europei mostra in questo
frangente tutti i suoi limiti: è praticamente priva di politica estera,
l’esecutivo è debole, il potere legislativo lento. In questi frangenti, siamo
solo un’intesa monetaria e poco più. L’euroscetticismo crescerà?<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. Malgrado il cordone sanitario
eretto dalle élites culturali, politiche e fi nanziarie, e forse proprio a causa
di esso (in virtù del discredito di cui oggi sono oggetto partiti, governi,
intellettuali e istituzioni), credo di sì. L’Unione europea non sta soltanto
mostrando i propri limiti politici.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
Vale a dire?<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. Fa di più e di peggio:
rischia l’autoannientamento come soggetto autonomo, condannandosi alla totale
subordinazione ai disegni geopolitici ed economici statunitensi, cosa che si
verifi cherà se fi rmerà il Trattato transatlantico per il commercio e gli
investimenti Ttip tanto desiderato da Washington. E, quel che è peggio, ciò
rischia di accadere nella totale disinformazione dell’opinione pubblica, a
causa del silenzio in materia dei media che contano.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
Sul Ttip, ItaliaOggi è stata assai puntuale denunciando per prima le derive con
gli articoli di Tino Oldani. Ma torniamo sulla questione islamica. Nel Vecchio
Continente ci confrontiamo spesso con posizioni islamiche che usano le forme
democratiche per teorizzare posizioni politiche antidemocratiche se non
teocratiche, oppure per difendere Stati o posizioni autoritarie (vedi Isis e
Hamas). Che strumenti hanno le democrazie europee per difendersi senza
rinnegare se stesse?<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. Se si riferisce a
posizioni come quelle di Tariq Ramadan, non sono d’accordo. La via di un «islam
europeo» è certamente ardua, ma sospettarla di essere un cavallo di troia del
fondamentalismo, come fanno gli ambienti conservatori, mi pare fuori luogo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
Qual è il punto, allora?<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. Il punto vero invece che
la democrazia è diventata, dopo la caduta del muro di Berlino, lo stendardo
dietro il quale si celano le ambizioni di dominio planetario di un «Occidente»
che è, di fatto, una proiezione della politica statunitense. E dalla
«democratizzazione a mano armata» condotta, in questo quadro, dagli Usa e dalla
Nato non potevano non scaturire le tensioni di cui oggi siamo spettatori e
talvolta vittime.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
Spieghiamolo meglio…<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. Se non ci fossero state
le due guerre del Golfo e non si fosse disegnato lo scenario dello «scontro di
civiltà» previsto da Samuel Huntington, non solo i paesi del Medio Oriente si
sarebbero risparmiati milioni di vittime, ma quell’area del mondo non sarebbe
finita fuori controllo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
Professore, veniamo alle conseguenze politiche dei fatti parigini. Se si
votasse domani, la Francia sarebbe certamente governata dal Front National,
Ukip se la giocherebbe in Gran Bretagna e altri paesi europei si potrebbero
spostare a destra. Ciò che non poterono l’euro e l’austerità, lo potranno Al
Qaeda e Isis? <o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. Non sono sicuro che le
cose andrebbero così, sa? <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
Che cosa glielo fa pensare?<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. Ascoltando i commenti
sulle reti televisive francesi nelle ore successive all’attacco parigino,
sembrava che la responsabilità della strage andasse addebitata a Marine Le Pen:
si evocavano, come cause, la sensazione di isolamento dei giovani musulmani
delle periferie cittadine, la xenofobia, l’ostilità verso gli immigrati…<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
Che cosa significherebbe?<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. Questo clima massmediale,
in caso di campagne elettorali, si intensificherebbe e lo spauracchio populista
verrebbe agitato da mattina a sera. Tutt’al più,a trarre vantaggio dalla
situazione, sarebbe la destra conservatrice, che ormai da tempo fa più o meno
le stesse politiche della sinistra socialdemocratica, differenziandosi solo nei
toni verbali.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
Ci sono studiosi, come l’antropologa Ida Magli, che vedono nel
multiculturalismo un tratto decisivo (e deleterio) del moderno europeismo.
Un’ideologia che, da Bruxelles, vorrebbe annientare le identità dei singoli popoli,
imponendone una europea del tutto posticcia. Lei intravede qualcosa di simile?<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. Non ho mai pensato che
l’identità dei popoli sia minacciata dall’organizzazione multiculturale delle
società multietniche; penso anzi che consentire agli immigrati di conservare
quelle tradizioni che non contrastano con le leggi vigenti nei paesi in cui si
sono stabiliti, sia un buon modo per evitare, o quantomeno ridurre, il rischio
di alienazione che può colpire soprattutto le giovani generazioni ed indurle a
comportamenti ribelli e violenti. Del resto, la Francia che ora è stata così
duramente colpita è proprio il paese che da sempre è più rigido nel limitare le
espressioni comunitarie della popolazione immigrata.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
Il divieto del velo a scuola, certo…<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. Il tanto vantato «modello
repubblicano» è fondato
sull’assimilazione, non su forme alternative di integrazione. Vero è invece che
a minacciare l’identità dei popoli è, in sé, il fenomeno dell’immigrazione di
massa, quando oltrepassa certi livelli fisiologici, che non è possibile fissare
statisticamente, ma che l’esperienza quotidiana consente agevolmente di
percepire, checché ne pensino gli ambienti accademici. Piuttosto…<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
Piuttosto?<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. La tematica della
«sostituzione di popolazione» sollevata da qualche tempo in Francia dai
cosiddetti ambienti identitari (che sono abitualmente etichettati come di
estrema destra, ma in realtà raccolgono numerosi esponenti con un passato nella
sinistra anche radicale, come Alain Soral o Reynaud Camus) può apparire
eccessiva, ma tocca un tema centrale, per quanto scomodo. La domanda che pone è
«politicamente scorretta» ma cruciale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
Facciamola…<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. In nome di quale
principio una società multietnica deve essere per forza giudicata preferibile a
una monoetnica? Perché l’elogio del «meticciato» deve essere applaudito e
quello della difesa di una identità etno-culturale denunciato come un crimine?
E, in subordine, perché non deve essere lecito porre dei limiti all’ingresso in
un dato paese di individui stranieri? Conosciamo la risposta delle Chiese
cristiane, che vanno affermando il dogma dell’accoglienza incondizionata; ma
per quale motivo uno Stato laico dovrebbe accettare questo punto di vista? <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">D.
Quella dell’accoglienza non è affatto l’unica posizione in campo, direi…<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">R. Infatti. Un politico
liberale francese, Dominique Reynié, ha scritto che, la difesa combinata del
proprio modo di vivere, legata alle tradizioni e all’educazione, e del proprio
livello di vita, è la carta vincente del «populismo patrimoniale» oggi in ascesa in Europa. Chi non se ne rende
conto e chiude gli occhi di fronte a questa realtà è corresponsabile di questo
successo e rischia di farlo diventare incontenibile. <o:p></o:p></span></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-56469477227582044932015-01-03T23:59:00.000-08:002015-01-03T23:59:26.444-08:00Quando i prigionieri italiani costruivano chiese sulle Isole Orcadi<div style="text-align: justify;">
Di seguito un estratto dell'articolo di David Randall, <i>La chiesetta delle Isole Orcadi</i>, tratto da <i>Internazionale</i> che racconta la costruzione sulle isole Orcadi della Capella Italiana ad opera dei prigionieri italiani del Campo 60 a Lambholm. Un luogo molto suggestivo e una storia poco conosciuta che vale la pena di ricordare...</div>
<div style="text-align: justify;">
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVU7ExmDxiFPh0aYoUILvx5wDnD9SCvK0PeoIwFMR9qlacF378tD4H0m8FvOtHdAy4JmVxkFEnbsML81KfF72xxt14EhuhnMEl_dosEdoSIEQ-B8MM2iRqZVIr7VJYGlcOjIh9esYELig/s1600/cappella+italiana.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVU7ExmDxiFPh0aYoUILvx5wDnD9SCvK0PeoIwFMR9qlacF378tD4H0m8FvOtHdAy4JmVxkFEnbsML81KfF72xxt14EhuhnMEl_dosEdoSIEQ-B8MM2iRqZVIr7VJYGlcOjIh9esYELig/s1600/cappella+italiana.jpg" /></a></div>
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<span style="font-size: large;">"Dato che in questo periodo di notti lunghe e giorni freddi abbiamo bisogno di qualcosa che ci riscaldi il cuore, vorrei raccontarvi quello che fecero alcuni italiani nel Regno Unito durante la Seconda guerra mondiale. Come tutte le più belle storie a lieto fine, anche questa comincia piuttosto male: nel 1942, in Libia, dopo che l'esercito canadese aveva catturato migliaia di italiani. Li mandarono in un campo di prigionia nel nord dell'Inghilterra... Il governo britannico aveva deciso di costruire delle strade sulle isole Orcadi, un piccolo arcipelago al largo della costa nordorientale della Scozia, e aveva pensato di far partecipare ai lavori alcuni dei prigionieri italiani più qualificati. Così, all'inizio del 1943, qualche centinaio di loro arrivò sulla minuscola isola abitata di Lambholm e si sistemò nelle baracche di latta che avrebbero preso il nome di Campo 60. </span></div>
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<span style="font-size: large;">Gli italiani lavoravano e nel tempo libero cercavano di rendere quel posto un po' più accogliente. Ben presto cominciarono a raccogliere il materiale necessario per costruire un rudimentale teatro e una sala comune, e disegnarono alcune aiuole per tentare di far crescere qualche piantina nell'ingrato clima di Lambholm. Questo fu solo l'inizio. Il coordinatore dei lavori, Domenico Ciocchetti, un pittore di Moena, vicino Bolzano, costruì una statua di San Giorgio usando filo spinato e cemento. Poi lancò un'idea apparentemente assurda: perché non costruire una chiesetta italiana su quella desolata isola britannica? Il cappellano, padre Giacobazzi, appoggiò il progetto, le autorità diedero il permesso, ma misero a disposizione solo due grandi baracche di lamiera ondulata unite tra loro a formare una sorta di mezza botte. I prigionieri rivestirono l'interno di intonaco, ricoprirono l'esterno di cemento e usarono tutto quello che riuscirono a trovare per trasformare quel guscio di metallo in una cappella simile a quelle che si vedono nei paesini italiani. Costruirono l'altare con il legno recuperato da un naufragio, ricavarono l'acquasantiera da un vecchio tubo di scappamento e i candelieri da qualche scatoletta di carne. Giuseppe Palumbi usò dei rottami per creare l'inferriata che avrebbe diviso la navata dall'abside. Gli ci vollero quattro mesi. Domenico Buttapasta decorò la facciata costruendo un architrave sostenuto da pilastri di cemento e un campanile ornato da pinnacoli. Giovanni Pennisi modellò una testa di Cristo in argilla rossa. I prigionieri usarono i pchi soldi della loro paga per comprare delle tendine di stoffa dorata per il tabernacolo. Intanto Domenico continuava a dipingere. Il suo capolavoro fu un incredibile quadro della madonna con il bambino da collocare sull'altare, ispirato a un santino che aveva portato con sé quando era partito per la guerra. Quando furono liberati i prigionieri rimasero sull'isola ancora diverse settimane per completare l'acquasantiera". </span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdEdGDL1cGgYsVoy486UU2TbZmvyjzdc8WpIIckqkAxW5XOFDyG7yTbNSCFU9cGewT_xZrS-OHxcbYHmLKETsOIiZss6ZT7cBrIOADVu11W5_pLfZ0e7_8cym8jK2RmgF_7a8zLtSfhqI/s1600/cappella+italiana+interno.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdEdGDL1cGgYsVoy486UU2TbZmvyjzdc8WpIIckqkAxW5XOFDyG7yTbNSCFU9cGewT_xZrS-OHxcbYHmLKETsOIiZss6ZT7cBrIOADVu11W5_pLfZ0e7_8cym8jK2RmgF_7a8zLtSfhqI/s1600/cappella+italiana+interno.jpg" /></a></div>
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La Cappella Italiana fu apprezzata dagli abitanti dell'isola che fecero di tutto per tenerla in piedi. Quando alcune parti cominciarono a cedere si creò un comitato per la sua conservazione. Domenico Ciocchetti tornò alle Orcadi per restaurare la cappella e i dipinti nel 1960. Quattro anni dopo eccolo ancora a Lambholm per abbellire la cappella con un crocifisso e una Via crucis donata dai cittadini di Moena. Agli abitanti delle Orcadi lasciò questo messaggio: "La cappella è vostra, amatela e conservatela". Ogni anno accoglie più di centomila visitatori tra cui diverse coppie di sposi che scelgono quella chiesetta per unirsi in matrimonio. </div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-59633400352750455822014-12-23T23:25:00.002-08:002014-12-23T23:25:43.991-08:00Il Natale di Vittoria <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhw7iVtp2D6WKhyeydw3ftvwZj32CiBZ2ia8VDRCtLE8FIPMNfvoeZIuUcB1reJmiXtCMEF6in0UIyFTQJCt13wXevzO_AehtnckiRQz_hC3Vl7144qEexbKNThCBEAOCdqOSYMbR8VDzI/s1600/palline.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhw7iVtp2D6WKhyeydw3ftvwZj32CiBZ2ia8VDRCtLE8FIPMNfvoeZIuUcB1reJmiXtCMEF6in0UIyFTQJCt13wXevzO_AehtnckiRQz_hC3Vl7144qEexbKNThCBEAOCdqOSYMbR8VDzI/s1600/palline.jpg" /></a></div>
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Dal romanzo <i>Vittoria, una storia degli anni Settanta</i> (Giubilei Regnani) di Annalisa Terranova un estratto del capitolo "Natale". Auguri a tutti!<br />
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Due riti caratterizzavano in particolare il Natale in casa di Vittoria: l’allestimento del presepe e i fritti del cenone della vigilia. Anche l’albero di Natale aveva il suo ruolo, ma era sicuramente più marginale. Intanto doveva essere vero. Quando incominciarono a circolare i finti abeti il padre sentenziò che erano “cose fetuse” e che in casa alberi finti non ne sarebbero mai entrati. L’anno dell’austerity – cioè in occasione del Natale del 1973 – per far vedere alle figlie che la crisi nulla poteva contro la santità delle feste acquistò una serie di palline nuove per l’albero, una più bella dell’altra. Una era rosa circondata di merletti e decorata con pietruzze rosse. Un’altra era dorata e ospitava un piccolo presepe. Un’altra ancora era cosparsa di porporina verde e dentro ospitava un piccolo ramoscello di pungitopo. Nei Natali successivi, quando Vittoria, ormai grande, prendeva la valigia delle decorazioni per addobbare l’albero, quando le capitavano in mano quelle palline, proprio quelle, la mente tornava a figurarsi le feste passate, cedeva all’urto, indiscreto e avvolgente, dei ricordi. Tornavano i Natali dell’infanzia, con quel loro clima speciale, fatto di odori, di attesa, di affetti rafforzati, di un calore interiore che nessuna interferenza esterna poteva disturbare. </div>
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Era però il presepe che assorbiva gran parte delle energie domestiche: anche per la localizzazione, si facevano grandi discussioni. Dopo di che si spostavano i mobili in modo che ci fosse spazio per una degna fabbricazione e si ammucchiavano nell’angolo scelto i sostegni del paesaggio sacro. Sgabelli, pile di volumi dell’enciclopedia, tavole di compensato. La prima cosa che il padre posizionava era la grande capanna di sughero. Dopo di che si acquistava il muschio fresco. Poi se ne andavano almeno altre due giornate per “fare le montagne” con la speciale carta colorata di verde e marrone. Quindi si sistemavano le luci, quasi tutte dentro la capanna perché era lì, diceva il padre, che succedeva la cosa più importante. Vittoria era impaziente, e provava a mettere fretta: “Ma quanto ci metti...”, diceva al padre. E lui: “La gatta presciolosa fece i gattini ciechi”. Finalmente, al momento di sistemare le statuine, anche Vittoria e la sorella facevano la loro parte. La madre le conservava avvolte nella carta di giornale e dunque ogni anno, quando si scartavano gli involucri, le frasi abituali erano: “Ho trovato San Giuseppe, ho trovato il pastore con la pecora in spalla, ho trovato la panettiera...”. Ovvia-</div>
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mente loro erano felici quando trovavano il Bambinello, che poi veniva preso in custodia dal padre e messo in un cassetto per essere deposto nel presepe solo la sera del 24 dicembre. La neve costituiva l’ultimo tocco: a casa di Vittoria non si usava neve artificiale ma il cotone idrofilo. Si facevano dei piccoli batuffoli di ovatta e si poggiavano qua e là a imbiancare la scena. Se il presepe veniva particolarmente bene, il padre lo fotografava. Così, in molte foto di famiglia, apparivano Vittoria e la sorella, in ginocchio e a mani giunte accanto a uno dei presepi paterni meglio riusciti, illuminato ad arte. </div>
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Una volta alla parrocchia di quartiere realizzarono però un presepe più realistico, con scenografia arabeggiante con alte palme e con i re magi che attraversavano il deserto. Niente montagne, niente neve, niente grotta, niente paesaggi appenninici, e non c’era neanche la vecchina che vendeva le caldarroste, uno dei personaggi che Vittoria amava di più. L’insolito allestimento fu commentato in famiglia. Tutti erano delusi e il padre bollò l’iniziativa come un cedimento alle mode straniere. La madre però difese il fondamento storico della scelta: Gesù era nato in Palestina, a conti fatti. E il padre si inalbero: “E che c’entra? Il presepe l’abbiamo inventato noi, e va fatto secondo la tradizione, </div>
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se no non è presepe, è un’altra cosa...”. </div>
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I genitori di Vittoria si erano sposati a Greccio, cioè proprio nel luogo in cui Francesco d’Assisi aveva allestito la prima Natività. E nella foto in cui guardavano il prete, inginocchiati nella piccola cappella del convento dei frati minori, erano giovani e seri seri, forse persino un po’ smarriti, sicuramente commossi. La madre aveva uno sguardo languido, il padre aveva una faccia ispirata: a Vittoria sembravano bellissimi, ogni volta che guardava quelle immagini. L’abito bianco della madre non era lungo, ma arrivava alle caviglie. Una vera novità, per l’epoca. C’era poi una foto che li ritraeva mentre scendevano la scalinata di pietra: il papà avrebbe voluto aiutare la mamma, ma lei faceva una faccia scocciata, come a dire: ‘Faccio da sola, lasciami in pace’. La madre confermava l’interpretazione: ‘Sì, tuo padre voleva darmi il braccio, ma io sono ’ncitosa, lo sapete”. “Incitosa” significava una che si inalbera subito, una con un bel caratterino incline ad infuriarsi per nulla. Il padre invece la giustificava: “Era emozionata, bisogna capirla...”. </div>
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L’altro rito natalizio che si ripeteva ogni anno era la preparazione dei fritti per il cenone. Si acquistavano le verdure al mercato la mattina della vigilia e poi, da metà pomeriggio, la cucina veniva chiusa agli estranei, cioè a Vittoria e alla sorella, e la mamma e il papà friggevano cavolfiori, </div>
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zucchine, carciofi e cardi avvolti nella pastella. Una quantità che avrebbe sfamato un esercito. Senza la frittura il cenone della vigilia non sarebbe stato degno dell’occasione speciale e sembrava davvero che il padre ne traesse grande soddisfazione, presentando poi i piatti ricolmi con orgoglio da chef provetto. In quei giorni era consentito usare il cosiddetto servizio buono, che la madre custodiva con </div>
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cura certosina. Si trattava dei piatti di porcellana bianca con decorazioni color oro, regalo di matrimonio, che facevano la loro comparsa a tavola solo una volta l’anno, cioè per il cenone di Natale. Oltre ai fritti si mangiavano spaghetti al tonno, merluzzo bollito, panettone e torrone. </div>
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Tra le numerose famiglie del condominio di Vittoria quella di Agnese e Sebastiano, che era stato per anni emigrante in Germania a fare l’operaio, organizzava per la sera di Santo Stefano tombolate e giochi di carte con parenti e vicini di casa. Si mangiava panettone fino a tarda notte, poi Agnese serviva i torroni di tutti i tipi e si passava al gioco del mercante in fiera o del sette e mezzo. Vittoria giocava con troppa timidezza, non aveva voglia di sperare nelle carte per non restare delusa, atteggiamento che i giocatori provetti disapprovano: “Se non credi nelle carte, le carte ti puniscono...”. Però assisteva felice al giro della sorte, cercando ogni volta di indovinare chi sarebbe stato toccato dalla buona stella. La vincita ammontava a un massimo di cinquemila lire ma procurava comunque esultanza in quella compagnia di gente abituata alla fatica, che si godeva le feste con animo semplice. C’era in particolare un cugino della signora Agnese che faceva anche lui l’operaio e, prima di mettersi a giocare, si metteva al collo un fazzoletto rosso contro la jella e chiedeva scusa al padre di Vittoria: “Lo so – diceva – è il colore dei comunisti, ma io lo metto solo perché voglio vincere tutto, nun me guarda’ male...”. Poi aveva anche un altro fazzoletto rosso portafortuna in cui metteva le monete per giocare e diceva che non se ne sarebbe andato finché non lo avesse riempito con le cento lire vinte al gioco. Era lui che faceva il mercante in fiera ed era molto bravo a vendere una carta fingendo che fossero almeno tre. Sapeva animare le giocate facendo ridere tutti e, se mancava lui, le serate erano meno divertenti. Se vinceva, offriva vino rosso alla salute dei presenti e qualche goccia era consentita anche a Vittoria, che lo accettava volentieri pur non apprezzandone il gusto troppo aspro, di vino poco ricercato. </div>
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Aveva sentito dire che gli operai erano tutti comunisti e le sembrava bizzarro che tra suo padre e quei lavoratori ci fosse così tanta cordialità, finché lui le spiegò che erano i comunisti ad imbrogliare gli operai, che i padroni sfruttavano le loro braccia e il Pci la loro rabbia, mentre il fascismo aveva concesso loro l’assicurazione contro gli infortuni e gli assegni familiari. Un Natale al figlio di Agnese fu regalato un mangiadischi e lui fece ascoltare a Vittoria e alla sorella il brano del momento, Jesahel, che si ballava dondolando le braccia avanti e indietro. Così passarono la serata a sentire e risentire sempre lo stesso ritornello, “Jesahel, nanananana... Jesahel”, finché i grandi non li vennero a cercare perché le giocate erano terminate e bisognava che ognuno se ne andasse a casa sua e quando li sorpresero a ballare col mangiadischi tutti ridevano tra loro dicendo che la sorella di Vittoria e il figlio di Agnese si sarebbero fidanzati, ma Vittoria sapeva che non era possibile perché alla sorella </div>
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piaceva il figlio della signora Liliana, quella che faceva le iniezioni in giro per le case e non sorrideva mai. Il figlio era biondo e sempre immerso nei suoi pensieri e ignorava tutti gli altri ragazzini quando si radunavano in cortile. La madre consolava la sorella di Vittoria dicendole che quello non la filava perché era troppo grande, in realtà lui non filava proprio le ragazzine perché non voleva far coppia con le femmine ma con altri maschi, ma questo lo avrebbero scoperto solo più tardi. E quando lo scoprirono in famiglia si parlò del tema proibito dell’omosessualità. E il padre di Vittoria fu perentorio: “Sono persone diverse ma vanno rispettate come tutti gli altri, anzi a volte questo tipo di </div>
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persone sono più sensibili, più umane. E poi quello che fanno nella vita privata sono fatti loro”. Il figlio di Agnese, invece, era uno spilungone un po’ allampanato, che da grande voleva fare il carabiniere, e sul possibile fidanzamento con la sorella di Vittoria la mamma scherzava dicendo che sua figlia doveva fidanzarsi minimo minimo con il figlio di un dottore e non certo con il figlio di un operaio. </div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVTvghuZpN1dZl6eMgUzFt3Wk3g2vhAu2bmuGvEtGZTlBUn_4sliEUZeJGIRMbxPRWwGdMpEIb2ob67-CuTrUynULEkgMDP1PiRVAvC_qWw8JngDvhopv_WskEwOFSU4qTNb4oYtnQyVs/s1600/stifter.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVTvghuZpN1dZl6eMgUzFt3Wk3g2vhAu2bmuGvEtGZTlBUn_4sliEUZeJGIRMbxPRWwGdMpEIb2ob67-CuTrUynULEkgMDP1PiRVAvC_qWw8JngDvhopv_WskEwOFSU4qTNb4oYtnQyVs/s1600/stifter.jpg" /></a></div>
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<span style="font-size: large;">Una delle più belle favole di Natale è <i>Cristallo di rocca </i>di Adalbert Stifter (1845), il racconto che fa parte della raccolta <i>Pietre Colorate, </i>storie edificanti per bambini e adolescenti, narrate con la prosa ordinata, austera ma capace di picchi lirici inaspettati di un autore che meglio di altri ha saputo trasferire nelle pagine dei suoi libri la meraviglia dei paesaggi montani. In questo breve racconto Corrado e Sanna, due bambini figli del calzolaio del paese, attraversano la montagna per recarsi dalla nonna, la vigilia di Natale, smarriscono al ritorno la strada, si perdono nel bianco terribile e sterminato dello scenario innevato, affrontano con cuore fiducioso la prova. Assistiti dalla magica forza luminosa della Notte Santa attraversano senza saperlo un ghiacciao e un crepaccio sempre speranzosi che dalla montagna non può venire che vitale sicurezza. Finché al mattino non vengono ritrovati dai paesani, tutti in cerca dei bambini perduti. Il lieto fine coincide con l'alba, col levarsi del sole che porta luce e salvezza come il Bambino Gesù di cui si celebra l'avvento: "Un gigantesco disco sanguigno si alzò nel cielo all'orlo della neve, e in quell'attimo si colorò di rosso la neve intorno ai bambini, come vi fossero sparse milioni di rose...". </span></div>
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<b>Annalisa Terranova</b>Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3681902089011931136.post-74439519182340831002014-12-08T23:07:00.001-08:002014-12-08T23:07:14.349-08:00Finisce la storia dell'amica geniale con il quarto romanzo di Elena Ferrante<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQsA5lguGZ8ZCiSVk1DGk4FA2VpQpjza_7xMfYlq4bsAzi9juxYqK5u4IL2eZfWUZymOl_zzlCfFCGmsEJAfhvn8IzHe9DzwKcA39u9W8gJWjOZfzxIeqWNB_Ni-_HhSwn19_VNeBJDrU/s1600/ferrante.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQsA5lguGZ8ZCiSVk1DGk4FA2VpQpjza_7xMfYlq4bsAzi9juxYqK5u4IL2eZfWUZymOl_zzlCfFCGmsEJAfhvn8IzHe9DzwKcA39u9W8gJWjOZfzxIeqWNB_Ni-_HhSwn19_VNeBJDrU/s1600/ferrante.jpg" /></a></div>
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Di seguito la recensione di Goffredo Fofi della storia dell'amica geniale di Elena Ferrante che giunge a conclusione con l'uscita dell'ultimo dei quattro romanzi, <i>Storia della bambina perduta</i> (E/O, pp. 452, 18 euro). L'articolo è tratto da <i>Internazionale</i><br />
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Giunge a conclusione il romanzo-fiume di Elena Ferrante in quattro volumi, un ambizioso e riuscito affresco napoletano che avanza per più di mezzo secolo della nostra storia attraverso quella di un'amicizia femminile. Elena, la narratrice, che va a studiare alla Normale di Pisa e diventa scrittrice famosa, che lascia Napoli per Torino, che si sposa con un uomo di sinistra scoprendo che "al mondo non c'era niente da vincere", ma che ha soprattutto un'amica, Lila, più forte di lei e più "geniale", che sceglie di restare e di patire la sua condizione di donna e di napoletana fino in fondo, con instancabile e proterva lucidità. Due "piccole donne" che crescono in una Napoli-Italia che è sempre più un pozzo nero. Ognuno di noi dovrebbe avere accanto un "beffardo", un demone che ci costringe a non mentirci, a non illuderci. Il confronto di Elena - dell'autrice - è infine con se stessa e con Napoli, descritta con rara sapienza nel suo corpo tra piccolo-borghese e sottoproletario, tra Viviani ed Eduardo, e nel suo degrado, ma anche con un'idea di donna, in anni di nuove idee delle donne sulle donne. Il solo limite (ma è forse la sua forza) di Ferrante, che conosce bene Morante, Ortese, Ramondino - cantatrici della sua città - è l'assenza di quel "di più" di inquietudini che queste avevano, e il chiudersi in una sorta di laicismo senza velo e trascendenza, mai. </div>
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<b>Goffredo Fofi </b></div>
Le affinità elettivehttp://www.blogger.com/profile/17733084109176922450noreply@blogger.com0